GIFFLENGA, Alessandro de Rege conte di
Nacque il 19 ott. 1774 a Tronzano, presso Vercelli, da Carlo Francesco e Chiara Cusani di Sant'Agnese. Stava completando gli studi di giurisprudenza presso l'Università di Torino quando il 23 sett. 1792 fu nominato cornetta nel reggimento "Dragoni della regina". Con questo reparto partecipava alle campagne 1792-95 contro i Francesi rimanendo ferito due volte (1793 e 1795). Promosso sottotenente nel febbraio 1796, passava il mese successivo nelle guardie di sua maestà.
Dopo la capitolazione (dicembre 1798) e la partenza del re Carlo Emanuele IV per la Sardegna, il G. prese servizio nell'esercito francese come aiutante di campo del generale M.I. Fresia d'Oglianico. Nella campagna del 1799 contro gli Austro-Russi fu nominato caposquadrone: il 28 aprile, dopo aver trattato la resa della sua divisione, fu fatto prigioniero a Verderio, ma, subito liberato, fu incaricato dal generale A.V. Suvorov di recare a Carlo Emanuele IV in Sardegna la notizia che il Piemonte era stato ripreso. Il re lo ricompensò nominandolo cavaliere dell'Ordine di S. Maurizio e Lazzaro e secondo scudiero della regina. (Secondo fonti francesi quest'ultima nomina sarebbe però da retrodatare al 1797 insieme con una sua promozione a capitano.)
Dopo Marengo, con il ritorno della dominazione francese in Piemonte, il G. visse per qualche tempo tra Firenze e Pisa. Non avendogli riconosciuto l'ultima promozione sul campo (1799), il governo di Parigi lo congedò il 7 febbr. 1803 come capitano, per poi riammetterlo nell'aprile 1805 con la promozione a capobattaglione e l'affidamento del comando del 3° battaglione della Légion du Midi, un'unità reclutata in Piemonte che si stava organizzando nell'Île de Ré. Con il trasferimento allo stato maggiore dell'Armata d'Italia (1806) vennero anche la partecipazione del G. alle campagne del 1806 e del 1807 in Italia e in Germania e la promozione a colonnello. Seguirono l'assegnazione alla divisione dell'Adriatico quale capo di stato maggiore e, come ricompensa per i servizi prestati, la nomina a presidente del secondo "cantone elettorale" di Vercelli, incarico che gli fu riconfermato nel 1812.
Insignito del cavalierato della Legion d'onore e della Corona di ferro (1809), lo stesso anno divenne capo di stato maggiore della divisione Grenier, con la quale si distinse contro gli Austriaci nelle battaglie di Sacile e del Piave, conducendo al fuoco la cavalleria della guardia italiana. Il viceré Eugenio, che aveva guidato la campagna, lo volle aiutante di campo, manifestandogli una stima destinata a durare anche dopo la caduta del Regno Italico (l'archivio di Eugenio Beauharnais, attualmente presso la biblioteca dell'Università di Princeton, conserva 57 lettere del G. tra il 1809 e il 1817). Al seguito del viceré il G. combatté sui campi di Raab e di Wagram e il 14 apr. 1810 fu nominato barone dell'Impero con una rendita annua di 6000 franchi. Nell'ottobre dello stesso anno, sbarcato a Lissa alla testa di un battaglione del 3° reggimento di fanteria leggera italiano, il G. riuscì, nonostante lo smacco subito dalle navi italiane e francesi a opera di una squadra inglese, a compiere la missione e a ricondurre i suoi uomini in salvo ad Ancona.
Nel 1811 fu posto al comando del 31° reggimento di fanteria leggera francese, formato in gran parte da piemontesi e impiegato in Spagna e in Portogallo. Richiamato in Italia nella primavera del 1812, il G. seguì il principe Eugenio nella campagna di Russia guadagnando la promozione a generale di brigata. Ferito a Malojaroslavec durante la ritirata, al termine della campagna fu nominato comandante della piazza di Berlino.
Al rientro in patria per un breve periodo di cure termali a Thonon, vi conobbe il giovane C. Balbo, di cui sarebbe stato un po' il mentore: a lui confidò le idee e le speranze che cominciavano a circolare tra i militari del Regno Italico in merito alla futura indipendenza dell'Italia.
Richiamato dal principe Eugenio e posto a capo della divisione di riserva, il G. occupò Bressanone e sconfisse gli Austriaci a Brunico (25 sett. 1813). Dovette però alla metà di ottobre evacuare Trento per non essere tagliato fuori: sconfitto presso Ala, riuscì ugualmente a mantenersi intorno a Brescia sino a fine anno. All'inizio del 1814 fu inviato a Napoli: doveva sondare le intenzioni di Gioacchino Murat circa la sua fedeltà all'imperatore, ma non ottenne assicurazioni. L'8 aprile, poco prima dell'armistizio di Schiarino-Rizzino, il principe Eugenio gli affidava una missione a Parigi presso l'imperatore.
Caduto Napoleone, il G. si dimise dal servizio francese il 6 maggio e tornò in Piemonte. Conosciuto per le sue idee favorevoli all'indipendenza e considerato elemento di provata fede massonica nonché uno dei maggiori esponenti della società segreta degli Adelfi, alla vigilia della "congiura militare di Milano" il G. fu interpellato dagli ufficiali del disciolto Esercito italico. Probabilmente si pensava a lui anche come al possibile contatto, in funzione antiaustriaca, con la corte di Torino; senonché, invece di lasciarsi coinvolgere in una cospirazione in cui non credeva, il G. informò le autorità piemontesi che si affrettarono a farne partecipi quelle austriache di Milano. Sul finire del 1814 questo gesto fu forse il preludio alla riammissione del G. nell'esercito sardo, prima come colonnello di cavalleria soltanto, quindi con la promozione a maggiore generale accordatagli il 25 marzo 1815 insieme con l'incarico di procedere allo scrutinio delle domande di ammissione degli ufficiali piemontesi già dell'esercito francese, dei cui servizi la fuga di Napoleone dall'Elba aveva reso urgente il bisogno. Nella breve campagna in Savoia contro i Francesi il G. si distinse alla testa delle truppe che il 6 luglio assalirono Grenoble e il 9 ne ottennero la capitolazione: uguale successo gli arrise più a sud, a Embrun, il 2 agosto. A conclusione della campagna fu premiato con importanti decorazioni piemontesi, austriache e francesi.
Il 27 dic. 1815 gli fu dato il comando della divisione militare di Torino; con la nomina a ispettore della cavalleria (18 marzo 1816), il G., al quale si debbono i regolamenti per il servizio di fanteria e cavalleria emanati tra il 1815 e il 1817, poté procedere alle innovazioni che tolsero all'arma l'impronta settecentesca. Il 5 marzo 1820 fu promosso luogotenente generale.
Negli atteggiamenti e nelle idee del G. restava comunque una certa dose di ambiguità. I suoi contatti con gli esponenti degli ambienti liberali, come S. di Santarosa, C. Balbo - che aveva voluto con sé nella campagna del 1815 e che aveva in seguito incoraggiato negli studi militari -, Carlo Alberto principe di Carignano e altri, non dovevano sembrare troppo degni di nota se la polizia si limitò a esercitare una blanda sorveglianza anche dopo il sequestro, insieme con altro materiale politicamente sospetto, di due lettere a lui indirizzate nel febbraio 1821 dal noto rivoluzionario L. Angeloni.
Certamente consapevole di quanto si stava preparando, specie in seno all'esercito, il G. badò bene di non impegnarsi, mantenendo al contempo buoni rapporti con gli ambienti di corte. Probabilmente, ambizioso e abile qual era, contava di potere, al momento opportuno e una volta chiaritasi definitivamente la situazione, agire da mediatore appoggiandosi alla parte vincente: come gli avrebbe in seguito rimproverato la regina Maria Teresa, voleva per sé il ruolo di Lafayette ma senza averne i talenti e la popolarità.
Presente all'abdicazione di Vittorio Emanuele I, per non esporsi il G. evitò di collaborare con Carlo Alberto che, divenuto reggente, aveva chiesto il suo appoggio. Preferì invece scortare a Nizza la coppia reale dopo l'abdicazione e in attesa degli eventi si ritirò a Tronzano; e quando Carlo Felice proclamò l'illegittimità di ogni atto posteriore all'abdicazione, il G. offrì i suoi servigi al generale V. Sallier de La Tour, comandante delle truppe lealiste, cui era stato ordinato di reprimere il moto. Quando finalmente ebbe raggiunto il La Tour, il G. assisteva l'8 aprile, pur senza avere alcun comando effettivo, allo scontro di Novara. Ciò non bastò a convincere Carlo Felice a usargli un trattamento di riguardo: ricevuto l'ordine di ritirarsi a Tronzano, il G. lo eseguì il 19 apr. 1821, protestando la "irreprensibilità" della propria condotta. Irreprensibilità era un termine troppo impegnativo per un uomo così ambiguo e, forse anche troppo scaltro: certo è che, comunque, non si riuscirono a trovare - o non si vollero trovare - prove sufficienti per poter procedere contro di lui.
Il G. rimase a Tronzano sino alla fine di novembre, quando lo raggiunse un ordine del re che gli imponeva l'immediato espatrio in Inghilterra con il divieto di rimpatrio senza autorizzazione. Il G. ottenne tuttavia il permesso di poter risiedere in Francia e si stabilì successivamente a Montpellier, Clermont e Marsiglia. Il 1° dicembre era stato dispensato da ogni servizio come luogotenente generale e provvisto di una pensione di 2385 lire annue. In Francia condusse vita ritirata, limitandosi a inviare - nell'ottobre 1822 - una smentita alla voce che circolava di una sua lettera di protesta inviata al Congresso di Verona. Nell'autunno del 1823 chiese, in attesa di essere finalmente sottoposto a giudizio (il che non si verificò mai), di poter far ritorno in patria, ciò che gli fu concesso a partire dalla primavera successiva, a condizioni di stabilirsi a Tronzano.
Qui il G. visse appartato dedicandosi a opere di beneficenza fino al 1839 quando re Carlo Alberto, nell'ambito della nuova politica che si andava delineando, lo richiamò gradualmente alla vita pubblica, nominandolo regio commissario presso il ricovero di mendicità di Vercelli e, per quanto atteneva alla sua posizione militare, facendolo considerare come "posto in aspettativa". Maggiori attestazioni del favore del re gli furono riservate negli anni successivi: nel 1841 fu nominato sindaco di Vercelli (e molto si adoperò per migliorarne le condizioni) e nel marzo 1842, all'indomani dell'indulto accordato ai compromessi del 1821, fu insignito del gran cordone dei Ss. Maurizio e Lazzaro e della medaglia mauriziana, ciò che suscitò malcontento negli ambienti reazionari.
Il G. morì a Vercelli il 14 dic. 1842.
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