BORELLI, Aldo
Nacque il 2 febbr. 1890 a Monteleone Calabro - oggi Vibo Valentia - da Luigi e Rachele Daffinà Ruffo. Trasferitosi a Roma nel 1906, mentre seguiva gli studi universitari di giurisprudenza, esordì nel giornalismo come redattore del quotidiano romano L'Alfiere. Nel 1911-12 fu redattore dell'agenzia Stefani; passò quindi al napoletano IlMattino (1912-1914) come corrispondente dalla capitale, facendo propria l'impostazione antigiolittiana e antisocialista del giornale di Scarfoglio. Nello stesso periodo iniziò a collaborare alla Nazione, presso la quale, nel 1914, fu chiamato a ricoprire l'incarico di redattore-capo; il 10 marzo dell'anno seguente assunse la direzione della vecchia testata fondata da Ricasoli.
La rapidissima carriera del B. si spiega con la difficile situazione nella quale venne a trovarsi il giornale nei mesi della neutralità. Foglio di antica tradizione conservatrice, La Nazione siera convertita, sia pur senza eccessivo entusiasmo, ai più vasti orizzonti politici aperti dal nuovo corso giolittiano per opera di Silvio Ghesti - che fu suo direttore dal 1910 al 1914 - e di Gustavo Nesti, che negli stessi anni diresse l'ufficio romano. Scoppiata la guerra europea, Nesti assunse la direzione del quotidiano il 17 nov. 1914e ne fece un convinto portavoce del neutralismo giolittiano, non nascondendo una certa simpatia per gli Imperi centrali; si attirò in talmodo l'avversione dei gruppi interventisti, e per ben due volte, nell'inverno 1914-15, La Nazione ebbe i propri locali invasi da nianifestanti che inneggiavano alla guerra all'Austria. Fattasi la sua posizione insostenibile, Nesti fucostretto a dare le dimissioni, e il 10 marzo 1915 gli successe il Borelli. Negli stessi giorni mutava la proprietà del quotidiano, che dal principe Corsini passava a Egidio Favi, che ne era stato fino allora l'amministratore.
Nel giro di poche settimane il B. portò il giornale su posizioni favorevoli alla guerra, avvicinandosi al programma di quelle forze conservatrici, rappresentate da Salandra e Sonnino, che non si nascondevano il significato di una svolta nella politica interna che comportava la decisione di partecipare al conflitto. Con l'adesione alla causa dell'intervento La Nazione ebbe anche modo di conciliarsi con gli ambienti interventisti cittadini, facenti capo soprattutto alla Voce: l'editoriale del 23 maggio 1915 portava la firma significativa di Giovanni Papini.
Durante la guerra il B. affiancò alle sue funzioni di direttore quella di corrispondente dal fronte, collaborando in questa veste anche ad altri giornali.
Il triennio bellico vide rifiorire le fortune della Nazione. Stretto all'inizio del 1915 un accordo con La Stampa per l'utilizzazione di tutti i servizi esteri di questo quotidiano, dando largo spazio alle corrispondenze di guerra e iniziando la pubblicazione di edizioni provinciali, il giornale conobbe un crescente successo che consentì al Favi di dotarlo delle moderne attrezzature fino, a quel momento del tutto mancanti. Nel giro di pochissimi anni la testata diretta dal B. arrivò a non conoscere più concorrenti non solo a Firenze e in Toscana, ma anche in alcune province delle vicine regioni dell'Italia centrale.
Contemporaneamente, l'indirizzo impresso al giornale dal B. faceva il suo corso, e finiva per identificarsi in più punti con le affermazioni e i programmi della destra nazionalistica. Questa tendenza si fece ancor più manifesta con il dopoguerra: in quegli anni La Nazione, sotto la guida del B. e di Carlo Scarfoglio, che gli era stato affiancato nel 1919, come direttore politico, fu tra i quotidiani d'importanza nazionale l'organo di punta della borghesia conservatrice e fascistizzante.
La Nazione fece suoi quasi tutti i temi e le parole d'ordine della più violenta polemica antidemacratica e antisocialista. In odio al "nefando rinunciatarismo" e alla pace di Versailles attaccò Bissolati, Sforza e "i sabotatori degli interessi nazionali"; denunciò la "politica puerile e pericolosa" dei popolari; contro gli "scioperi leninisti" invocò l'organizzazione della "borghesia lavoratrice"; redarguì con asprezza quelle frazioni della borghesia ancora decise a non sacrificare agli interessi di classe il proprio passato liberale, come la redazione del Corriere della Sera, definita "minoranza di mentecatti e di irresponsabili, pericolosi quanto i comunisti e pervertitori della concordia nazionale".
Pur se questa era la trama di fondo, sul piano degli schieramenti parlamentari La Nazione cercò tuttavia di destreggiarsi in vario modo: non mancò per esempio di appoggiare l'ultimo governo di Giolitti - come del resto fecero tutte le destre - o di concedere qualcosa alla democrazia ospitando sulle sue pagine, in anteprima, accanto a programmi espansionistici d'ogni genere e misura, le pacate considerazioni di Nitti sull'Europa senza pace.
Grande fu la parte del B. in questo allineamento completo della Nazione suposizioni di destra estrema.
Ne è sufficiente testimonianza quanto egli scrisse nei mesi precedenti la marcia su Roma e subito dopo. Il principale bersaglio della sua polemica è la classe dirigente liberale ormai incapace di esprimere qualsiasi linea politica, divisa da mille rivalità, prigioniera delle sue alchimie parlamentari e dei suoi pregiudizi ideologici. Da qui ad attaccare lo stesso sistema rappresentativo, divenuto secondo il B. lo strumento di giochi di potere estranei alle reali esigenze del paese, il passo è breve. In questo contesto Mussolini e il fascismo sono visti come le uniche forze in grado di assicurare la continuità dell'ordine borghese e di dargli un nuovo e deciso impulso. Il B. è perciò contrario a ogni progetto di governo di coalizione che veda i fascisti in posizione subalterna, trova accenti derisori per commentare i tentativi di Giolitti, Salandra e Nitti per "incanalare" il fascismo, e saluta infine il suo avvento al potere celebrando la sospirata morte della democrazia e del Parlamento.
Dal 1924 al 1929 il B. fu da solo alla guida della Nazione e si andò sempre più legando agli ambienti fascisti, sia a livello cittadino - era intimo del marchese Ridolfi, segretario del fascio fiorentino, che pare subisse molto la sua influenza - sia a livello nazionale, nella persona di Augusto Turati, segretario nazionale del partito fascista, di cui il B. divenne fedele amico. Seniore della milizia e presidente nel 1929 del Sindacato toscano dei giornalisti, di cui era stato già segretario nel 1916 e nel 1917, espresse la propria fede fascista nel libro La diana degli spiriti ("Quaderni fascisti. Collezione di propaganda nazionale per i giovani e per il popolo", Firenze 1928). Fu proprio il Turati che alla metà del 1929, in applicazione delle direttive emanate dal partito fascista per la stampa, propose con successo a Mussolini la candidatura del B. alla direzione del Corriere della Sera, deludendo così la speranza che aveva il capo dell'ufficio stampa del duce, Lando Ferretti, di occupare l'ambito posto.
Il quotidiano milanese, dopo il forzato allontanamento degli Albertini alla fine del 1925, era passato sotto la guida di tre direttori - Croci, Ojetti e Maffii - nessuno dei quali, tuttavia, per una ragione o per l'altra, era riuscito a dare al giornale un indirizzo corrispondente ai desideri del regime: il Corriere era rimasto, infatti, legato sostanzialmente all'impostazione di un tempo e la sua redazione, pur epurata, era tuttora considerata dagli ambienti fascisti un centro di dissidenza. Inoltre, privo di una salda e autorevole direzione, il giornale - che il regime avrebbe desiderato specchio fedele della nuova Italia mussoliniana, soprattutto in considerazione del prestigio di cui godeva all'estero - aveva avuto un calo di qualità e il suo livello tecnico-giornalistico accusava una certa stanchezza.
Il B. s'insediò al Corriere della Sera il 1º sett. 1929 e vi restò fino al 25 luglio 1943. Pur astenendosi dall'esercitare persecuzioni contro i redattori che sapeva ostili al regime, e arrivando anzi a interporre più di una volta i suoi buoni uffici per proteggerli dalle conseguenze di qualche passo falso, egli fece tuttavia del Corriere un fedele ed entusiasta portavoce del fascismo, riuscendo tra l'altro ad allontanare nel 1930 quell'Eugenio Balzan che era da molto tempo l'amministratore del quotidiano e che in esso tuttora rappresentava la tradizione albertiniana con vigile anche se occulta autorità.
Sotto la direzione del B. anche al Corriere della Sera penetrò quel pesante clima di conformismo, che all'occorrenza sapeva magari anche essere ammiccante, nel quale un costume giornalistico, già di per sé in genere poco avvezzo ad austerità ideali, trovò con facilità la via del compromesso tra la propria coscienza e la necessità di servire i padroni del momento. In quegli anni crebbero, è vero, nella redazione molti dei giornalisti che poi vennero a costituire il nerbo della grande stampa di informazione dell'Italia post-fascista, ma essi si formarono anche in una mortificante routine che doveva lasciare il suo segno.
Da questo punto di vista, certamente il B., come direttore del Corriere della Sera, confermò le sue capacità, dimostrando un felice intuito nella scelta degli uomini e una moderna sensibilità giornalistica. Offrì a molti elementi giovani l'occasione di mettersi in luce affidando loro importanti servizi, chiamò Arturo Lanocita e Michele Mottola a ricoprire l'incarico rispettivamente di capocronista e redattore-capo; fece acquistare al giornale un volto nuovo: la vecchia tipografia di via Solferino fu dotata di moderne rotative, venne adottata progressivamente l'impaginazione su nove colonne; l'uso sempre più frequente di fotografie, e poi di telefoto, condusse a una diversa "architettura" della pagina con titoli a più colonne, fu introdotto il titolo con sommario.
In un periodo in cui la situazione politica limitava enormemente gli argomenti che il giornale poteva trattare con sufficiente libertà, il B. aumentò i servizi dall'estero dando soprattutto spazio ai coloriti reportages di viaggio; anche la terza pagina ricevette attente cure e ad essa egli chiamò a collaborare una larga schiera di scrittori, intellettuali e studiosi di vario indirizzo (Baldini, Bontempelli, Brancati, Cecchi, Pasquali, Volpe) che, si può dire, ne fecero una vera e propria istituzione culturale.
I rapporti del B. con il regime rimasero sempre ottimi, anche quando egli non fece mancare la propria solidarietà ad Augusto Turati che, caduto in disgrazia nell'autunno 1930, era stato costretto ad abbandonare la segreteria del partito fascista ed inviato in esilio a Rodi. Il B. alla fine del 1930 pubblicò alcuni articoli di Turati su argomenti sindacali - attirandosi i rimproveri delle più alte gerarchie fasciste - e anche in seguito intervenne presso Mussolini e Starace in favore dell'amico. Riuscì comunque a restare nel posto che occupava, essendosi conquistata la fiducia di Mussolini che apprezzava la sua attività al Corriere.
Sposatosi nell'ottobre 1935con la danzatrice russa Jia Ruskaja, in quello stesso anno il B. partì per l'Etiopia, dove partecipò alle ostilità con il grado di sottotenente di artiglieria; presente alle battaglie di Debri Hotzà e dell'Endertà, nel luglio 1936 fu promosso tenente per merito di guerra.
Alla caduta del fascismo il B. fu costretto ad abbandonare la direzione del Corriere della Sera e per molti mesi rimase nascosto in un convento a Roma. Dopo la Liberazione fu colpito da mandato di cattura per "atti rilevanti" a favore del cessato regime, ma venne in seguito amnistiato.
Il dopoguerra lo vide ancora impegnato nell'attività editoriale e giornalistica: direttore amministrativo del quotidiano romano IlTempo fino al 1948, fu poi capo dell'ufficio romano del settimanale Epoca e in seguito del settore periodici Mondadori; dal 1955 al 1958fu direttore della Cines e assunse, quindi, la presidenza del gruppo editoriale Giornale d'Italia - Tribuna.
Morì a Roma il 2 ag. 1965.
Fonti e Bibl.: Archivio Centrale dello Stato, Segreteria del duce,Carteggio ordinario, A. B., 209340; Ibid., Carteggio riservato, A. B. (W. R.); G. Ravegnani, Uomini visti, Milano 1955, I, pp. 157-159; II, p. 58; La Nazione nei suoi 100 anni1859-1959, Bologna 1959, passim; G. Piovene, La coda di paglia, Milano 1962, pp. 29-42; F. Sacchi, La stampa e il cinema nel ventennio, in Fascismoe antifascismo (1918-1936).Lezioni e testimonianze, I, Milano 1962, pp. 327 s., 334; I. Montanelli, A. B., in Corriere della Sera, 3ag. 1965; Corriere della Sera (1919-1943), a cura di P. Melograni, Bologna 1965, pp. LXXIII-LXXXI; F. Nasi, Il peso della carta. Giornali,sindaci e qualche altra cosa di Milano dall'Unità al fascismo, Bologna 1966, pp. 198-200; E. Radius, 50anni di giornalismo, Milano 1969, adnomen.