PICCININI, Alessandro
PICCININI, Alessandro. – Nacque a Bologna il 30 gennaio 1566 da Leonardo Maria e Cassandra de Mussolini.
Esponente principale di una famiglia bolognese che produsse musicisti per quattro generazioni. Il nonno (Alessandro di Domenico Piccinini, ricordato tra i «perfetti / che col leuto in braccio fama i freggia» nel Viridario di Gian Filoteo Achillini del 1513), il padre, i fratelli Girolamo (nato a Bologna il 15 gennaio 1573) e Filippo (9 giugno 1576), e il figlio Leonardo Maria furono anch’essi rinomati virtuosi di liuto e d’altri strumenti a pizzico.
Si conoscono i nomi di altri fratelli e sorelle nati dopo il 1575: Paolo, Alfonso, Leonora, Camilla. Un altro fratello, Vittorio, probabilmente non musicista, era l’unico ancora vivo insieme a Filippo dopo il 1630, essendo morta nel 1624 l’ultima sorella, vedova. È difficile, nel primo periodo della loro vita, distinguere le biografie artistiche dei tre fratelli Alessandro, Girolamo e Filippo, strettamente intrecciate fino almeno al 1606.
Nel 1582 Leonardo Maria I, declinata un’offerta di Guglielmo Gonzaga duca di Mantova, aveva trasferito la famiglia a Ferrara per poter servire Alfonso II d’Este. Per alcuni anni tutti insieme i Piccinini si misero in luce nelle occasioni musicali della corte estense (cfr. Newcomb, 1980; Durante-Martellotti, 1989). Morto il duca nell’ottobre 1597, i tre fratelli Piccinini (il genitore era deceduto in data imprecisata tra l’aprile 1593 e il gennaio 1597) entrarono al servizio del cardinal Pietro Aldobrandini, legato pontificio a Ferrara, come risulta dalle ricevute firmate da Filippo anche a nome dei fratelli a partire dal 28 luglio 1598 (cfr. Annibaldi, 1987, p. 81). Nel tentativo di sostituirsi alla mitica figura di mecenate di Alfonso, l’Aldobrandini aveva reclutato i sei più reputati virtuosi della disciolta cappella estense: il compositore e organista Luzzasco Luzzaschi, l’arpista Rinaldo Trematerra, il suonatore di liuto Paolo Biemme e i tre liutisti Piccinini. Salvo Luzzaschi, ormai anziano, tutti accettarono di seguire il cardinale quando questi ritornò a Roma nel 1600 con l’ulteriore incarico di camerlengo, oltre che protettore dell’arciconfraternita della Trinità dei Pellegrini. In quest’ultima istituzione si trovano le prime tracce dell’attività romana di Alessandro e dei fratelli, a partire dal marzo 1600 (cfr. Annibaldi, 1987, p. 83). Nei primi tre anni i tre figurano stabilmente nei ruoli dei ‘Musici’ di casa Aldobrandini, pagati in totale 700 scudi l’anno; dall’aprile 1604 Filippo scompare dai ruoli, da ottobre anche Girolamo, lasciando solo Alessandro con paga mensile di 19,44 scudi. I tre si riuniscono di nuovo presso l’Aldrobrandini nel 1605, ma stavolta è Girolamo a scomparire a metà 1606. Infine Filippo, dal 1607 e fino al 1610, segue a Ravenna il cardinale come legato di Romagna, occupandosi nel contempo anche di uve per conto del marchese Enzo Bentivoglio. Da quel momento le strade dei tre fratelli si dividono.
Filippo Piccinini già il 10 gennaio 1610 era a Torino al servizio del principe di Piemonte, che seguì poi in un viaggio in Spagna nel 1613, ma riscuoteva ancora pagamenti dall’Aldobrandini (cfr. Annibaldi, 1987). Il 22 settembre 1612 l’ambasciatore dei Paesi Bassi a Roma, Philippe Maes, scriveva che a un giovane spedito apposta dalle Fiandre non era stato possibile far dare lezioni di tiorba dal «S.r Piccenini», perché da cinque o sei mesi era al servizio del duca di Savoia (cfr. Coelho, 1997, pp. 123 s.). Nell’ottobre 1614 Filippo fu a Bologna e nel 1616 di nuovo in Spagna, assunto come suonatore di arciliuto nella cappella reale di Madrid, dove risulta fino almeno al 1628; qui compose la musica della prima opera all’italiana rappresentata in Spagna, La Selva sin amor, un’«egloga pastorale» di Lope de Vega, data a corte nel dicembre 1627. Nel 1631 tornò definitivamente a Bologna, passando per Ferrara, come risulta da una sua lettera del 9 giugno a Enzo Bentivoglio (Fabris, 1999, doc. 960, p. 451); ma negli anni successivi, «dopo aver servito per sonatore al Re antecessore, carico di regali e di mercede, mai più aveva toccato liuto» (Malvasia, 1678, p. 430). Filippo morì nel 1648.
Girolamo Piccinini fu dal 1606 al servizio di Guido Bentivoglio, non solo come musicista: si occupava di questioni amministrative (carrozze, cavalli, vendite, servitù) e nel 1607, assieme a Girolamo Frescobaldi, anch’egli al servizio del Bentivoglio, seguì il padrone nel suo viaggio in Fiandra come nunzio papale. Nel passare da Ferrara i musicisti incontrarono per l’ultima volta l’anziano Luzzaschi. A Bruxelles, Girolamo poté mettere in luce le sue qualità di virtuoso di liuto, tiorba e chitarra alla presenza dell’arciduca (lettera di Girolamo al marchese Bentivoglio, 3 gennaio 1609; cit. in Fabris, 1999, doc. 164, p. 211); morì in Fiandra pochi mesi dopo, lasciando eredi per testamento i fratelli Alessandro, Vittorio e Filippo, con una somma maturata di 900 ducati.
Dopo il 1607 Alessandro era dunque l’unico del trio rimasto a Roma; entrò al servizio del marchese Enzo Bentivoglio, fratello di Guido, che nella città papale si presentava come ‘ambasciatore’ di Ferrara, ricreando idealmente, con l’organista Frescobaldi (ferrarese, allievo di Luzzaschi), il liutista Piccinini e tre cantatrici (tra cui l’arpista napoletana Lucrezia Urbani), il ricordo del celebre concerto estense del passato. Come Frescobaldi, Piccinini non ebbe però uno stipendio stabile né fu ospitato dal marchese: il suo incarico consisté nel dare lezioni alle cantanti e ad altri musicisti accolti nella casa romana dei Bentivoglio. Quando il marchese tornò a Ferrara dal 1611, Alessandro, già sposato con una donna di nome Cornelia, preferì stabilirsi a Bologna, declinando l’offerta di sostituire il fratello Girolamo nel servizio bentivolesco.
Il rapporto di Alessandro con il marchese, documentato da oltre 50 lettere del musicista conservate nell’Archivio Bentivoglio di Ferrara, è la fonte biografica più importante per ricostruirne le attività: spesso le lettere informano su prezzi e spedizioni di vini (di cui il liutista si dimostra assai competente), mobili, quadri e oggetti d’arte. I rapporti musicali con la famiglia Bentivoglio, saltuari, consistettero nel procurare da Bologna cantanti e strumentisti per il marchese Enzo – nel 1612 Alessandro si scusa di non poter mandare a Ferrara un nipote, Paulo, musicista non ancora provetto – mentre la sua attività sembra concentrata a Bologna, in rapporto di servitù con aristocratici come il conte Filippo Pepoli e soprattutto il legato pontificio Maffeo Barberini (il futuro papa Urbano VIII), ma anche impegnato in lezioni di liuto in case private, oltre che in compravendite di vini.
Nel 1623 gli eredi di Giovan Paolo Moscatelli pubblicarono in Bologna il Libro primo di Intavolatura di liuto et di chitarrone, opera che consacrò la fama europea di Alessandro Piccinini. Un secondo libro di Intavolatura di liuto uscì postumo nel 1639, sempre a Bologna (presso Giacomo Monti e Carlo Zenero), a cura del figlio Leonardo Maria (che vi incluse anche brani propri).
Morì probabilmente nel 1638, lontano da Bologna (cfr. Fantuzzi, 1788, in Meucci, 2009a, p. 111).
Leonardo Maria II Piccinini, unico figlio noto di Alessandro e Cornelia, nato probabilmente a Bologna dopo il 1611, morì a Venezia nel 1645 senza aver fatto testamento: lo zio Filippo si prese cura dei due figli di lui rimasti a Bologna, Alessandro (nato nel 1634) e Cassandra (nata nel 1636).
La fama coeva di Alessandro Piccinini è legata all’invenzione dell’arciliuto, da lui rivendicata in un lungo avvertimento «agli studiosi» nel citato Libro primo (1623). Alcune lettere consentono di ricostruire la lenta genesi di questo volume. Fin dal 27 agosto 1614 Piccinini aveva confidato a Enzo Bentivoglio di voler mandare a incidere in rame «un libro da sonare di lauto» che aveva cominciato a redigere già a Roma (Fabris, 1999, doc. 432, p. 297): ma ci vollero quasi dieci anni prima che uscisse. In una lettera inviata da Bologna a Modena nel gennaio 1623 l’autore supplicava l’intervento del cardinal d’Este presso il vicelegato di Bologna, perché premesse per completare l’edizione avviata già l’anno prima, ma interrotta per la morte dello stampatore (proprio nel 1622 Piccinini aveva accettato un allievo di liuto segnalatogli dal cardinale modenese, poteva dunque chiedere questo favore). L’opera uscì infine con una sorprendente lettera dedicatoria a Isabella d’Asburgo, infanta di Spagna e arciduchessa d’Austria (allora governatrice spagnola dei Paesi Bassi), datata da Bologna il 2 agosto 1623: Piccinini avrà sperato che la protezione principesca, procuratagli forse tramite il fratello Filippo, allora al servizio del re di Spagna, avrebbe potuto assicurare un mercato internazionale all’opera.
Il libro postumo fu dedicato dal figlio al cardinal Guido Bentivoglio, ricordando «l’antica, strettissima e divotissima servitù che sempre e mio avolo ed esso mio padre e Filippo e Girolamo suoi fratelli ed io dopo loro abbiamo professata sempre con l’illustrissima Casa di V.E., e particolarmente con la di lei propria persona».
Il contenuto del Libro primo ha un carattere retrospettivo: riflette l’intera esperienza artistica e didattica del virtuoso, dall’età aurea del tardo Cinquecento estense alle sperimentazioni romane del primo Seicento, e non del solo Alessandro bensì del trio tutto. Lo stile dei tre fratelli – «più grave» quello di Girolamo, «più capriccioso» quello di Filippo –, insieme al ricordo dei loro maggiori mecenati, è evocato nel cap. 33 degli «avvertimenti», che tratta «le compositioni in concerto a dua e tre liuti». La parte più sperimentale, nel Libro primo come nel postumo, è legata soprattutto a brani come le toccate cromatiche (la terza per chitarrone – il termine è sinonimo di tiorba –, la dodicesima per liuto) o le partite variate. In sostanza i 65 brani per liuto e i 32 per chitarrone del Libro primo non si distaccano dallo stile dei soli 32 pezzi tutti per liuto del libro postumo del 1639 (in quest’ultimo i brani del figlio Leonardo Maria non sono distinti da quelli paterni, ma li si può forse riconoscere dai titoli più adeguati alla moda del quarto decennio del secolo: per esempio, la Chiaccona Cappona o Mariona alla vera Spagnola, la Saravanda alla Francese ecc.). Si tratta di toccate, ricercari, partite, arie e tenori, e soprattutto danze riconducibili a modelli già in uso nel Cinquecento: correnti, gagliarde, balletti, ciaccone, con particolare attenzione alle variazioni secondo formule condivise dai compositori ‘moderni’ come Frescobaldi, il liutista Pietro Paolo Melli e il tiorbista Giovanni Girolamo Kapsperger. La scelta di soli brani per liuto nell’edizione curata da Leonardo Maria esprime bene la predilezione del genitore per quello ch’egli dovette considerare il suo vero strumento rispetto alla tiorba. Nella citata lettera del 27 agosto 1614 Piccinini aveva confessato a Bentivoglio: «su la teorba non ho mai fatto niente, se non per Giorgio certe cosette cavate dal leuto le quale ognuno le ha in Ferara». L’osservazione può indicare che la maggior parte dei brani per tiorba siano adattamenti di precedenti composizioni per liuto.
L’importanza storica del Libro primo, al di là della ricchezza e varietà del contenuto, risiede nella lunga serie preliminare di «avvertimenti che insegnano la maniera e il modo di ben sonare con facilità i sudetti strumenti». In 34 capitoletti Piccinini offre una completa introduzione circa i segreti basilari della tecnica e interpretazione liutistica, con due capitali annotazioni storiche Dell’origine del Chitarrone e della Pandora (cap. 28) e Dell’Arciliuto, e dell’inventore d’esso (cap. 34 e ultimo). La veridicità delle affermazioni di Piccinini è stata oggetto di una lunga vertenza tra gli organologi, ma si può ormai considerare accertata (cfr. Meucci, 2009a). Nel gennaio 1595 il liutista si era recato a Padova dal liutaio tedesco Cristoforo Eberle, come scriveva al duca di Ferrara: «Essendo arivato in Padua alli venticinque del presente subito ordinai i lauti» (cfr. Meucci, 2009a, p. 115). Ma il prototipo di liuto «di corpo grande» non riuscì del tutto soddisfacente (regalato da Piccinini al dilettante ferrarese Antonio Goretti, questo prototipo quasi mostruoso di grande liuto sarebbe poi entrato nelle collezioni austriache, dapprima a Innsbruck, indi a Vienna, dove oggi lo si ammira al Kunsthistorisches Museum). Il liutista tentò allora d’invertire il principio della sua sperimentazione, lasciando il corpo normale e allungando il collo (la «tratta») per consentire la vibrazione di lunghe corde non tastate nei bassi: donde il nome, ‘arciliuto’. Stavolta l’effetto fu tale da commissionare a Eberle altri tre strumenti del nuovo tipo; il duca di Ferrara ne regalò due al principe Carlo Gesualdo di Venosa, che a sua volta ne lasciò uno a Roma in mano al «cavaliere del liuto», Vincenzo Pinti: quest’ultimo strumento, morto Pinti nel 1608, tornò nelle mani di Piccinini, ch’era allora a Roma presso i Bentivoglio.
Manoscritti. Modena, Archivio di Stato, ms. Ducale Segreto, b. IV, fasc. B (datato 1614): numerosi brani di Alessandro Piccinini (AP) e Giovanni Girolamo Kapsperger (HK), facsimile a cura di Francesca Torelli, Firenze 1999; Bologna, Archivio di Stato, Fondo Malvezzi Campeggi, ms. IV-86/746: Corrente III (cc. 10v e 13v); Berlino, Staatsbibliothek, ms. Danzig 4022, datato 1621: Saravanda e Tamburina Galliarda (c. 5r-v); Praga, Národní Muzeum, Hudební oddělení, ms. IV.G.18, datato 1623-27: 3 Correnti, 2 Gagliarde (pp. 215-218); Parigi, Bibliothèque nationale de France, Département de la Musique, Mus. Rés Vmc ms. 30, datato 1626 (può darsi che alcuni brani «di chitarone al uso d’Ittalia ed altre Provincie» siano attribuibili ad Alessandro Piccinini).
Fonti e Bibl.: Lettere autografe di e su Alessandro (e Filippo) Piccinini in: Archivio di Stato di Ferrara, Archivio Bentivoglio, Lettere sciolte, sub anno; Libro dei Contratti, 83, N.9: Sommario del testamento del S.r Girolamo Piccinini fatto in Spa (22 marzo 1610); Archivio di Stato di Modena, Archivio Ducale Estense, b. Musica e Musicisti A/1; Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Fondo Barberini; Archivio di Stato di Ferrara, Archivio Bentivoglio.
Edizioni moderne: Alexandri Piccinini: Opera. Intavolatura di liuto e di chitarrone Libro Primo, a cura di M. Caffagni, 2 voll., Bologna 1962; Sämtliche Werke für Laute solo, a cura di D. Perret - R. Correa - M. Chatton, 2 voll., Wilhelmshaven 1983.
G.C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi, II, Bologna 1678, p. 430; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, VI, Bologna 1788, p. 392; E. Vander Straeten, La musique aux Pays-Bas avant le XIXe siècle, II, Bruxelles 1872, pp. 376-378; L. Frati, Liutisti e liutai a Bologna, in Rivista musicale italiana, XXVI (1919), pp. 94-111; G. Kinsky, A. P. und sein Arciliuto, in Acta Musicologica, X (1938), pp. 103-118; A. Newcomb, Girolamo Frescobaldi, 1608-1615, in Annales musicologiques, VII (1964-1977), pp. 139 s.; R. Spencer, Chitarrone, theorbo and archlute, in Early Music, IV (1976), pp. 403-423; A. Newcomb, The madrigal at Ferrara, 1579-1597, Princeton 1980, pp. 30, 156 s., 165, 179, 182; L. De Grandis, Famiglie di musicisti del ’500. I Piccinini: vita col liuto, in Nuova Rivista musicale italiana, XVI (1982), pp. 226-232; E. Durante - A. Martellotti, Un decennio di spese musicali alla corte di Ferrara (1587-1597), Fasano 1982, pp. 15, 27, 39; O. Cristoforetti, introduzione a Intavolatura di liuto et di chitarrone Libro Primo, facsimile, Firenze 1983; J. Dugot - M. Horvat, Piccinini: Avertimenti 1623, in Musique ancienne, XIX (1985), pp. 21-39; D. Fabris, Frescobaldi e la musica in casa Bentivoglio, in Girolamo Frescobaldi nel IV centenario della nascita, a cura di S. Durante - D. Fabris, Firenze 1986, pp. 63-85; C. Annibaldi, Il mecenate ‘politico’: ancora sul patronato musicale del cardinale Pietro Aldobrandini (ca. 1571-1621), in Studi musicali, XVI (1987), pp. 33-93; XVII (1988), pp. 101-178; E. Durante - A. Martellotti, Cronistoria del Concerto delle Dame principalissime di Margherita Gonzaga d’Este, Firenze 1989, p. 117; V.A. Coelho, Marino’s ‘Toccata’ between the lutenist and the nightingale, in The ‘Sense’ of Marino: literature, fine arts and music of the Italian baroque, a cura di F. Guardiani, New York-Toronto 1994, pp. 395-427; Id., The Manuscript sources of seventeenth-century Italian lute music, New York 1995, ad ind.; Id., Authority, autonomy, and interpretation in seventeenth-century Italian lute music, in Performance on lute, guitar, and vihuela, a cura di V.A. Coelho, Cambridge 1997, pp. 108-141, in partic. pp. 108 s., 112, 123-128, 131, 133; D. Fabris, Lute tablature instructions in Italy: a survey of the ‘Regole’ from 1507 to 1759, ibid., pp. 37-39; Id., Mecenati e musici. Documenti sul patronato artistico dei Bentivoglio di Ferrara nell’età di Monteverdi (1585-1645), Lucca 1999, ad ind.; Lope de Vega, La selva sin amor, a cura di M.G. Profeti, Firenze 1999; F. Torelli, introduzione a G. Kapsperger - A. Piccinini - G. Viviani, Intavolatura di chitarrone. Mss. Modena, facsimile, Firenze 1999, pp. [I-VIII]; M.G. Profeti, Spettacoli musicali a corte tra Firenze e Madrid: ‘La selva sin amor’ e dintorni, in Rime e suoni alla spagnola, a cura di G. Veneziano, Firenze 2003, pp. 97-108; R. Meucci, A. P. e il suo arciliuto, in Recercare, XXI (2009a), pp. 111-134; Id., New light on the origin of the chitarrone and related instruments, in Laute und Theorbe. Symposium im Rahmen der 31. Tage Alter Musik in Herne, a cura di C. Ahrens - G. Klinke, München-Salzburg 2009b, pp. 10-29; L. Sisto, Carlo Gesualdo da Venosa e la trasmissione dell’arciliuto a Napoli e nell’Italia meridionale, in Philomusica on-line, XII (2013), pp. 23-42, http://riviste.pavia universitypress.it/index.php/phi/article/view/1616/1681 (2 giugno 2015); D. Fabris, Gesualdo liutista, in Festival Gesualdo. Atti del Convegno…, 2013, a cura di G. Iudica - C. Fertonani, Milano 2015, pp. 49-62, in partic. pp. 54-60.