DELLA SCALA, Alboino
Secondogenito di Alberto e di Verde da Salizzole, nacque in data a noi sconosciuta; era comunque molto giovane nel 1289 (il Ferreti lo dice "nondum adultus" nel 1301), quando ottenne un canonicato nel capitolo della cattedrale di Verona. Il D. mantenne tale carica fino all'agosto o al dicembre 1295, anche se tutt'altro che frequenti furono le sue presenze nel capitolo.
Mancano altre notizie del D. sino al gennaio 1298, quando fu stipulato il suo matrimonio con Caterina figlia di Matteo Visconti, poi celebrato alla fine di settembre; in tale occasione il D. fu armato cavaliere, in una Curia militare scaligera rimasta celebre. Anche negli ultimi anni di Alberto. e nel triennio di governo di suo fratello maggiore Bartolomeo (che nel testamento di Alberto era stato definito suo gubernator), il D. non compare mai, né nella documentazione privata sinora nota né tanto meno in quella pubblica. Quando nel marzo 1304 successe al fratello da poco defunto, non incontrò comunque ostacoli nell'assunzione del potere. Egli fu il primo signore di Verona al quale furono attribuiti sin dall'inizio del governo sia il capitanato sia la carica di podestà dei mercanti (Bartolomeo quando aveva assunto il potere era già da oltre un decennio capitano insieme con il padre). Non per caso, dunque, il D. ricoprì quest'ultima carica di persona, almeno per qualche tempo, e non mediante vicari.
Nel governo della città, il reggimento del D. sembra essere stato del tutto tranquillo. Molto più scarse che nel triennio di Bartolomeo - quando pare essersi verificato un assestamento pressoché definitivo -, e poco significative furono nel settennio del D. le additiones agli statuti cittadini. Si può registrare un solo interessante episodio di interna opposizione: nel 1311, quando un cospicuo gruppo di notai veronesi rifiutò di sottostare al pagamento di una datia imposta per i festeggiamenti seguiti alla concessione del vicariato imperiale al D., e a Cangrande.
In politica estera il D. - ad onta del cliché di uomo pacifico anche a lui, come al fratello maggiore, attribuito dalla tradizione - si trovò attivamente implicato nella lunga serie di contrasti diplomatico-militari che coinvolsero, per lo più in funzione antiestense, numerose città dell'Italia padana fra il 1305 e il 1310. Appena assunto il potere egli aveva dovuto affrontare un'altra delicata questione, quella dei rapporti con Venezia. Di concerto (come sempre) con Botticella Bonacolsi, il D. offrì - forse strumentalmente - la propria mediazione nel contrasto allora acuto fra Padova e Venezia (marzo-aprile 1304); ma ben presto passò (18 maggio 1304) ad una formale alleanza con Padova in funzione antiveneziana. Pochi mesi dopo tuttavia, la "guerra del sale" finiva con la sconfitta padovana, e la pace di Treviso segnava la chiusura della breve "parentesi antiveneziana" (Sambin) di Verona.
Dall'anno successivo, la guerra con gli Estensi tenne costantemente impegnato il D., in più di una occasione presente, a quanto pare, sul teatro delle operazioni militari. Nel maggio 1305 egli concluse una prima lega col fedele alleato Bonacolsi e con Brescia; ma di maggior rilievo fu il patto del novembre di quell'anno, col quale i due citati signori e Giberto da Correggio determinarono di operare per la cacciata di Azzo VIII da Modena, Reggio e dalla stessa Ferrara. Il lavorio diplomatico proseguì nel gennaio 1306, quando a Mantova fu stipulata una serie di accordi che coinvolsero anche Bologna, i Reggiani e Modenesi estrinseci e Francesco d'Este; e nel febbraio a Bologna, ove la lega ("societas. filiorum sacrosancte romane ecclesie") fu definitivamente sancita. A queste trattative il D. partecipò talvolta di persona, e si servì della collaborazione dei più fidati diplomatici veronesi (il giudice Nicola di Altemanno, Boninesio Paganotti, Bailardino Nogarola). In questo contesto si colloca anche il secondo matrimonio del D. (gennaio 1306) con Beatrice da Correggio figlia di Giberto (contemporaneamente, l'altra figlia del signore di Parma, Vanina, sposava Botticella Bonacolsi, e una nipote Bailardino Nogarola): da lei il D. ebbe presto due figli, Alberto e Mastino.
Dopo alcune scaramucce, la guerra fu combattuta nel Ferrarese nel corso dell'estate: il D. e il Bonacolsi presero Ficarolo; dopo una rapida puntata verso Nord, in soccorso di Matteo Visconti, nell'ottobre fu conquistata Bergantino. A questa guerra parteciparono, secondo il Chronicon Estense,anche dei Gardexani: circostanza che dà un qualche fondamento alla notizia sui rapporti fra il D. e le Comunità della riviera bresciana (se non al loro assoggettamento a Verona), che a partire dal Saraina sono state spesso ripetute dalla storiografia.
L'anno successivo, la lega fra i mortales inimici di Azzo VIII fu rinnovata a Suzzara (marzo 1307), con l'adesione giunta poco dopo anche del da Polenta. La guerra si svolse dapprima nel Cremonese (agosto 1307) invaso da Veronesi e Mantovani, ma i suoi sviluppi non furono molto favorevoli per i collegati perché l'Estense nell'autunno assalì Ostiglia, terra veronese, e Serravalle. La morte di Azzo (31 genn. 1308) provocò una rapida fine delle ostilità; si raggiunsero allora gli accordi di Montegrotto, del 3 e 15 marzo 1308, ove per la prima volta il D. ebbe il fratello minore Cangrande come capitano "penes se" (secondo la terminologia usata dalla documentazione) cioè come correggente.
Da questo momento, dunque, il D. divise il governo signorile di Verona con Cangrande. In politica estera, assicuratasi la tranquillità a Settentrione mediante la lega dell'aprile 1308 con Ottone di Carinzia, il D. seguitò nei mesi successivi ad occuparsi attivamente delle lotte di fazione nelle varie città padane, fornendo aiuto al da Correggio che Lupi e Rossi avevano espulso da Parma, difendendo i Bresciani intrinseci contro i quali si era rivolto lo schieramento guelfo, e rinnovando infine, sia nel 1308 sia nel 1309, la lega con Mantova, Brescia, Parma, Modena. Nel 1309 poi il D. con Cangrande e il Bonacolsi intervenne a Piacenza in favore di Alberto Scotti, e nel 1310 nel Reggiano in sostegno dei da Sesso.
Il D. riprendeva quindi le linee della politica di intervento e presenza costanti nel contesto padano già perseguita da Alberto negli ultimi decenni del XIII secolo. Proprio in questi anni vennero stretti con alcune potenti famiglie (ad es. i parmensi Correggio, o i reggiani Sesso) più forti legami, destinati ad esercitare un'influenza non trascurabile sulla vita politica, interna - di corte - ed esterna, della Verona trecentesca.
Al momento della discesa in Italia di Enrico VII, la situazione politico-militare di Verona appariva solida e tranquilla, considerato anche che nel 1306 era stata ripristinata l'alleanza con Venezia, e nonostante che le guerre del 1305-08 non avessero portato alcuna acquisizione territoriale. L'omaggio all'imperatore (i legati veronesi furono già ad Asti, nel novembre 1310) si univa pertanto alla ferma opposizione (che ebbe successo) all'intenzione di Enrico VII di "intromittere partem guelpham" in città. Anche nella complessa fase delle trattative milanesi (gennaio-marzo 1311), cui il D. non partecipò direttamente, è peraltro impossibile - o come in tutto il periodo della diarchia D.- Cangrande - discernere il ruolo svolto personalmente dal D. rispetto a quello del fratello: certo, comunque, non fu così subalterno, come una parte della storiografia ha voluto ritenere.
Dopo il breve vicariato veronese di Vannizeno Lanfranchi (accettato senza contrasto dal D. e Cangrande) e la successiva nomina a vicari imperiali dei due Scaligeri seguì entro breve tempo, col peggiorare dei rapporti fra Enrico VII e Padova ed il prevalere in questa città di un orientamento più intransigente, la conquista imperiale di Vicenza, città soggetta a Padova: in quella città entrarono con i cavalieri tedeschi anche le truppe scaligere (15 apr. 1311). Si profilava così (la concretizzazione sarebbe poi avvenuta nel 1312) un primo tangibile compenso territoriale per il fedele ghibellinismo dei due domini scaligeri.
Il D. prese parte, almeno a partire dalla metà di luglio, all'assedio di Brescia, conclusosi alla fine di settembre, e vi contrasse la malattia che doveva rapidamente condurlo a morte; è noto che nel corso di questa stessa impresa per! Valeriano, il fratello dell'imperatore: secondo il Ferretil fu il D. a chiedere che costui fosse seppellito in Verona. Probabilmente per la malattia, il D. non seguì Enrico VII a Genova (ottobre); mori il 29 nov., dopo che Cangrande era rientrato in tutta fretta dalla Liguria, verosimilmente preoccupato dell'eventualità di un vuoto di potere alla morte del fratello.
Oltre ai due futuri signori di Verona, Alberto e Mastino (nati rispettivamente nel 1306 e 1308), il D. ebbe da Beatrice da Correggio anche una figlia, Alboina (nata nel 1309 circa), che fu badessa di un monastero veronese, S. Michele in Campagna. Da Caterina Visconti aveva in precedenza avuto un'altra figlia, Verde, che nel 1317 sposerà Rizzardo da Camino.
È ben noto il giudizio negativo che diede del D. Dante nel Convivio (IV, XVI, 6) affermando l'improponibilità del paragone fra la nobilitas sua e quella di Guido da Castello. Anche in Benvenuto da Imola, il commentatore dantesco, vi è un significativo aneddoto sulla sua pusillanimitas,contrapposta didascalicamente al coraggio di Cangrande (B. de Rambaldis de Imola, Comentum super D. Aldighierii Comoediam, a c. di G. F. Lacaita, Firenze 1887, ad locum Purg. XVIII, 124-26). Questo scomodo termine di paragone ha certo nuociuto al D., non solo nella tradizione storiografica locale (la quale ad es. sottolinea una sua scarsa propensione alle res militares, che avrebbe inattendibilmente delegato in toto, anche prima del 1308, al fratello minore), ma anche in studi più validi (si veda ad es. il giudizio dello Spangerberg).
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