DEL BONO, Alberto
Nato a Golese (Parma) il 21 sett. 1856 dal conte Gian Filippo e da Eurilla Balestra, studiò alla R. Scuola di marina di Napoli e a quella di Genova (con l'ordinamento A. Riboty del 1868 era stato stabilito che gli allievi dividessero gli anni di corso tra le due città). Conseguito il 1° dic. 1877 il grado di guardiamarina, fu sottotenente di vascello nel 1880, tenente nel 1886, capitano di corvetta dieci anni dopo, capitano di fregata nel 1900, capitano di vascello nel 1904. Unitosi in matrimonio con Adelina Ferrari, ebbe l'incarico di capo divisione generale del personale al ministero della Marina fino al nov. 1906; dal dicembre dello stesso anno e fino all'aprile 1908 al comando dell'incrociatore "Fieramosca" stazionò nell'America meridionale come sostegno e collegamento agli emigrati italiani. Per l'opera accorta e scrupolosa ebbe un elogio ufficiale dall'allora ministro della Marina C. Mirabello e venne fatto cavaliere dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro. Costituitasi una divisione volante per sopperire a esigenze di appoggio e di intervento con le navi "Vittorio Emanuele", ne divenne il capo di Stato Maggiore e partecipò con questo incarico a diverse crociere in particolare nel Mediterraneo orientale, imbarcando lo stesso comandante della formazione, il viceammiraglio L. Viale.
Tra il dicembre del 1908 e il febbraio del 1909 egli si segnalava prestando soccorso alle città siciliane e calabresi colpite dal terremoto; non esitò a fermare con energici interventi piroscafi in transito nello stretto per requisire materiali e per effettuare trasporti di feriti e profughi. Ebbe l'opportunità, nello stesso periodo, di stringere amicizia con U. Cagni e P. Thaon di Revel, anch'essi impegnati nell'opera di soccorso ed anch'essi mossi dalla stessa energia; decorato della medaglia d'oro di benemerenza, e promosso contrammiraglio nel marzo 1911, divenne membro del Consiglio superiore di Marina ed ebbe nello stesso anno il comando dell'Accademia navale.
Durante il suo mandato l'istituto passò dall'ordinamento Morin a quello Leonardi-Cattolica (allora ministro della Marina), che stabiliva la durata dei corsi a cinque anni, nuove norme per l'ammissione, e nuovi programmi. Il D. provvide alla più rapida e scrupolosa applicazione degli stessi, e curò poi l'ampliamento degli edifici. Vi fece comprendere, dopo aver vagliato i diversi progetti, coadiuvato dal capitano di vascello D. Simonetti, che aveva curato gli studi relativi, anche gli antichi locali del lazzaretto di S. Leopoldo.
Nell'agosto-settembre 1912, sempre come comandante dell'Accademia, partecipò ad alcune operazioni in Libia per un più immediato ed efficace addestramento degli allievi ufficiali e degli uomini del corpo reale equipaggi marittimi.
Giunto in Tripolitania alla fine di luglio con la divisione navale d'istruzione ("Etna", "Vespucci", "Flavio Gioia") agli ordini del viceammiraglio R. Borea, coadiuvò prima il comando di Tripoli con alcune operazioni di ricognizione, Poi il 4 agosto si recò dinnanzi a Zuara per proteggere lo sbarco delle truppe italiane che dovevano assicurare il controllo delle vie carovaniere attraversanti il confine tunisino e rendere così più difficile il contrabbando di armi; per la diligenza del tiro, ufficiali ed equipaggi ricevettero un encomio dallo stesso viceammiraglio Borea. La divisione partecipò ancora ad altre operazioni in Cirenaica dinnanzi a Derna e Tobruk prima di riprendere la normale attività addestrativa.
Lasciato il comando dell'Accademia, nell'aprile 1914, venne promosso viceammiraglio, ricoprendo la vicepresidenza del Consiglio superiore di marina, e il 24 maggio 1915 fu nominato comandante in capo della piazza marittima di La Spezia. Sostituito nell'incarico alla fine dello stesso anno dal viceammiraglio Viale, diveniva il 1° luglio 1916 segretario generale al ministero della Marina. Il 17 luglio 1917 entrò nel gabinetto Boselli come ministro della Marina, ed il 10 ottobre veniva nominato senatore. Accettate le dimissioni del gabinetto il 29 ott. 1917, e con decreto della stessa data nominato presidente del Consiglio dei ministri V. E. Orlando, il D. conservò il portafoglio.
Tra i diversi motivi che avevano portato alla caduta di Salandra prima e di Boselli successivamente c'era stata anche l'accusa di aver impostato e condotto la guerra con criteri troppo angusti e con un'ottica troppo strettamente nazionale. Ma non si può dire che il nuovo ministro della Marina riuscisse, o potesse, discostarsi per quanto era di sua competenza da questa linea, sia nei rapporti con gli alleati sia nella condotta delle operazioni navali. Prevalse la diffidenza e non si riuscì a realizzare una adeguata e proficua collaborazione tra le diverse flotte dell'Intesa. Nella conferenza di Parigi del 24-26 luglio 1917 emersero notevoli contrasti sul sistema di sbarramento da adottare per il canale d'Otranto (fisso con una rete sostenuta da boe e munita di torpedini, per gli Italo-Francesi; mobile con drifters e siluranti, per i Britannici); il Revel, inviato dal D., avanzò richieste di naviglio leggero che non vennero accolte, ma si oppose ad ogni tentativo di sottrarre al comando italiano la difesa del canale. Seguirono altre conferenze ed altri incontri: a Londra in settembre, a Roma nella seconda metà di novembre; poi nel gennaio 1918 a Londra si tenne la prima riunione del nuovo Consiglio navale interalleato. Vennero proposte operazioni offensive in Adriatico da condurre con forze italo-francesi, dal 1918 anche con forze statunitensi, ma la posizione delle massime gerarchie navali non si modificò; anzi, mentre da una parte continuavano le richieste di naviglio leggero ed in particolare di cacciatorpediniere, si arrivò all'affermazione del principio che, per non ledere l'interesse nazionale, ogni azione nell'Adriatico avrebbe dovuto compiersi sempre con materiale italiano e soprattutto essere sempre comandata da un ufficiale italiano. Naturalmente cadde una proposta avanzata nella primavera del 1918 dai Francesi, i quali, temendo che i Tedeschi, armate con loro marinai le navi russe e turche, uscissero dal Mar Nero, avevano invitato gli Italiani alla costituzione di una forza di intervento comune. Seguirono altri contrasti anche per il comando in Mediterraneo quando ne venne proposta l'unificazione sotto un ammiraglio inglese. L'unico risultato decisamente positivo fu la realizzazione dello sbarramento fisso nel canale d'Otranto con materiale fornito in parte dagli Alleati. La preoccupazione principale di tutti questi dinieghi era che sull'altra sponda dell'Adriatico non sventolasse altra bandiera che quella tricolore. La posizione non era del tutto ingiustificata, poiché non sempre le proposte dell'Intesa erano state formulate nel migliore dei modi, ma sul piano politico tale atteggiamento finì per rendere non molto favorevoli nei nostri confronti le posizioni degli Alleati. Né risulta convincente la posizione del D. il quale, non pienamente convinto delle ripulse, non sentì la necessità di intervenire a modificarle in nome dei più ampi interessi della nazione. Fu influenzato indubbiamente da Sonnino, mentre i suoi rapporti con Orlando non erano dei migliori (lo aveva criticato quando quest'ultimo come ministro dell'Interno aveva mostrato una certa tolleranza anche dopo i fatti di Torino); ma si può avanzare l'ipotesi che la sua stessa volontà venisse forzata dalla personalità eccezionale del comandante delle forze navali, Revel. Mancò poi nel D. anche un autentico sforzo per armonizzare le diverse vedute tra le massime gerarchie navali e quelle dell'esercito, e mancò spesso anche il coordinamento tra operazioni sul mare ed operazioni sul fronte terrestre, soprattutto prima di Caporetto. Ad ogni modo va ricordata la parte tecnica dell'opera del ministro, la quale presenta indubbi aspetti positivi. Provvide al miglioramento e all'incremento del naviglio leggero, allo sviluppo dell'aviazione marittima, all'adattamento del porto di Ancona per accogliere unità di medio dislocamento, e studiò e creò gruppi di ufficiali versati e preparati all'uso delle diverse armi ed esperti nel munizionamento e nelle artiglierie. Gli Austriaci, di fronte all'azione costante di siluranti e dragamine, finirono con il ridurre alquanto le loro scorrerie, già del resto non molto frequenti. Dopo Caporetto fece pressioni sul Comando supremo e su Orlando perché non venisse abbandonata Venezia, ma nello stesso tempo in sintonia col Revel predispose un vasto piano di allagamento delle zone tra l'Adige e il Brenta e poi un ampio apparato difensivo sulla destra del Po. Sul finire del 1917 era istituito un reggimento di marina ed un raggruppamento di artiglieria di marina mentre venivano intensificati gli interventi di pontoni armati, di naviglio leggero e di idrovolanti ricognitori nella zona del basso Piave e della laguna veneta. Per la difesa del traffico nel Mediterraneo, per il quale già prima, come segretario generale del ministero, aveva ideato un sistema di convogli armati, attuati dall'allora ministro Corsi, provvide ad istituire una serie di Comandi difesa traffico nei grandi porti militari e commerciali. Questi comandi provvedevano alla formazione dei convogli e alla sicurezza delle loro rotte con naviglio adeguato (dalle torpediniere ai motoscafi ed alle vedette) che veniva impegnato nel servizio di crociera, in quello di ricerca e distruzione mine, e cacciasommergibili; i comandi che curavano il reciproco completamento dei mezzi di scorta e di esplorazione, ed il loro avvicendamento da zona a zona, dipendevano dalle autorità dipartimentali, ma avevano anche una certa autonomia e potevano disporre di idrovolanti e dirigibili. Tale dispositivo, che creava una cooperazione unitaria e organica tra marina militare e marina mercantile, venne inserito nello stesso 1917 in quello alleato e l'Italia si assunse il compito di organizzare e scortare i convogli nostri, alleati e neutrali da Gibilterra a Genova. Nel 1918 il D. incoraggiò anche lo studio del forzamento dei porti nemici e le imprese con i Mas e i barchini saltatori. Indubbiamente la marina ottenne nell'ultimo periodo di guerra maggiori successi: basterà ricordare i siluramenti della "Wien", della "Szent Istwan" e della "Viribus Unitis", il forzamento di Pola o la beffa di Buccari, ma mancò la concezione strategica, più ancora che la possibilità di agganciare il nemico, né fu adeguatamente preparata per il combattimento notturno.Terminato il conflitto con la rapida occupazione di parte della sponda orientale, il D. si preoccupò di evitare qualsiasi ingerenza straniera in Dalmazia e si oppose tenacemente a che a Fiume venisse istituita una base di rifornimento per i Francesi; in diversi interventi auspicò poi una feconda unione tra le due sponde dell'Adriatico controllato e pacificato dalla flotta italiana. Meno oltranzista di Revel, finì con il moderare le sue posizioni e, probabilmente più attento alle gravi questioni politiche che sollevavano le vicende adriatiche, partecipando alla discussione della conferenza di Parigi espresse parere contrario ad una eccessiva presenza italiana sulla sponda orientale rilevando la difficoltà tecnica della difesa di diverse posizioni compresa la stessa città di Sebenico. Aderì naturalmente alla protesta del presidente del Consiglio per l'italianità di Fiume, ma terminato il mandato con la caduta del gabinetto Orlando il 23 giugno 1919 si trasse in breve in disparte, ed intervenne assai raramente in Senato ed in genere per questioni secondarie. Nel dicembre del 1920 non partecipò alla discussione per la ratifica del trattato di Rapallo; aderì poi alla dichiarazione Giardino, che affermava che l'accordo lasciava insoluta la questione della difesa dell'Adriatico e poteva essere firmato solo per un superiore senso di disciplina.
Sull'indirizzo da dare alle costruzioni navali nel dopoguerra, nel breve periodo in cui mantenne il dicastero, non si possono rilevare se non alcune tendenze del suo pensiero: la prevalenza di una valutazione non molto approfondita degli insegnamenti della guerra, l'esagerazione delle possibilità offensive e difensive della costa orientale; forse trascinato dal clima di acceso nazionalismo, egli in particolare dichiarò di essere favorevole all'incremento delle grandi navi da battaglia e manifestò l'intenzione di portare a termine la costruzione della "Caracciolo" (una corazzata messa sugli scali durante la guerra), né prese in molta considerazione il futuro ruolo delle portaerei e della aviazione navale. Dal 1919 al 1921 fu comandante del dipartimento marittimo di Napoli e nello stesso '21 divenne presidente del Consiglio superiore di Marina. Non ritenne però opportuno intervenire in Senato per esprimere un suo giudizio su costruzioni e politica navale anche quando, nel luglio 1920, l'interpellanza Arlotta provocò una vivace ed approfondita discussione a cui parteciparono, tra gli altri, Corsi, Cagni, Revel e G. Sechi. Passato in posizione ausiliaria sempre nel 1921, raggiunse successivamente il grado di ammiraglio d'armata nella riserva navale. Si occupò negli ultimi anni della sua vita di questioni relative alla siderurgia e fu consigliere di amministrazione della Metallurgica bresciana; fu anche presidente dell'Aero espresso italiano, la prima società italiana esercente servizi di aviazione civile, costituita nel 1923.
Il D. morì a Roma il 26 luglio 1932.
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