MAGNELLI, Alberto
Nacque a Firenze il 1 luglio 1888 da Emilio, commerciante, e da Giuseppina Pratesi. Alla morte del padre, avvenuta nel 1891, si prese cura di lui lo zio Alessandro (già socio nell'attività commerciale paterna e collezionista d'arte).
Mancano notizie certe sulla sua istruzione. Come artista fu un autodidatta: si accostò alla pittura casualmente nel 1907, su invito di un amico di famiglia antiquario e pittore paesista. La scoperta di un campo espressivo a lui congeniale lo spinse a viaggiare per tutta la Toscana per studiare dal vero i grandi cicli ad affresco del Trecento e del Quattrocento.
Oltre che alla pittura di quei secoli, il M. si interessò da subito, pur nell'immaturità delle sue prime creazioni, alla più innovativa arte italiana e straniera. Presente all'VIII Esposizione internazionale (Biennale) di Venezia nel 1909, vi partecipò ancora nel 1910 con La buca delle Monache. In quell'occasione il M. poté ammirare, restandone per breve tempo influenzato, i dipinti di G. Klimt, cui era dedicata una sala personale.
A partire dal 1912 sono documentati i suoi contatti, pur senza una dichiarata adesione, con l'avanguardia futurista fiorentina che animava la rivista La Voce: Aldo Palazzeschi, suo amico d'infanzia, Giuseppe Prezzolini e soprattutto Giovanni Papini e Ardengo Soffici, questi ultimi fondatori l'anno dopo della rivista Lacerba.
Gli anni dell'anteguerra, così fecondi di novità rivoluzionarie in tutta Europa, furono per il M. anni di vorticosa sperimentazione che lo videro giungere (in anticipo sui tempi e in sostanziale autonomia di pensiero) alla pittura di pura astrazione geometrica.
Gli avvenimenti certo accelerarono tale processo: nel novembre 1913 presso la libreria Gonnelli di Firenze si tenne la Mostra d'arte futurista Lacerba, della quale il M. fu assiduo visitatore; e data al marzo 1914 il suo primo viaggio a Parigi. Vi si recò in compagnia di Palazzeschi e Umberto Boccioni, e vi trovò Carlo Carrà, Papini e Soffici. Fu quest'ultimo a presentargli Guillaume Apollinaire (con il quale strinse una sincera amicizia) e gli artisti che gravitavano nella sua cerchia: P. Picasso, M. Jacob, F. Léger. Tra le conoscenze di quegli anni, anche Giorgio De Chirico, con il quale avrebbe instaurato in seguito un rapporto più profondo. Il soggiorno parigino, protrattosi sino all'estate, fu per il M. un periodo di intenso apprendistato artistico e insieme l'occasione della conferma delle proprie scelte. Molti gli stimoli culturali della capitale francese: è noto che il M. vi frequentava la galleria Kahnweiler; visitò lo studio di H. Matisse; conobbe l'arte africana, di cui diventò un appassionato collezionista. I suoi interessi di acquirente d'arte si volsero inoltre verso l'arte moderna: tra le sue acquisizioni si ricordano alcuni dipinti di J. Gris, tre sculture di A. Archipenko (tra le quali Carrousel Pierrot, oggi al Guggenheim Museum di New York) e la celebre Galleria di Milano di Carrà (Milano, collezione Mattioli).
Le opere del M. che vanno dal 1913 al 1915 riflettono i nuovi interessi: vi si individua un processo di assimilazione e originale rielaborazione delle istanze artistiche cubo-futuriste, ma anche un superamento di tali correnti, a favore di un'arte depurata da connotazioni letterarie o rivendicazioni politiche. In L'homme à la charrette del 1914 (Parigi, Centre Georges Pompidou) il M. concilia problematiche differenti.
In un paesaggio di case di evidente derivazione cubista, ma colorate a tinte squillanti e piatte alla maniera di Matisse, si inseriscono agli estremi opposti una figura maschile e un carretto azzurro che disarticolano l'immagine. Rispetto agli esempi cubisti il M. risolve in senso cromatico-costruttivo la composizione, soppesando la forza intrinseca a ogni colore e bilanciando le superfici colorate. In questo dipinto il M. pone le basi della sua indagine futura: la ricerca di una sintesi di forma e colore, l'importanza dell'equilibrio, l'amore per la pittura come pratica concreta a partire da una riflessione ponderata. Un'arte meditata, intellettuale, volta alla costruzione solida di un'immagine bidimensionale: a partire da R. Longhi molta critica ha riconosciuto in questa attitudine un'eredità culturale fiorentina.
Ritornò a Parigi solo molti anni dopo. Gli anni della prima guerra mondiale videro la dispersione del gruppo futurista fiorentino: la progettata seconda mostra Lacerba, cui il M. era stato invitato a partecipare, non ebbe luogo. Soffici, il vero animatore culturale, partì volontario; nel 1916 anche il M. fu richiamato alle armi.
Intanto, già nel 1915 il M. aveva dipinto delle opere totalmente astratte, composizioni geometriche animate da un dinamismo di forme e colori a contrasto, di cui è ben rappresentativa la Peinture n. 0529 (Firenze, Palazzo Pitti). Afflitto da depressione nervosa e da violente emicranie, il M. ottenne ripetute e prolungate licenze e, di fatto, non partecipò mai alla guerra in prima linea; fu infine riformato nel luglio 1918. Datano agli anni della guerra l'intenso carteggio con Apollinaire e quello più sofferto con Soffici, dal quale lo separava il differente impegno nell'azione bellica.
Nel tardo autunno del 1918, in vacanza a Rufina nel Chianti, il M. dipinse la serie delle Esplosioni liriche, apice della produzione giovanile e simbolo della gioia per la fine della guerra, in cui riappare la figura umana, ma trasformata dalla pirotecnica esuberanza dei ritmi cromatici: apparentemente dipinte d'impulso, in realtà le Esplosioni furono realizzate, come sempre nel lavoro del M., sulla base di dettagliati disegni preparatori.
Nel dopoguerra Firenze risultava culturalmente periferica rispetto a Roma e a Milano, dove il gruppo di Valori plastici indicava le nuove tendenze dell'arte e propugnava, dopo gli empiti sovversivi del primo futurismo, un richiamo alla tradizione figurativa italiana e al "mestiere" inteso come somma di conoscenze tecniche e formali. Il M. restò appartato, ma ciononostante la sua produzione degli anni Venti appare coerente con quell'orientamento: dipinti dalla tavolozza ridotta e tenue, tendente al monocromo, che raffigurano scarni paesaggi toscani o figure umane di memoria masaccesca e, da ultimo, velieri che navigano in tranquille acque portuali.
Questo stile, privo di ambientazione e atemporale, è stato definito "realismo immaginario". Successivamente il M. volle ridimensionare il valore di tale produzione figurativa. Pur tuttavia è largamente documentata la sua partecipazione a esposizioni individuali e collettive: prima personale presso la galleria Materassi di Firenze (1921), Esposizione internazionale d'arte moderna di Ginevra (1921) su invito di E. Prampolini, I Esposizione delle arti decorative di Monza (1923), Biennali di Venezia del 1928 e del 1930, I Quadriennale di Roma del 1931, oltre alla presenza in numerose mostre sindacali toscane lungo tutto il decennio. Dopo una esposizione personale presso la galleria Bellenghi di Firenze (1928), nel 1929 il M. fu ospite della galleria Pesaro di Milano, presentato, con parole importanti, da E. Somarè: il critico coglieva la natura matematica del lavoro del pittore fiorentino, la sua solidità strutturale, la logica stringente del suo operare.
Sul finire del 1932 il M., in dissenso con il regime fascista e persuaso di un crescente provincialismo italiano, si trasferì a Parigi dove ritrovò le amicizie dell'anteguerra e si legò agli artisti italiani che vi risiedevano: Filippo De Pisis, Leonor Fini, Prampolini. Fu nel 1933 che il M. conobbe Susi Gerson, ebrea tedesca, che divenne la sua compagna e con la quale, alla fine del 1934, si trasferì in una casa atelier divenuta celebre, villa Seurat, dove visse sino al 1958. Nel giugno 1934 il M. espose alla galleria Pierre di Parigi, ottenendo recensioni lusinghiere, la serie delle Pietre: su un fondo unito e indefinito si stagliano blocchi di pietra, organizzati nello spazio senza gravità, come un'epifania primordiale e arcana. Nel 1935 cinque Pietre furono presentate a Roma, alla II Quadriennale. Più sicuro dei propri mezzi il M. alla fine degli anni Trenta prese a sperimentare un nuovo percorso astrattivo, che includeva talora materiali inusuali (lavagna, carta, oggetti) utilizzati non come elementi di sorpresa o ready-made, ma, empiricamente, come possibilità cromatiche o strutturali: nascono le serie delle Ardoises e dei Collages.
Occasionali furono in quegli anni le partecipazioni del M. a iniziative culturali italiane, mentre cresceva la sua notorietà all'estero. Nel 1937 partecipò alla mostra sulle origini dell'arte moderna al Jeu de Paume. Nel marzo 1938, a seguito di ripetuti contatti, il M. fu l'organizzatore di una importante collettiva a Milano, presso la galleria del Milione, dove invitò a esporre, tra gli altri, Vasilij Kandinsky, Sophie Taeuber e Hans Arp, ai quali lo legava una cordiale amicizia; solo pochi mesi dopo il M. tenne una personale a New York, curata dal gallerista Karl Nierendorf. Gli anni successivi videro il M. radicarsi nell'avanguardia astrattista d'Oltralpe, tanto per ragioni politiche quanto per il susseguirsi degli eventi storici. Nel 1939 fu dapprima invitato da Peggy Guggenheim a esporre a Londra (Abstract concrete art, maggio); quindi fu presente al primo Salon des réalités nouvelles.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale il M. e Susi Gerson ripararono nel Sud della Francia, nella tenuta La Ferrage, vicino a Grasse, di proprietà della famiglia Gerson; nel 1940 Susi Gerson fu internata, in quanto cittadina tedesca, nel campo di prigionia di Gurs, e in seguito rilasciata. I due si sposarono a Grasse il 31 ott. 1940, avendo come testimone Hans Arp; l'anno seguente la coppia tentò, senza fortuna, di ottenere il visto per emigrare negli Stati Uniti. A La Ferrage i coniugi M. godettero di buona compagnia: infatti gli Arp e Sonia e Robert Delaunay risiedevano vicino; e le trame di una stretta affinità spirituale si infittirono. Risalgono a quegli anni i Collages su carta da musica, opere lievi e intime, contrappunto per i giorni grigi.
Dopo numerose traversie, il M. e la moglie riuscirono a tornare a Parigi nel marzo del 1944; l'anno successivo il M. partecipò alla mostra Art concret organizzata dalla galleria Drouin. Negli stessi spazi, nel 1947, il M. realizzò la sua prima grande retrospettiva, che ottenne un successo pieno e lo consacrò artista di eccezionale valore.
In quel periodo il M. fece la conoscenza dei giovani artisti italiani di Forma 1, Piero Dorazio, Achille Perilli e Mino Guerrini, i quali individuarono in lui un maestro di libertà prima ancora che di visione. Gli anni che seguirono furono un crescendo di riconoscimenti: Quadriennale di Roma e Biennale di Venezia del 1948; partecipazione alla mostra Les origines de l'art abstrait (Parigi, galleria Maeght, 1949); personale retrospettiva alla XXV Biennale veneziana del 1950, con presentazione di Léon Degand; secondo premio alla I Biennale di San Paolo (1951). I grandi dipinti della maturità si distinguono per chiarezza di impianto: il tema è affrontato in maniera decisa, con pochi elementi ma ben calibrati nelle opposizioni di colore e di forma. Così scriveva Degand nel catalogo della Biennale: "Il colore determina la forma. La forma determina il colore" (p. 196). Esemplificativo il quadro Conversation à deux n. 1 (1956), che si aggiudicò il premio Guggenheim per l'Italia nel 1958 e poi confluì nelle collezioni della Galleria nazionale d'arte moderna di Roma.
Gli anni Sessanta, vissuti dai coniugi Magnelli nella nuova casa di Meudon fuori Parigi, furono di grande attività creativa ed espositiva, e tra le innumerevoli iniziative giova ricordare la grande antologica di palazzo Strozzi a Firenze (1963), la pubblicazione nel 1964 di un volume monografico, frutto di anni di colloqui, dedicatogli dal poeta brasiliano Murilo Mendes e infine la mostra tenutasi a Parigi, al Musée d'art moderne per gli ottant'anni dell'artista.
Il M. morì a Meudon il 20 apr. 1971.
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