ALBERTI
. Famiglia di Firenze, appartenente al ceppo della Catenaia. Il ramo fiorentino di questa famiglia si denominò fin quasi alla fine del sec. XIV, degli Alberti del Giudice, dalla professione di Rustico, che, primo della casa, si stabilì in città, vi tolse in moglie una Malespini e vi esercitò le funzioni di giudice notaio, documentate dal giugno 1203. Nella divisione politica fra guelfi e ghibellini, gli Alberti si schierarono tra i primi, furono esiliati dopo la battaglia di Montaperti, e, alla morte di Manfredi, tornarono in patria ove ripresero le redini del governo. Alberto di messer Iacopo, congiurato contro Giano della Bella, fu priore nel 1298; il fratello suo Neri fu collega di Dante nell'infausto priorato. Nelle fazioni che insanguinarono la città ai primi del Trecento, essi furono dei Neri; e quando, nella seconda metà del secolo, si accesero le rivalità fra gli Albizzi (esponenti degli antichi nobili e dei grassi mercanti) e i Ricci (rappresentanti, insieme con i Medici, dei popolani minori), gli Alberti scesero in lizza animosamente con questi ultimi e sperimentarono le rappresaglie dei Capitani di parte guelfa, dai quali furono ammoniti e proscritti. Primo fra loro, il capo della casata, Benedetto - il fiorentino più savio del suo tempo, a dire del Machiavelli - che, dopo un anno di esilio, morì a Rodi nel 1388. Rientrarono in Firenze col prevalere dei Medici, che li fecero toglier di bando nell'ottobre del 1423, e li ebbero da allora tra i più devoti amici e sostenitori. Col principato, cessò l'importanza politica della famiglia, che durante la repubblica aveva avuto 48 priori e 9 gonfalonieri di giustizia.
Gli Alberti occupano un posto notevole tra le compagnie mercantili e bancarie fiorentine del sec. XIV e del XV. Come mercanti, trafficarono in panni francesi e inglesi; come banchieri, furono al servigio della curia pontificia. Ebbero filiali a Genova, Venezia, Bologna e Roma; e all'estero, succursali, agenzie e rappresentanti a Barcellona, Valenza, Avignone, Parigi, Bruges, Gand, Bruxelles, Londra, Colonia, e anche in Ungheria, Grecia, Siria e Rodi. Alieni dalle operazioni rischiose, non fallirono mai.
Quantunque fossero legati ai Bardi, poco li scosse il clamoroso disastro di questa compagnia a metà del Trecento. Nel 1414, nonostante le confische dei beni in Firenze, era così grande il loro credito e così sicura la loro organizzazione, che entro cinque giorni dalla richiesta consegnarono a Giovanni XXIII, in Bologna, 80.000 fiorini, depositati per lui nella succursale londinese: "somma non prima a' dí nostri, in un solo monte, apresso di privato alcuno cittadino, veduta". Abbiamo testimonianza dei traffici di questa famiglia nel sec. XIV, in sei registri membranacei della Compagnia e in un gruppo di lettere, conservati nella Biblioteca nazionale di Firenze. Gli Alberti, di famiglia che mai fu sì povera ch'ella non fusse tra le famiglie di Firenze reputata ricchissima", ebbero case nel popolo di Santa Cecilia, che andaron distrutte nell'incendio appiccato il 1304 dall'Abati; ebbero palagio, con torre e loggia, nel borgo di Santa Croce, rovinato dopo Montaperti; infine, un'ampia costruzione sul renaio dell'Arno, acquistata nel 1345 e più volte in seguito riattata. Ebbero ancora estesi possedimenti rustici, dei quali ci dànno testimonianza le imbreviature di ser Goro Sergrifi di San Giovanni, conservate nell'Archivio di stato di Firenze: degna di ricordo fra tutte, la villa del Paradiso, le cui bellezze furono esaltate da Giovanni di Gherardo da Prato (Il Paradiso degli Alberti, edito da A. Wesselofsky, Bologna 1867). Nel campo della beneficenza e della pietà religiosa, si ricorda una cappella in Santa Croce, frescata da Agnolo Gaddi; una nella chiesa di S. Miniato al Monte, con pitture di Spinello Aretino; il monastero del Paradiso, che fu dei più celebri tra i suburbani; il pio ricovero di Orbetello (Orbatarum terra o Albertorum terra), cominciato a costruire nel 1370, che raccolse fino a 200 donne povere.
Tra i più grandi benefattori della casa, si ricorda Niccolò di Iacopo di Alberto, ricco di un patrimonio di ben 340.000 fiorini, che fu accompagnato al sepolcro, nel 1377, da tutti i poveri di Firenze da lui aiutati. Per ciò che si attiene alla cultura, la famiglia conta giudici, notai, letterati; e si fregia, sopra tutti, del nome di Leon Battista (v.). L. Passerini (Genealogia degli Alberti di Firenze, Firenze 1870, voll. 2) fa derivare da essi il ramo bolognese, cui appartiene il domenicano frate Leandro, e il ramo francese dei duchi di Luynes e Chevreuse.