CORTESE (Cortesi), Alberto
Figlio, forse primogenito, di Giacomo,e di Lasia di Pipione Balugola, nacque da illustre famiglia modenese nella prima metà del sec. XV.
La famiglia Cortese vantava una mitica discendenza dalla nobiltà franca della prima età carolingia: il Tiraboschi la riconnetteva con l'omonima famiglia di San Gimignano. Presente a Modena da gran tempo - è già attestata nei Massa Populi -, nel sec. XV era proprietaria di case e di botteghe in città, sul Canalchiaro, nonché di poderi nel contado, nella zona di Albareto, dove deteneva il giuspatronato della parrocchiale. Il padre del C., il cui nome ricorre nelle "dozzine" dei savi di Reggenza sino al 1463, dovette morire fra quest'anno ed il 3 genn. 1469, quando sua moglie Lasia redasse il proprio testamento, nel quale si dice vedova. Era stato o al servizio o comunque in rapporto con la famiglia degli Este, che regnava allora sul ducato di Modena e Reggio, poiché il 15 marzo 1459 era stato investito "iure feudi... de quodam edifitio in Civitate Mutine a Camera Ducali". Dei sei figli di Giacomo, Battista fu canonico della cattedrale di Modena; Lanfranco fu "familiaris et commensalis continuus" del card. Della Rovere.
Il C. seguì un regolare corso di studi, giungendo ad addottorarsi in diritto, ignoriamo in quale università: nei documenti ufficiali viene infatti designato sempre come "legum doctor", e "servitor et legum doctor" si firma nei suoi dispacci ai duchi Borso I ed Ercole I. Tra i Dodici savi di reggenza per il secondo semestre del 1469, e poi di nuovo nel 1471, nel 1472 e nel 1474, già in quegli anni doveva essere al servizio dei duchi di Modena, Reggio e Ferrara, se si può interpretare come ricompensa per servizi resi il provvedimento con cui il 13 marzo 1467 fu investito "iure feudi... de taberna et datio taberne Villenove Marchesane districtus Ferrarie e Camera Marchionali". Da un documento del 10 febbr. 1468 siamo tuttavia informati che "Cortesi Albertus refutat iura que tenebat in taberna Villenove Marchesane districtus Ferrarie iure feudi recognita a Camera Marchionali, et investitur de alia taberna et datio eiusdem Ville Capotiarum districtus praedicti ab ipsa camera". Il C. appare per l'ultima volta tra i Dodici savi di reggenza in Modena per il secondo e il terzo trimestre del 1474. Dopo che ebbe amministrato due brevi legazioni a Mantova e nelle Romagne, nella metà del 1476 venne nominato "oratore assiduo" - cioè rappresentante permanente - di Ercole I presso la Repubblica di S. Marco, ufficio che ricoperse dal luglio del 1476 al gennaio del 1482, e di nuovo dall'autunno del 1484 al febbraio del 1487. Della attività diplomatica da lui svolta in questa veste ci resta testimonianza nei circa seicento dispacci che il C. indirizzò ad Ercole I e ad altre personalità della corte estense con un ritmo che si fece sempre più serrato coi passare degli anni.
Nei suoi dispacci il C. fornisce al suo signore ragguagli sulle interpretazioni e sulle linee politiche via via date e assunte nei confronti delle vicende italiane dal governo presso cui era accreditato: vicende che vedono le mene di Sisto IV e del nipote Gerolamo Riario; la congiura dei Pazzi a Firenze e la lega antifiorentina voluta dal papa e da Ferdinando di Napoli; Ercole I al comando delle milizie fiorentine; lo sbarco dei Turchi a Otranto e l'occupazione della città (1480-81); la presa di potere di Ludovico il Moro a Milano; i crescenti contrasti fra i Ferraresi e il visdomino veneziano per il problema del sale di Comacchio e dei privilegi dei veneziani ivi residenti. Le vertenze con "i Magnifici Signori del Sale" si inasprirono anche per il modificato quadro delle alleanze di Venezia, quando la Serenissima si orientò verso una lega con Sisto IV, che non perdonava ad Ercole d'Este l'appoggio dato a Lorenzo de' Medici.
La situazione del residente estense a Venezia si fece allora così difficile che il C. arrivò a temere per la propria incolumità personale, tanto che il duca volle tranquillizzarlo scrivendogli, il 13 giugno 1480, di non preoccuparsi, "perché per tuto si ha grandissimo rispecto a li Ambassatori, et vui siti ambassatore de uno Signore che non vi lassaria torcere un pelo". Ciononostante, nel gennaio del 1482 la Signoria giunse a far arrestare nello stesso palazzo estense di Venezia alcuni famigli del C., e questi dovette abbandonare la città per rifugiarsi a Corbole, sul Po. In un primo tempo Ercole d'Este sperò, avviando trattative per il tramite di un suo legato temporaneo, Giovanni Roselli, di indurre il governo veneziano a dare il proprio consenso al ritorno del C. a Venezia come suo ambasciatore; poi, restando la Repubblica sulla negativa, il duca si rassegnò alla sostituzione: "havemo delibarato mandarli per nostro Ambasciatore assiduo in loco de ms. Alberto Cortese el spectabile et esimio doctore ms. Armano de Nobilibus nostro carissimo Cittadino", scriveva il 21 febbr. 1482. Nel maggio scoppiò la guerra tra il duca di Ferrara, Venezia e la lega, guerra che si concluse con la pace di Bagnolo del 7 ag. 1484. Durante il periodo delle ostilità il C. risiedette a Ferrara e a Modena. Nell'ottobre del 1484 fu nuovamente nominato "oratore assiduo" presso il governo della Serenissima, e tornò in tal modo a Venezia. Assai rilevante fu l'attività informativa da lui svolta nel corso di questo suo secondo mandato: si contano trentasette suoi dispacci dal 20 ottobre al 31 dic. 1484, circa centottanta per il 1485, quasi altrettanti - molti di essi sono cifrati - per il 1486, ventuno sino al 25 genn. 1487. Dopo questa data c'è un vuoto di una settimana, di cui si scusa in una missiva del 1° febbraio: "perché da alcuni zorni in qua jo sunto stato alquanto malà". Il 2 febbraio partecipò, insieme con gli altri ambasciatori accreditati presso il governo veneziano, alle solenni cerimonie che celebrarono la stipula della nuova lega fra la Serenissima e lo Stato della Chiesa. Quella sera si ritirò molto tardi, verso le 22, "cum una grandissima febre". L'8 febbraio, dando conto di certi negozi, scriveva: "ben ch'io me sentisse alquanto male, volse sforzare el male, el quale tandem me ha sforzato mi..., che me sunto meso a lecto cum una dopia terzana". Fu, questa, l'ultima missiva inviata dal C. al suo sovrano.
Morì poco dopo: il 1° marzo 1487 un mandato d'esenzione della Repubblica di S. Marco segnalava: "Proficiscitur Ferrariam magnifica uxor quondam magnifici Alberti Cortesii Oratoris... nuper defuncti".
Il C. aveva sposato Sigismonda Molza, che morì a Roma dopo quarantun anni di vedovanza, nel 1528. Da lei aveva avuto cinque figli; uno di loro, Gian Andrea, abbracciò la vita religiosa, entrando nell'Ordine benedettino col nome di Gregorio, e divenne in seguito vescovo e cardinale.
Fonti e Bibl.: Notizie sulla famiglia si trovano nel ms. della Biblioteca Estense di Modena (Campori, App. 2269, c P. 3, 8) intitolato Notizie antiche della città di Modena, c. 87rv, e nella busta 131 (1), Campori, App. 1539, che contiene carte della famiglia. Si vedano anche le voci sui Cortese in G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, II, Modena 1782, pp. 187-91 e, all'Arch. di Stato di Modena, Particolari, filza 380, b. Famiglia Cortesi. Notizie sul C. nella vita settecentesca di Gregorio Cortese, scritta da G. A. Gradenigo e rivista dal march. G. B. Cortesi, in Gregorii Cortesii Omnia quae huc usque colligi potuerunt…, I, Patavii 1774, pp. 11-51. Per l'attività di savio si v. le "vacchette" 1469, 1471, 1472, 1474, all'Archivio comunale di Modena. La corrispondenza tra il C. ambasciatore a Venezia ed Ercole I è in Arch. di Stato di Modena, Archivio segretoEstense, Cancelleria Estero, Venezia, bb. 2-5. Soltanto una piccola parte di questo corpo di dispacci è stata pubblicata da C. Foucard, Fontidi storia napoletana nell'Archivio di Stato di Modena, in Arch. stor. per le prov. napol., VI (1881), pp. 128-34.