CENTURIONE, Alessandro
Figlio di Marco, del ramo degli Oltramarini, fu abate commendatario dell'abbazia di Aulla, che l'avo Adamo aveva mutato da regolare in secolare. A Roma già nel 1585 era utilizzato dalla Repubblica di Genova in vari negozi presso la corte papale, dove fu nominato, nel 1587, visitatore dello Stato pontificio e poi prefetto dell'Abbondanza, affrontando in tal veste la carestia che colpì la città nel 1590.
Anche la Repubblica di Genova si trovò in gravi difficoltà e chiese al C. di adoperarsi presso il papa per ottenere tratte di grano dallo Stato pontificio; ma la pratica non fu condotta a termine perché, come scriveva il C., deposta la carica di prefetto, "trovandosi il popolo tanto impaurito che ogni poca cosa basterebbe a sollevarlo, se si trattasse di materia di estrattione", era stata sufficiente la voce falsa sparsasi in città che il papa avesse concesso le tratte, perché il grano rincarasse e perché nascessero pericoli di scandali. (Archivio di Stato di Genova, Arch. segreto. Litterarum, filza 17/1974, 9 ag. 1591).
Il 9 ag. 1591 il C. venne eletto da papa Gregorio XIV alla cattedra arcivescovile di Genova, dando la Repubblica il suo assenso e ricevendo egli il pallio il 29 novembre. La morte di papa Gregorio e la cattiva salute del suo successore Innocenzo IX trattennero per alcuni mesi a Roma il C., mentre già a Genova stavano apparendo all'orizzonte le prime nubi che avrebbero portato al grave scontro tra Stato e Chiesa degli anni seguenti. Da Roma il C. seguì attentamente gli sviluppi di alcuni episodi che provocarono accesi conflitti giurisdizionali tra la Rota priminale, da una parte, e il vicario ecclesiastico, dall'altra. Il C. fu incaricato di presentare una lettera del doge riguardante tali casi al papa, che rispose appoggiando nella sostanza l'azione della Curia genovese, tesa ad impedire che la giurisdizione dello Stato si ampliasse ai danni di quella ecclesiastica. Questi incidenti contribuirono a rendere aspri i rapporti tra Repubblica ed arcivescovo tanto che, arrivato a Genova il 25 maggio del 1592, ed essendo sorte questioni di cerimoniale intorno alla sua entrata solenne, prevista per il giorno seguente, il C. preferì "in lettica in brevibus e tacitamente entrarsene la istessa sera" senza alcuna cerimonia pubblica (Archivio di Stato di Genova, Archivio segreto, Il Libro Cerimoniale primo, p. 122, a. 1592). Più gravi furono i conflitti, sempre sul cerimoniale, scoppiati durante la messa in S. Lorenzo per la festa dell'unione (12 settembre), che portarono ad una aperta rottura tra il governo e l'arcivescovo, entrambi intransigenti difensori delle proprie prerogative.
Lo scontro conobbe punte sempre più violente: il C. pose fine alla prassi secondo la quale gli arcivescovi utilizzavano il braccio secolare per il foro ecclesiastico e formò un gruppo di armati per il disbrigo del suo tribunale; provvide alla costruzione di carceri ove far rinchiudere i secolari che fossero incorsi in pubbliche infrazioni contro la moralità e la religione; impose che al suo tribunale venissero deferiti gli inosservanti delle feste, i concubinari, i nefandi, che prima i procuratori della Repubblica avocavano al proprio foro. Da qui arresti di laici e proteste da parte del governo, che decise di costituire la Giunta di giurisdizione, formata da tre senatori, con l'incarico di difendere i diritti dei laici contro le ingerenze ecclesiastiche. Si spedì, inoltre, a Roma come ambasciatore straordinario G. B. Senarega che, tuttavia, trovando una intransigente opposizione da parte di Clemente VIII sia alla richiesta di rimozione dell'arcivescovo sia a quella di una regolamentazione delle cause di misto foro, non concluse nulla, tanto da generare il sospetto che egli avesse favorito segretamente la causa del Centurione. Non migliore esito ebbe anche l'ambasceria dell'illustre giurisperito Davide Vacca, mentre la situazione si era aggravata per un nuovo conflitto di competenza avente per oggetto il magistrato di Misericordia.
Nonostante un tentativo di mediazione compiuto dal principe Gian Andrea Doria, i rapporti tra Repubblica ed arcivescovo rimasero tesi: alla fine, Clemente VIII si decise a richiamare a Roma il C. per essere da lui informato personalmente della situazione, provvedendo con tale pretesto a trattenerlo presso di sé.
In una sua lettera da Roma, indirizzata al governo, il C., conosciuta dal fratello Cosimo la "poca soddisfazione" che la Repubblica dimostrava nei suoi confronti, esprimeva il suo rammarico e la speranza di poter essere presto reintegrato nella fiducia del governo; passava, quindi, in rassegna i vari episodi controversi, difendendo le ragioni della sua condotta, del resto sempre appoggiata dalla S. Sede (Archivio di Stato di Genova, Arch. segreto, Litterarum, filza 19/1976, 31 marzo 1595).
Nel 1596 il C. veniva, tuttavia, sollevato dalla sua carica e al suo posto era eletto Matteo Rivarola.
Annunciando tale nomina in una nobile lettera, il C. supplicava la Repubblica a "perdonarmi tutti i difetti che io posso haver commesso in cotesto governo", dichiarandosi pronto a continuare a servire la sua città (Archivio di Stato di Genova, Arch. segreto, Litterarum, filza 19/1976, 4 maggio 1596).
A Roma lo attendevano incarichi di grande importanza: Clemente VIII lo elesse governatore della città (1596) e, incamerata Ferrara nel 1598, ve lo inviò vicelegato. In seguito, egli ebbe occasione di passare per Genova nel marzo 1602: il Libro Cerimoniale ricorda, infatti, la "visita fatta a Monsignore Illustrissimo Centurione chierico di camera e internunzio in Spagna" e la particolare cortesia che il governo dimostrò nei confronti del C., durante la sua visita a Palazzo, tanto da permettere ai procuratori di accompagnarlo "più avanti di quel che giamai sia stato fatto a nessun altro Nunzio Apostolico" (Archivio di Stato di Genova, Archivio segreto, Il Libro Cerimoniale primo, p. 261, a. 1602). L'anno seguente, nell'ottobre, fu di nuovo a Genova, al termine della sua missione in Spagna.
Nel 1604 divenne presidente della Romagna, risiedendo a Ravenna, dove morì dopo tale anno, reputato "vir magni ingenii eximiaeque existimationis apud omnes" (Ughelli-Coleti).
Fonti e Bibl.: Arch. di St. di Genova, Arch. segreto, Lett. ministri Firenze, 1/2174 (lett. del 30 apr. 1585 tra le carte dell'ambasc. genovese a Firenze, G. B. Imperiali); Ibid., Litterarum, filze15/1972, 16/1973, 17/1974, 19/1976, 20/1977, 21/1978; Ibid., Registri litterarum, n. 96/1866, p. 80; Ibid., Il Libro Cerimoniale primo (1588-1613), pp. 122, 127-128, 155, 261, 282, 284; Inventione di G. Pallavicino di scrivere tutte le cose accad. alli tempi suoi, a cura di E. Grendi, Genova 1975, p. 166; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, IV,Venetiis 1719, col. 902; F. Casoni, Ann. della Rep. di Genova, IV,Genova 1799-1800, pp. 190 ss.; A. Roccatagliata, Annali genovesi dal 1581 al 1607, Genova 1873, pp. 163, 172-175, 178 s., 187 ss., 192 s., 199; G. B. Semeria, Storia eccles. di Genova e della Liguria, Torino 1838, pp. 90 s.; Id., Secoli cristiani della Liguria, I,Torino 1843, pp. 212-215; P. Uccellini, Dizionario storico di Ravenna, Ravenna 1855, p. 92; E. Branchi, Storia della Lunigiana feudale, II,Pistoia 1897, p. 303; L. Volpicella, I libri dei Cerimoniali della Repubblica di Genova, in Atti della Società ligure di storia patria, XLIX (1921), pp. 167 s., 172, 186, 190; L. M. Levati, I dogi biennali di Genova…, I,Genova 1930, pp. 223 ss., 233; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, in Atti d. Soc. ligure di storia patria, LXIII (1934), p. 9; R. Ciasca, Affermazioni di sovranità della Repubblica di Genova nel sec. XVII, in Giorn. stor. lett. della Liguria, XVI(1938), pp. 172 s.; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, I, Genova 1955, p. 244; J. Delumeau, Vieéconomique et sociale de Rome dans la seconde moitié du VIe siècle, Paris 1959, pp. 619 s.; G. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica, III,Monasterii 1923, p. 215.