STOPPATO, Alessandro (Giovanni Alessandro). – Nacque a Cavarzere (Venezia) il 31 dicembre 1858, dall’avvocato Giovanni, di Domenico, e da Antonia (Antonietta)
Nadali.
A Padova conseguì la licenza, come studente privato, presso il Regio ginnasio liceo nell’ottobre del 1876 e si iscrisse subito alla facoltà di giurisprudenza, seguendo assiduamente le lezioni, tra gli altri, di Giambattista e Antonio Pertile, Francesco Schupfer, Antonio Cavagnari, Luigi Bellavite e Giampaolo Tolomei, che egli indicherà sempre come maestro. Si laureò con pieni voti e lode il 2 luglio 1880; nel dicembre ebbe il titolo di procuratore e quello di avvocato nel luglio del 1882, sempre con lode.
L’esercizio della professione forense – che considerava una funzione pubblica, vedendo nel difensore «un vero cooperatore di giustizia, un lume di onestà e verità, un assertore di diritto» (Commento al codice di procedura penale. IV. Libro primo: disposizioni generali, a cura di L. Mortara et al., Torino 1923, p. 497) – sarebbe proseguito con notevole successo, grazie a «prontezza di intuito, dialettica potente, coltura giuridica superiore, forza oratoria» (Bianchedi, 1932, p. 388).
La partecipazione ad alcuni processi celebri gli procurò notorietà, ma anche qualche ostilità. Fu reputata coraggiosa la scelta di assumere, con Luigi Pagani-Cesa, la difesa del giornalista e deputato veneziano Ferruccio Macola, dopo il duello con Felice Cavallotti che ne aveva provocato la morte il 6 marzo 1898. A Bologna, con Gennaro Escobedo e Giuseppe Gregoraci, Stoppato costituì il collegio difensivo di Luigi Favilla, funzionario della locale sede del Banco di Napoli, accusato di malversazione. La vicenda ebbe ripercussioni nel governo e nel Parlamento nazionale: per la cattiva gestione del processo e lo scontro con i difensori e con l’intero ordine degli avvocati di Bologna, venne rimosso il procuratore generale, Carlo Lozzi (Atti parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XX, II sessione, Discussioni, Tornata del 21 marzo 1899, Roma 1899, pp. 3229-3231). La causa Favilla portò Stoppato «a toccare con mano i problemi umani e sociali, oltre che tecnici, del rito, e lo sensibilizzò alla funzione ‘sociale’ del processo penale» (Storti, 2013, p. 1919). Altrettanto complessa fu, tra il 1901 e il 1904, la difesa di un altro deputato, il siciliano Raffaele Palizzolo, accusato di essere mandante dell’omicidio di Emanuele Notarbartolo. La fama nel foro toccò forse il culmine con il celebre processo Murri, tenutosi tra Bologna e Torino nel 1905 per l’omicidio del conte Francesco Bonmartini, avvenuto il 2 settembre 1902. A Stoppato, che intratteneva rapporti amichevoli con il defunto, fu affidata la curatela speciale dei figli minori Maria e Nino, per i quali assunse la delicata e discussa decisione della costituzione di parte civile (N. Tranfaglia, Un delitto di gente per bene. Il processo Murri (1902-1905), in Storia d’Italia. Annali 12. La criminalità, a cura di L. Violante, Torino 1997, p. 540).
Fin dalla laurea, Stoppato ebbe un’intensa attività scientifica. I primi lavori, tra cui le monografie Questioni di diritto e procedura penale (Padova 1882) e Studi critici di giurisprudenza penale (Padova 1885), oltre a vari saggi, lo condussero a ottenere, nel 1885, la libera docenza in diritto e procedura penale presso l’Università di Padova. Con produttività costante nel tempo, pubblicò poi altri volumi, sia con riflessioni sulle materie insegnate e praticate nel foro (per esempio, Diritto penale, Milano 1887, e nuovi Studi critici di diritto e procedura penale, Padova 1895), sia con scavi monografici come quello su L’esercizio arbitrario delle proprie ragioni (Padova 1896), che aprì un forte dibattito tra i penalisti italiani, e interventi su altri temi di attualità ospitati in periodici come La Temi veneta e la Rivista penale di Luigi Lucchini, al quale egli fu vicino per orientamento e per ideali.
Stoppato aderì infatti con convinzione alla scuola classica del diritto penale, non senza coltivare un pensiero originale. Con l’importante lavoro su Infanticidio e procurato aborto. Studio di dottrina, legislazione e giurisprudenza penale (Verona-Padova 1886), si inserì nell’animata discussione che accompagnava i lavori preparatori del codice, muovendo aperte critiche alla scuola positiva, accusata «di rendere inutile il titolo speciale di infanticidio [...] distruggendo in questo modo un sistema senza nulla però riedificare» (L. Garlati, La fine dell’innocenza. L’infanticidio nella disciplina dell’Italia postunitaria, in La corte d’Assise, II (2012), 1-2, pp. 58 s.).
La costante attenzione alla concreta vita del diritto lo indusse tuttavia a non rifiutare aprioristicamente le nuove idee: uno scritto di Stoppato sulle Presunzioni inique è accolto da Cesare Lombroso nella seconda, ampliata, edizione del celebre scritto, originariamente intitolato Troppo presto, con il quale l’illustre antropologo criticava il nuovo codice penale (Appunti al nuovo codice penale, Torino 1889, pp. 268-278).
Nel 1897, giunto secondo nel concorso per la cattedra penalistica e processualpenalistica a Padova, Stoppato non vi fu chiamato; l’anno seguente prese invece servizio a Bologna, insegnandovi diritto e procedura penale, come professore straordinario dal 1° marzo e come ordinario dal 1° dicembre. Nella prolusione, intitolata Dell’elemento etico nel magistero penale, rinnovò la propria adesione alla scuola classica, ponendo il principio dell’imputabilità morale a fondamento della responsabilità penale, convinzione ribadita, un decennio dopo, nel discorso inaugurale degli studi (La scuola giuridica italiana e il progresso del diritto penale, in Annuario della Regia Università di Bologna, a.a. 1908-09, Bologna 1909, pp. 17-74).
Con studi approfonditi e originali, tenne sempre alta l’attenzione sul funzionamento delle corti d’assise, giudicando erronea l’imitazione pedissequa del modello inglese di giuria (Il Presidente della corte d’assise: osservazioni sui progetti di legge (Tajani) per modificazioni all’ordinamento giuridico e al codice di procedura penale ecc. presentati alla Camera il 25 novembre 1885, in Rivista penale, 1886, vol. 23, pp. 141-157; La funzione sociale della giuria popolare, ibid., 1903, vol. 51, pp. 649-661; Alcune riforme del giudizio per giurati, in Il progresso del diritto criminale, IV (1912), pp. 65-97 e altri).
Pur deluso per la mancata vittoria concorsuale, Stoppato non interruppe il legame con l’ateneo patavino, mantenendovi la libera docenza in diritto e procedura penale, fino all’elezione a deputato nel 1905. L’insegnamento bolognese proseguì invece fino alla morte, aggiungendosi a quello principale altri incarichi temporanei. Fu preside della facoltà di giurisprudenza, sia pure per pochi mesi, nel 1920 e fondò l’Istituto di studi criminali e di polizia scientifica.
Rilevante fu del pari l’attività politica e di progettazione legislativa. Nel 1900, nella commissione per la modifica del codice di procedura penale, studiò i ‘giudizi minori’ (I giudizi penali minori: relazione alla Commissione per la riforma del codice di procedura penale, in La Cassazione Unica, XI (1900), 26, 27, 28, coll. 801-805, 833-841, 865-877).
Dopo diversi incarichi nelle amministrazioni locali dell’area padovana, fu eletto alla Camera dei deputati nel collegio di Montagnana, tra le file della Destra liberale, nel dicembre del 1905, rimanendovi per altre due legislature. Ottenne quindi, il 3 ottobre 1920, la nomina a senatore. Dal 1° luglio 1915 al 21 novembre 1919 fu membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione.
Da deputato, collaborò con Lodovico Mortara alla stesura dei progetti di riforma del codice di procedura penale, sino a quello definitivo, che presentò alla Camera nel 1912, come relatore della commissione, con una esposizione «ponderosa, esauriente, organica» (Bianchedi, 1932, p. 392). Con lo stesso Mortara e altri curò poi un ampio commento al codice, dedicandosi in particolare all’analisi delle disposizioni generali.
Assai complesso fu il compito di condurre le indagini sui drammatici fatti di Caporetto, affidato il 12 gennaio 1918 a Stoppato, a due altri membri del Parlamento (il deputato Orazio Raimondo e il senatore Paolo Emilio Bensa) e a tre ufficiali militari, oltre a un presidente, anch’egli proveniente dagli ambienti militari, e condotto per circa un anno e mezzo fino al luglio del 1919. La commissione d’inchiesta dovette infatti muoversi con straordinaria cautela, tra veti incrociati e inevitabili vincoli politici, che spiegano anche il vivacissimo dibattito seguito alla presentazione della relazione; ciò nonostante il lavoro fu accurato e scrupoloso e raccolse un’immensa mole di dati e documenti, consentendo, se non di giungere a una piena chiarezza sulle responsabilità, di porre quanto meno alcuni importanti punti fermi.
Fu nettamente smentita, in particolare, l’affermazione di Luigi Cadorna secondo cui la sconfitta era da addebitarsi a un cedimento delle truppe, pur indebolite dalle pessime condizioni di vita e pervase da una certa stanchezza morale. All’origine della disfatta, secondo quanto emerso dalle migliaia di documenti e testimonianze, vi erano piuttosto la superiorità tecnica e tattica del nemico e la sua abilità nel trarre vantaggio dal successo iniziale dell’attacco, oltre alla sfavorevole posizione strategica del confine italo-austriaco, a errori politici e militari e ad altri elementi contingenti, comprese le cattive condizioni meteorologiche (cfr. Dall’Isonzo al Piave: 24 ottobre - 9 novembre 1917. Relazione della Commissione d’Inchiesta R. Decreto 12 gennaio 1918, n. 35, I-II, a cura di A. Zarcone - A.M. Mola, Roma 2014).
In Senato, Stoppato fu membro della commissione d’accusa dell’Alta Corte di giustizia (1924-29) e, dal 6 giugno 1925, di quella per l’esame dei disegni di legge «per la delega dei pieni poteri al Governo per la riforma dei codici». Ivi, egli dimostrò la propria indipendenza di pensiero, mantenendosi «fedele alla linea liberale vincente nel ’13», e criticando apertamente alcune scelte legislative del ministro Alfredo Rocco, in particolare sul ruolo del pubblico ministero (M.N. Miletti, La scienza nel codice. Il diritto processuale penale nell’Italia fascista, in L’inconscio inquisitorio. L’eredità del codice Rocco nella cultura processualpenalistica italiana, a cura di L. Garlati, Milano 2010, p. 99), critiche riprese nelle Osservazioni sul progetto di codice di procedura penale, 1929, Bologna 1931 (è di sua mano anche il parere presentato al ministero a nome della facoltà di giurisprudenza dell’Università di Bologna).
Stoppato trasfuse le proprie convinzioni di penalista anche nell’impegno sociale e filantropico: dal 1887, a Padova, presiedette con Tolomei la Società di patronato Margherita di Savoia, dedita ai «liberati dal carcere» della provincia. Analogamente, a Bologna, fondò, il 23 gennaio 1910, il Patronato dei minorenni condannati condizionalmente, che presiedette e amministrò per un ventennio, nella profonda, ottimistica, convinzione «che il minorenne caduto sia correggibile e che [...] si debba cercare il suo riadattamento alla vita sociale e il suo completo emendamento» (V. Tazzari, Il prof. Alessandro Stoppati e il patronato dei minorenni condannati condizionalmente in Bologna (1910-1932), Bologna 1932, p. 4). Pur rifiutando la visione antropologica di una «delinquenza innata ed invincibile», egli credeva nell’influenza «della famiglia e dell’ambiente esterno» (p. 7) quale fattore criminogeno, confermando le aperture nei confronti di alcune idee della scuola positiva.
Dalle nozze con Anna Prevato (1857-1922) nacquero tre figli: Francesco, Costanza e Sergio, a sua volta avvocato affermato a Bologna.
Morì a Milano la notte del 23 giugno 1931.
Fonti e Bibl.: Padova, Archivio dell’Università, Facoltà di giurisprudenza, Iscrizioni, Iscrizioni corso I (1876-77), corso II (1877-78), corso III (1878-79); Registri delle carriere studenti, f. Stoppato Alessandro, 1876; C. Bianchedi, A. S., in Annuario della Regia Università di Bologna, a.a. 1931-32, Bologna 1932, pp. 383-398; G. Marciano, A. S.: orazione commemorativa tenuta a Padova il 15 maggio 1932, Padova 1932; G. Penso, A. S. (necrologio), in Il pensiero giuridico penale, III (1932), 3-4, pp. 324-330; A. De Marsico, Il pensiero di A. S. e gli attuali orientamenti del diritto penale, in Annuario della Regia Università di Bologna, a.a. 1932-33, Bologna 1933, pp. 67-117; Id., Penalisti italiani, Napoli 1960, pp. 1-49; G. Rochat, L’esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini, Bari 1967, pp. 67-128; R. Ferrarese, Uomini di Cavarzere, Cavarzere 1974, pp. 26-29; M.N. Miletti, Un processo per la terza Italia. Il codice di procedura penale del 1913, Milano 2003, ad ind.; L. Garlati, Silenzio colpevole, silenzio innocente. L’interrogatorio dell’imputato da mezzo di prova a strumento di difesa nell’esperienza giuridica italiana, in Riti tecniche interessi. Il processo penale tra Otto e Novecento. Atti del Convegno, Foggia... 2006, a cura di M.N. Miletti, Milano 2006, pp. 265-359; B. Montesi, Questo figlio a chi lo do? Minori, famiglie, istituzioni (1865-1914), Milano 2007, pp. 154 s.; F. Rotondo, Un dibattito per l’egemonia. La perizia medico legale nel processo penale italiano di fine Ottocento, in Rechtsgeschichte. Zeitschrift des Max-Planck-Instituts für europäische Rechtsgeschichte, XII (2008), pp. 139-173; E. Daggunagher, La disciplina “per circolare” della delinquenza minorile (1870-1940), in “Perpetue appendici e codicilli alle leggi italiane”. Le circolari ministeriali, il potere regolamentare e la politica del diritto in Italia tra Otto e Novecento, a cura di F. Colato et al., Macerata 2011, pp. 515-544; D. Molena, Oltre la scuola antropologica: la riflessione penalistica di Bernardino Alimena, tesi di dottorato, Scuola di dottorato in scienze giuridiche, Università di Milano Bicocca, a.a. 2011-12, passim; C. Storti, S., A., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), diretto da I. Birocchi et. al., II, Bologna 2013, pp. 1918-1920; A. Gionfrida, Inventario del fondo H-4. Commissione d’Inchiesta - Caporetto, 2015, http://www.esercito.difesa.it/ storia/Ufficio-Storico-SME/Documents/ 150312/H-4-Commissione-d-inchiesta-Caporetto.pdf (24 gennaio 2019); L. Falsini, Processo a Caporetto. I documenti inediti della disfatta, Roma 2017, pp. 9 s. e passim.