CODIVILLA, Alessandro
Nacque a Bologna il 21 marzo 1861, in una famiglia di modeste condizioni economiche, da Enrico, impiegato presso il locale Monte di pietà, e da Anna Degli Esposti Pedrazzi. Il C. seguì gli studi universitari nella città natale, laureandosi nell'anno 1886 con una brillante tesi: Sopra un caso di empyema necessitatis pulsans (in Scritti mediciI, pp. 1-27). Conipiuto il servizio militare entrò (classificandosi, alla Scuola di applicazione di Firenze, secondo su centosettantasette allievi), nella clinica chirurgica dell'università di Bologna, dove nel 1889 fu nominato assistente. Morto tragicamente il titolare della cattedra, P. Loreta, e sofferente di una lunga malattia il suo successore, A. Poggi, il C. abbandonò la clinica e, avendo vinto il concorso per primario chirurgo, si trasferì all'ospedale di Castiglione Fiorentino, dove prestò servizio dall'ottobre 1890 al giugno 1894. In questa sede svolse un'intensa attività pratica e chirurgica, pur non cessando di studiare e pubblicare. Di particolare interesse appaiono i suoi contributi Sulla gastroenterostomia (in Scritti medici II, pp. 336 s.) e Sei casi di gastroenterostomia (in Scritti medici I, pp. 114-129), in cui riferì sull'intervento di anastomosi gastro-enterica, per la prima volta praticato come cura delle ulcere duodenali in atto e non stenosanti, allo scopo di mantenere il viscere a riposo e favorire così la guarigione della lesione ulcerativa. Degno di nota appare anche il Contributo alla diagnosi e alla cura delle cisti da echinococco cerebrali (ibid., pp. 130-153), pubblicato in collaborazione con G. Mya, che "ebbe l'onore di essere citato da Brissaud alla Salpêtrière come un modello di osservazione anatomica e clinica bene raccolta e bene presentata" (cfr. Nigrisoli, 1944).
Nel giugno 1894 si trasferì a Macerata: la sua prima seduta operatoria nella nuova sede fu funestata da un decesso da cloroformio. Tale triste evento gli suscitò contrasti e risentimenti e rese difficile il suo ambientamento.
Dopo pochi mesi venne chiamato quale chirurgo primario a Imola, dove prese servizio il 1º genn. 1895. Nell'agosto del 1895 sposò Emilia Ferretti, di La Spezia: dal matrimonio nacquero tre figli, Alessandro ed Ernesto a Imola, e Mario, successivamente, a Bologna. In questo periodo, oltre a interessanti rendiconti clinico-statistici della sua intensa attività chirurgica, pubblicò un Contributo alla chirurgia gastrica (in Scritti medici I, pp. 202-278 e in Scritti medici II, pp. 343-347), in cui riferiva su quaranta interventi, soffermandosi su otto casi di ampia resezione gastrica per carcinoma, intervento per quei tempi audace e anticipatore di tecniche nuove. Importanti anche i suoi contributi alla chirurgia del sistema nervoso: nel 1897 pubblicò Trentuno casi di chirurgia cranica e cerebrale (in Scritti medici I, pp. 172-190), forse la più importante casistica pubblicata sino ad allora. Per eseguire ampi lembi osteoplastici della calotta cranica, inventò un craniotomo (fatto costruire da A. Lollini), che "per la sua semplicità, rapidità e delicatezza di funzionamento" si faceva preferire ad altri consimili strumenti: ne riferì nel 1898 sul Centralblatt f. Chirurgie (ibid., pp. 196 ss.) e successivamente al congresso della Società francese di chirurgia nel 1900 (ibid., pp. 416-424).
Da questo momento, però, il C. abbandonerà la chirurgia generale per dedicarsi interamente alla chirurgia degli organi di movimento, e la sua produzione scientifica si limiterà ai multiformi aspetti della nuova specialità, con contributi geniali che apriranno nuove vie alla ricerca e al progresso. Nel 1899 fu chiamato alla direzione dell'Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna, nato per volontà testamentaria dai lasciti dell'illustre chirurgo F. Rizzoli e inaugurato il 28 giugno 1896.
L'Istituto era ubicato nella sede monumentale di un antico convento (successivamente Villa Reale), ma disponeva all'inizio di modeste strutture organizzative. P. Panzeri, direttore dell'Istituto dei rachitici di Milano aveva acconsentito ad assumerne temporaneamente la direzione e ad avviarne i primi passi; ma, sottoposto a una campagna oltraggiosa e calunniosa, rinunciava all'incarico sul finire del 1898. La commissione amministrativa, guidata dall'avvocato G. Bacchelli, dopo aver offerto il posto a vari chirurghi della città, che lo rifiutarono, chiamò alla guida dell'Istituto il giovane chirurgo di Imola, il C., che ne assunse ufficialmente la direzione il 1º genn. 1899. La scelta non fu priva di contrasti e vi fu chi poté affermare pubblicamente che "il posto di direttore dell'Istituto era stato affidato a persona non adatta a sostenere le sorti dello stabilimento" (cfr. Anzoletti, 1954, p. 35). Ma le attività clinica e scientifica del C. valsero presto a smentire sì sconsiderati giudizi. La sua produzione scientifica affrontò subito grossi problemi della specialità (i trapianti tendinei, la lussazione congenita dell'anca, la tubercolosi osteo-articolare), ampliando le nozioni conosciute e innovando i provvedimenti terapeutici. Di grande aiuto gli furono certo i contatti con l'ortopedia tedesca, i cui rappresentanti più prestigiosi - quali J. W. Wolff, A. Schanz, O. Vulpius - aveva avuto modo di frequentare durante un rapido viaggio di studio in Germania. E quando, nel 1901 fu costituita la Società tedesca d'ortopedia, il C. fu uno dei due stranieri accoltivi. Nell'aprile 1901 era morto il Panzeri, lasciando vacante la direzione dell'Istituto rachitici di Milano. Fu bandito un concorso per titoli e il C. vi riuscì primo: ottenne quindi il 10 maggio 1902 la direzione di quell'Istituto e la mantenne per quattordici mesi, senza rinunziare alla direzione dell'Istituto Rizzoli. Egli era ormai chiaramente il più illustre cultore dell'ortopedia in Italia.
Contemporaneamente si svolgeva la carriera universitaria del C.: nominato nel 1899 libero docente in clinica chirurgica presso l'università di Torino, ottenne l'incarico di insegnamento della clinica ortopedica nell'università di Bologna per l'anno accademico 1900-1901. La prolusione, pubblicata nel Policlinico (Scritti medici I, pp. 440-461), dedicata a L'adattamento funzionale in ortopedia, tendeva a dimostrare i compiti e i limiti della ortopedia modernamente intesa, affermatasi come specialità autonoma staccata dalla chirurgia generale. Concetti questi che svilupperà meglio e più a fondo in Definizione e limiti dell'ortopedia, relazione introduttiva al III congresso della Società ortopedica italiana del 1906 a Milano (ibid., pp. 893-901). Conseguita nel 1902 la libera docenza in ortopedia, ebbe confermato l'incarico dell'insegnamento sino al 1903-1904, quando fu nominato professore straordinario di ortopedia. Nel 1907 la cattedra venne messa a concorso e il C., collocato al primo posto, fu definitivamente assunto nei ruoli universitari. Oberato da molteplici impegni di studio e di insegnamento, nel 1908 si dimise dall'incarico di direttore dell'Istituto Rizzoli, mantenendone la qualifica di clinico consulente.
Intensa fu la sua partecipazione a congressi e riunioni. Socio fondatore della Società ortopedica italiana, riuscì a ridarle vita dopo lunghi anni di silenzio (i primi congressi si erano svolti nel 1892 e nel 1893), convocando nel 1906 il III congresso a Milano e nel 1907 il IV congresso a Bologna. Fu presidente della Società medico-chirurgica di Bologna per il biennio 1903-1904 e presidente della Società italiana di terapia fisica nel 1906. Dal 1902 fu direttore dell'Archivio di ortopedia, la più antica rivista italiana della specialità. Fu relatore ufficiale a numerosi congressi nazionali e internazionali, come al I congresso della Società internazionale di chirurgia in Bruxelles nel 1905 (L'élément fonctionnel dans le traitement de la tuberculose articulaire,ibid., pp. 811-828), al VI congresso pediatrico italiano nel 1907 (Della lussazione congenita dell'anca,ibid., pp. 936-954), al XVI congresso internazionale di medicina a Budapest nel 1909 (Sur le traitement des pseudarthroses des os longs,ibid., pp. 991-1065), alla XXIII adunanza della Società italiana di chirurgia a Roma nel 1910 (Sul trattamento della tubercolosi ossea ed articolare,ibid., pp. 1097-1166). Nel maggio 1910partecipò a Buenos Aires al congresso internazionale di medicina, prese parte attiva a riunioni e discussioni scientifiche e operò in diverse cliniche della città. Di questo periodo rimangono, nella Revista de la Sociedad medica argentina del 1910, due interessanti pubblicazioni: Sulle indicazioni e sulla tecnica della estensione col chiodo e Sul trapianto osseo libero (ibid., pp. 1167-1181 e pp. 1182-1189).
La sua vasta produzione scientifica (riunita in centoventiquattro pubblicazioni principali) è dedicata tutta al progresso della chirurgia e se, come già s'è detto, fino al 1899 aveva preso in considerazione fondamentali aspetti della chirurgia viscerale, dal 1900 si limitò esclusivamente ai problemi dell'ortopedia e della traumatologia.
Di importanza fondamentale rimane la sua invenzione della trazione diretta sullo scheletro, mediante un chiodo passato attraverso il calcagno. L'idea nacque dalla necessità di applicare una potente forza di trazione per correggere deformità del femore, sia congenite (coxa vara) sia acquisite (postumi di frattura), evitando di determinare violente compressioni sulle parti molli, causa di fenomeni necrotici. Il C. ne dette una prima notizia nel fascicolo del maggio 1903 del Bullettino delle scienze mediche di Bologna con la comunicazione Sulla correzione delle deformità da frattura del femore (ibid., pp. 558-561), e al congresso della Società tedesca di ortopedia: Zur Behandlung der coxa vara (ibid., pp. 606-612). Un lavoro più completo, corredato da documentazione iconografica, comparve nello Archivio di ortopedia del 1904 con il titolo Sulla terapia dell'accorciamento nelle deformità dell'arto inferiore (ibid., pp. 672-695). L'idea era lanciata e correttamente impostata, ma forse l'autore stesso non apprezzò a pieno la importanza che questa metodica avrebbe dovuto poi assumere nel trattamento della patologia traumatica, in particolare delle fratture recenti. Infatti ancora nel 1910, nella pubblicazione sulla Revista de la Sociedad medica argentina dall'esplicito titolo Sulle indicazioni e sulla tecnica della estensione col chiodo (ibid., pp. 1167-1181), affermava: "Ritengo che la trazione col chiodo non potrà diventare un metodo comune di cura delle fratture recenti, ma resterà sempre un metodo di eccezione". Il procedimento fu ripreso nel 1907 dal chirurgo bernese F. Steinmann, che lo rese popolare con il proprio eponimo specie nei paesi di lingua tedesca, applicandolo in particolare al trattamento delle fratture recenti mediante trazione continua (Eine neue Extensionsmethode in der Frakturenbehandlung, in Zentrablattf. Chirurgie, XXXIV, p. 9071, pp. 938-42). Ciò non toglie che l'originalità della metodica, il cui principio basilare è rappresentato dalla applicazione della forza traente direttamente sullo scheletro, vada attribuita al C., come è stato ampiamente documentato e riconosciuto, anche da autori di lingua tedesca (cfr. Anzoletti, 1948).
Sono poi da ricordare le pubblicazioni dedicate al trattamento delle paralisi flaccide e spastiche mediante trapianti tendinei, procedimento curativo sino ad allora pressoché ignorato e misconosciuto in Italia, nonostante le positive esperienze straniere. Il C. riferì la sua ampia sperimentazione del metodo nel Policlinico sez. prat. del 1904 (La mia esperienza nei trapianti tendinei,Sez. med. I, pp. 627-671), ove riportò i risultati ottenuti in trecentoventicinque casi operati, soffermandosi a lungo sulle premesse fisiopatologiche, sullo studio clinico e sulla tecnica operatoria. A questa in particolare dedicò un lungo lavoro, pubblicato nell'Archiviodi ortopedia del 1904, Sulla tecnica dei trapianti tendinei (ibid., pp. 705-757), in cui illustrò anche un suo personale strumentario, dettò le regole generali del piano operativo ("è da ammettersi che la deformità debba essere tolta in un primo tempo e che i trapianti debbano essere fatti in un secondo") e precisò ogni dettaglio di condotta tecnica. Originale appare l'utilizzazione dei tendini paralizzati per un migliore controllo articolare passivo, mediante loro fissazione allo scheletro in funzione di legamenti, intervento oggi conosciuto con il termine di tenodesi.
Un altro suo importante filone di ricerca fu la lussazione congenita dell'anca. Il C. ne riferì già nel 1900 al XII Congresso internazionale di medicina a Parigi, occupandosi del trattamento cruento di casi inveterati (Contributo alla tecnica della cura cruenta radicale della lussazione congenita dell'anca,ibid., pp. 389-401). Egli però divenne ben presto fautore del trattamento non chirurgico "da considerare come il metodo normale di trattamento di questa deformità" (Expériences personelles dans la réduction non sanglante de la luxation congénitale de la hanche,ibid., pp. 875 ss.). E in una conferenza al VI Congresso pediatrico italiano del 1907 (Della lussazione congenita dell'anca,ibid., pp. 936-954), partendo da indispensabili premesse anatomopatologiche, per cui "devono considerarsi come rarità i casi nei quali una vera lussazione esiste già alla nascita", giunse a una formulazione che è la vera chiave del problema: "Se un trattamento è possibile, questo sarà tanto più facile ed efficace quanto più è precoce".
Il contributo del C. alla cura del piede torto congenito è di notevole valore. Egli, pur riconoscendo che il trattamento usuale di questa deformità deve rimanere incruento, pose "dietro il raddrizzamento manuale ed a notevole distanza da esso" una metodica di correzione chirurgica che si indirizza alle parti molli, quali responsabili del mantenimento della deformità. Dobbiamo ricordare che a quel tempo i metodi cruenti erano rivolti alla correzione di deformità inveterate, agendo essenzialmente sulla componente scheletrica. Lo americano A. M. Phelps nel 1881 per primo pensò di sezionare le parti molli (pelle, capsule e tendini) sul lato mediale del piede, per consentirne la detorsione. Il C. perfezionò la metodica e vi apportò modifiche sostanziali: apertura di tutte le articolazioni che prendono parte alla deformità; allungamento e sutura in detensione di tutti i tendini retratti del lato mediale; sutura della ferita chirurgica, fissazione delle parti in posizione corretta mediante apparecchio gessato (Nuovo metodo di cura cruenta del piede equino varo congenito,ibid., pp. 840-847). Il metodo da alcuni fu giudicato un mero perfezionamento di quello di Phelps, da altri venne invece ritenuto gravemente traumatizzante e complesso (cfr. Osti). In realtà, fondandosi su chiari principî di fisiopatologia, la metodica si è dimostrata valida nel tempo e ancor oggi viene comunemente impiegata con modifiche non rilevanti (cfr. Vigliani).
Interessante appare anche il contributo del C. alla cura della scoliosi, a cui dedicò sei pubblicazioni: egli fu assertore della cosidetta cura funzionale, basata sul principio che "una funzione intensiva di movimento diretta verso la correzione agisce modificando nel senso normale la forma delle ossa" (Lacura funzionale delle scoliosi non gravi,Sez. med. I, pp. 696-704), e dotò quindi l'Istituto Rizzoli delle macchine per ginnastica correttiva ideate da W. Schultess, che meglio consentivano la mobilizzazione segmentaria del rachide; propose invece di riservare il trattamento modellante con gessi ai casi più gravi di deviazione, richiamando l'attenzione sui quadri patologici determinatisi negli organi interni (Sulle condizioni viscerali degli scoliotici gravi,ibid., pp. 829-839). In più occasioni, rivolgendosi ai medici pratici, il C. condusse una vera opera di propaganda per un trattamento precoce: "La vera cura efficace della scoliosi è nelle vostre mani, poiché sta nella profilassi e nel provvedere convenientemente al primo inizio della deformità" (Sullaimportanza della scoliosi per il medico pratico,ibid., pp. 758-783).
Questa fondamentale importanza attribuita ai principî della prevenzione ritroviamo negli articoli dedicati alla tubercolosi osteo-articolare. Egli espose compiutamente il suo pensiero sull'argomento nella relazione alla Società italiana di chirurgia del 1910 Sul trattamento della tubercolosi ossea e articolare (ibid., pp. 1097-1106): insisté innanzitutto sulla "necessità di migliorare le condizioni igieniche dei pazienti" e sulla importanza della terapia climatica; si batté per l'istituzione di speciali servizi sanatoriali o istituti permanenti, dove le forme specifiche osteoarticolari potessero essere accolte e curate in ambiente specialistico, voto questo che troverà poi una completa attuazione con l'istituzione in Italia di numerosi ospedali ortopedici sanatoriali, primo fra tutti l'Istituto Codivilla di Cortina d'Ampezzo. Un punto ancora della relazione merita di essere sottolineato: senza disconoscere i meriti del trattamento conservativo, il C. precisò la validità del trattamento chirurgico precoce, ne delimitò le indicazioni e la tecnica e ne sottolineò i vantaggi quando attuato da chirurghi perfettamente preparati e in istituti attrezzati allo scopo. Sono pagine che si leggono ancor oggi con proficuo interesse.
In altri campi di indagine il C. recò validi contributi. Si occupò del trattamento delle pseudartrosi e delle estese discontinuità diafisarie, rivolgendo particolare attenzione allo uso di trapianti ossei liberi e peduncolati. Importante, oltre alla già ricordata relazione al congresso di Budapest del 1909 Sur le traitement des pseudarthroses des os longs (ibid., pp. 991-1065), fu anche il lavoro comparso sull'Archivio di ortopedia del 1907: Sulla cura della pseudo-artrosi congenita della tibia (ibid., pp. 904-919). Ideò il trattamento del ginocchio valgo mediante raddrizzamento forzato, metodo che comunicò al I congresso della Società tedesca di ortopedia nel 1902 (Ueber das forcirte Redressement des genu valgum,ibid., pp. 473-483) e che costituì poi l'occasione di una memorabile disputa con un suo costante antagonista, C. Ghillini. Effettuò ricerche sulla protesizzazione dei monconi di amputazione, proclamandosi sostenitore del metodo di cinematizzazione proposto da G. Vanghetti, la cui applicazione tentò di estendere anche all'arto inferiore (Protesi cinematica in un caso di disarticolazione del piede,ibid., p. 1066). Poco prima di morire aveva in corso uno studio Sulla gravabilità dei monconi di amputazione (ibid., pp. 1214-1261), che, nei suoi intenti, doveva portare a una revisione dei comuni metodi di amputazione e disarticolazione.
Il C. continuò intensamente la sua attività sino all'autunno del 1911, quando le sue condizioni fisiche cominciarono rapidamente a declinare. Morì a Bologna il 28 febbr. 1912.
La produzione scientifica del C. è stata raccolta in due volumi: Scritti medici di A. Codivilla, a cura di V. Putti, Bologna s. a., qui indicato come Scritti medici I; Scritti medici di A. Codivilla con notizie su la vita e l'opera sua, a cura di B. Nigrisoli, ibid. 1944, qui indicato come Scritti medici II.
Fonti e Bibl.: B. Nigrisoli-F. Delitala-G. Forni-A. Serra, Commemor. di A. C. nel XXXI anniversario della sua morte, in Bullettino delle scienze mediche (Bologna), CXV (1943), 2, pp. 187-218; A. Anzoletti, La trazione diretta allo scheletro. C. e Steinmann, in Chirurgia degli organi di movimento, XXXII (1948), pp. 226-240; Id., A. C. e Vittorio Putti nel ricordo di un loro contemporaneo, Bologna 1954; A. Osti, La storia dell'operaz. di C. nella cura del piede torto congenito, in Clinica ortopedica, VII (1955), pp. 359-373; A. Dal Monte, Su quanto dell'opera di C. rimane a 60 anni dalla morte, in Chirurgia d. organi di movimento, LXI (102), pp. 539-542; F. Vigliani, L'operazione di C. allo scadere del suo settantesimo anno, in Giorn. ital. di ortop. e traumat., I (1975), pp. 297-313; I. Fischer, Biograph. Lex. der hervorragenden Ärzte... [1880-1930], I, p. 257; Enc. Ital., X, p. 692.