OREGGI, Agostino
OREGGI, Agostino. – Nacque nel 1577 a Santa Sofia, «terra illustre del Gran Ducato di Toscana ai confini della Romagna» (Strocchi, 1838, p. 158), oggi in provincia di Forlì-Cesena.
Non si hanno notizie dei suoi genitori, a quanto sembra oriundi di Bironico, nei pressi di Lugano, dove la famiglia esercitava la professione notarile. Il padre sarebbe stato architetto e avrebbe lavorato a lungo in Toscana. Già i contemporanei li definirono di oscuri natali; erano tuttavia dotati di sufficienti sostanze per finanziare gli studi del figlio.
Inviato a Roma all’età di 17anni, entrò nel circolo del cardinale Roberto Bellarmino, che lo collocò nel convitto di S. Anna, destinato a ospitare nobili italiani. Secondo notizie tradizionali, avrebbe frequentato le Scuole pie sotto la direzione di José de Calasanz. Studiò filosofia e teologia presso il collegio romano della Compagnia di Gesù, conseguendo il dottorato, e quindi diritto civile e canonico all’Università la Sapienza. Ordinato sacerdote, per interessamento di Bellarmino divenne canonico teologo della cattedrale di Faenza (23 novembre 1605) e insegnò pubblicamente in città per nove anni. Fu quindi assunto come teologo nella famiglia del cardinale Maffeo Barberini quando questi venne preposto alla legazione di Bologna negli anni 1611-14.
L’ascesa al soglio pontificio del suo protettore, divenuto Urbano VIII (6 agosto 1623), significò per Oreggi l’accesso agli alti gradi della carriera ecclesiastica. Il 25 settembre 1623 ricevette una pensione di 100 scudi sulla mensa della diocesi di Spoleto; il 30 ottobre gli furono concessi i privilegia familiaritatis e il 26 febbraio 1624 divenne canonico di S. Pietro, succedendo a Giovanni Battista Altieri, eletto vescovo di Camerino.
Nel gennaio 1624 fu nominato consultore del S. Uffizio, una scelta che denota la volontà del papa di non dipendere da altri membri del tribunale. Divenne inoltre elemosiniere pontificio e prelato delle congregazioni dei Riti e per l’Esame dei vescovi. Nell’autunno del 1626, quando Urbano VIII incaricò il gesuita Terenzio Alciati di scrivere una storia del Concilio di Trento da opporre agli scritti di Paolo Sarpi, Oreggi fu incaricato di mettere a disposizione dello scrittore tutti i documenti del concilio esistenti negli archivi pontifici; Alciati però non riuscì a portare a termine il compito assegnatogli.
In quanto consultore del S. Uffizio, Oreggi partecipò a diversi gruppi di lavoro, in collaborazione con i colleghi della congregazione de Propaganda fide, incaricati di discutere problemi di varia natura emergenti in diverse parti del mondo cristiano. Il 21 luglio 1625 Propaganda esaminò il libro scritto dal dotto persiano Hamet Ben Zin dal titolo Lustrator speculi veritatis, polemico verso la religione cristiana, e istituì una commissione di teologi incaricata di redigere una confutazione del testo e più in generale degli errori di Maometto, da pubblicare anche in arabo, composta, oltre che da Oreggi, da Celso Zani, vescovo di Città della Pieve, Niccolò Ridolfi, Alessandro Boccabella, Girolamo Fioravanti, Ignazio Lomellini, Ilario Rancati, Girolamo da Corneto, Marco Antonio Capello, Tommaso da Novara, Tommaso di Gesù e dall’arabista Filippo Guadagnoli.
A partire dal 1628 Propaganda si pose il problema di superare i limiti del padroado e nel 1630 nominò un gruppo di lavoro, composto da Marzio Ginetti, Giovanni Battista Pamphili e Oreggi, a cui si devono le origini della costituzione Ex debito pastoralis officii, pubblicata il 22 febbraio 1633, che aboliva l’esclusiva dei gesuiti in Giappone. Il 24 luglio 1632 la stessa congregazione istituì una commissione con il compito di aggiornare la professione di fede da sottoporre ai cristiani di rito orientale che intendevano riconoscere il primato pontificio. Sotto la presidenza del cardinale Desiderio Scaglia si riunirono Giovanni Matteo Cariofilo, arcivescovo di Iconio, Niccolò Riccardi, Oreggi, Ilario Rancati e Orazio Giustiniani, cui il papa aggiunse Luca Wadding e Filippo Guadagnoli. La professione, approvata il 4 luglio 1633, fu tradotta in diverse lingue e stampata con il testo latino a fronte, a uso del S. Uffizio e dei missionari.
Un’altra commissione nominata il 24 febbraio 1633, composta da Carlo Paulucci, Antonio Tornielli, Oreggi e Boccabella, sotto la presidenza del cardinale Antonio Barberini, protettore d’Irlanda, elaborò un progetto per ristrutturare le diocesi irlandesi e definire le facoltà concesse ai missionari ivi operanti, dopo che l’isola, a motivo della persecuzione religiosa, era stata annoverata tra le terre di missione.
Tra il 1629 e il 1633 Oreggi pubblicò a Roma alcuni trattati teologici e filosofici: De Deo uno, De individuo sacratissimae Trinitatis mysterio, De angelis, De opere sex dierum, De sacrosancto incarnationis mysterio, Aristotelis vera de rationalis animae immortalitate sententia; vennero successivamente ripubblicati nel 1637, insieme con diversi inediti (tra cui una sorta di manuale di teologia dedicato a Urbano VIII), e ancora nel 1642.
Tali scritti permettono di cogliere alcune idee circolanti tra i collaboratori più vicini al pontefice. Il De opere sex dierum ingloba il De rationalis animae immortalitate; la sua origine risale a uno studio commissionato una ventina d’anni prima all’autore dal cardinale Maffeo Barberini per verificare l’ortodossia della dottrina aristotelica circa l’anima umana. La prima parte dell’opera, dedicata ai primi cinque giorni della creazione, propone un’immagine del mondo costruita a partire dai testi biblici, escludendo i contributi della scienza contemporanea; vi si afferma che la conoscenza dell’uomo rispetto alla realtà fisica è incerta e la libertà di pensiero limitata, poiché non può esercitarsi su realtà oggetto della rivelazione. In particolare, nel De Deo uno è riportato un colloquio intercorso nel 1616 tra Maffeo Barberini e Galileo Galilei, nel quale il cardinale sosteneva fosse impossibile provare la verità dell’eliocentrismo, data la difficoltà dell’uomo a cogliere le innumerevoli combinazioni del moto degli astri, frutto dell’infinita potenza di Dio. In caso di conflitto tra affermazioni filosofiche e la rivelazione biblica si sarebbe dovuto ricorrere all’argomento dell’onnipotenza divina e confessare che Dio ha potuto produrre la realtà rivelata dalla Bibbia sotto forme molto più numerose e perfette di quelle che l’uomo può conoscere.
Oreggi fu coinvolto nel processo contro Galileo, iniziato nel 1632 in seguito alla pubblicazione del Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo, che aveva ricevuto l’imprimatur dal maestro del Sacro Palazzo Niccolò Riccardi. Il papa, sentendosi raggirato da Galileo, nell’autunno del 1632 sottopose l’opera a una commissione composta dallo stesso Riccardi, da Oreggi e dal gesuita Melchior Inchofer. La relazione stesa da Riccardi e Oreggi, che aveva lo scopo di giustificare l’imprimatur incautamente concesso dal primo, fu presentata al S. Uffizio il 23 settembre 1632. Essa asseriva la necessità che il libro fosse sottoposto al giudizio dell’Inquisizione in quanto Galileo aveva continuato a sostenere la teoria eliocentrica, disobbedendo all’ingiunzione intimatagli nel 1616, con l’aggravante di aver taciuto su tale circostanza, e indicava le correzioni indispensabili per rimettere in circolazione il Dialogo. Dopo l’interrogatorio di Galileo, che ebbe luogo a Roma nell’aprile 1633, Oreggi, insieme con Inchofer e il teatino Zaccaria Pasqualigo, fu uno dei tre qualificatori che attestarono formalmente l’aver Galileo contravvenuto all’ordine ingiuntogli nel 1616: pubblicando il Dialogo, lo scienziato aveva portato argomenti efficaci in favore del movimento della Terra e si rendeva così sospetto di aderire a una dottrina condannata dalla Chiesa; fu questo il fondamento dell’abiura pronunciata il 22 giugno 1633.
Il 28 novembre 1633 Urbano VIII creò Oreggi cardinale, probabilmente in ricompensa per l’appoggio prestatogli nel procedimento contro lo scienziato fiorentino, e contestualmente lo nominò arcivescovo di Benevento, diocesi della quale Oreggi prese possesso per procura il 16 dicembre. Il canonicato in S. Pietro da lui detenuto, dichiarato vacante, fu assegnato al nipote Bartolomeo Oreggi, familiare del cardinale Francesco Barberini. Il 30 aprile 1634 il papa gli concesse, come era in uso per i cardinali, l’indulto di conferire i benefici della sua diocesi. Il 9 gennaio 1634 gli fu assegnato il titolo presbiterale di S. Sisto e fu poi ascritto alla congregazione del S. Uffizio, alla cui seduta del 12 gennaio partecipò. Presenziò regolarmente alle sessioni del concistoro: il 25 settembre e il 20 novembre 1634 presentò la candidatura del domenicano Zanobi Medici alla diocesi di Borgo San Sepolcro.
Il 19 gennaio 1635 lasciò Roma, diretto a Benevento. Restano poche notizie della sua attività in diocesi: volle amministrare personalmente le cresime e si preoccupò della formazione del clero, assistendo agli esami di ammissione agli Ordini.
Quando stava preparando la visita pastorale venne colto da febbri che lo condussero rapidamente alla morte, avvenuta a Be-nevento la sera del 12 luglio 1635. Le sue spoglie furono inumate nella cattedrale.
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