NIFO, Agostino
NIFO, Agostino – Nacque intorno al 1469-70 a Sessa Aurunca da Giacomo, di origine calabrese, e dalla suessana Francesca Galeoni.
A lungo si è dibattuto sul luogo di nascita, sulla scia di Gabriele Barri (1571) e di Girolamo Marafioti (1601) che avevano indicato le località calabre di Joppolo o Tropea, oltre a narrare di una sua fuga a Sessa per i maltrattamenti subiti dalla seconda moglie del padre e dell’accoglienza ricevuta in un’ignota famiglia, che ne avrebbe curato l’educazione. In realtà, la presenza dei Nifo nella cittadina campana è attestata già nel 1440, quando Domizio, nonno di Agostino e barone di Joppolo, lasciò insieme con il fratello Giovanni la Calabria al seguito di Marino Marzano I, quarto duca di Sessa. Lucio Sacco (1640) fu tra i primi a sostenerne la nascita a Sessa, nella contrada di S. Nicola.
Dopo i primi studi a Sessa e a Napoli, si trasferì a Padova per completare il proprio curriculum sotto la guida di Nicoletto Vernia, che lo introdusse alla lettura averroistica di Aristotele. Nel 1490 conseguì il grado di doctor artium e nel novembre 1492 ottenne l’insegnamento straordinario secundo loco di filosofia naturale, retribuito con 60 fiorini. Al maggio 1494 data la partecipazione a Bologna a una pubblica disputa sulla dottrina platonica dell’anima, nella quale si oppose a Giovanni Pico della Mirandola. Nell’ottobre 1495 fu nominato professore ordinario quale concorrente di Pietro Pomponazzi, del quale divenne successore primo loco l’anno successivo. Il salario di 90 fiorini fu aumentato a 120 il 19 giugno 1498 al fine di trattenerlo a Padova, avendo Nifo manifestato l’intenzione di allontanarsene malgrado l’ammirazione di tanti allievi – tra questi Egidio da Viterbo, oltre a molti patrizi veneti – per contrasti e polemiche suscitati dal suo averroismo.
Già editore dell’Aristotele latino corredato dei commenti di Averroè (Venezia, G. e G. De Gregoriis, 1495-96), nel marzo 1497 aveva infatti dato alle stampe il commento alla Destructio destructionum, in un volume che comprendeva anche la Quaestio de sensu agente, duro attacco a Jean de Jandun. Consapevole del divieto emanato il 6 maggio 1489 dal vescovo di Padova Pietro Barozzi alle pubbliche discussioni sulla dottrina dell’unità dell’intelletto, inserì nel volume – opportunamente dedicato al cardinale Domenico Grimani, più liberale promotore degli studi filosofici – un’epistola all’inquisitore Niccolò Grassetti, per assicurare il proprio impegno nel respingere le tesi contrarie all’ortodossia cattolica. Ciononostante, è evidente la sua adesione, sia pure su un piano puramente filosofico e nella più moderata versione datane da Sigieri di Brabante, alla lettura averroistica del De anima. Averroè è definito sacerdos Aristotelis e Aristoteles transpositus, superiore nella sua esegesi a tanti expositores Latini, tra i quali Nifo non esita a includere Alberto Magno e Tommaso d’Aquino. La reazione fu immediata e a tuonare contro i novelliAverroistae fu il francescano Antonio Trombetta, titolare della cattedra in via Scoti, il cui Tractatus singularis contra Averroistas (Venezia 1498), dedicato a Barozzi e diretto genericamente contro gli iuvenes attratti da discutibili novità, è una dura replica alle temerarie tesi del giovane Nifo, che nella sua opera aveva criticato i fratres minores digiuni di logica e ossessionati dalla metafisica.
Nell’autunno 1499 lasciò Padova e fece ritorno a Sessa, non tanto spinto, come talora ipotizzato, da insoddisfazione economica o da ragioni familiari (nel 1496 aveva contratto matrimonio con la nobile suessana Angela Landi, che gli diede tre figli, Domizio, Livia e Giacomo), quanto dal clima ostile creatosi a Padova, al quale avrebbe contribuito l’annunciato ritorno di Pomponazzi. A Sessa si dedicò allo studio del greco; poté così accedere al testo originario di Aristotele e rivolgersi, come indicatogli da Vernia, a commentatori quali Simplicio, Temistio, Alessandro di Afrodisia. La padronanza della lingua si riflette nella pubblicazione di due opere nel 1503, a Venezia per Pietro Quarengi, la cui stesura era già stata avviata a Padova.
In maggio vide la luce la Commentatio super tre libros de anima, nella quale Nifo ritiene mere fictiones alcune esposizioni di Averroènon pienamente aderenti al testo aristotelico; in agosto uscì il Liber de intellectu, rielaborazione della Quaestio de unitate intellectus alla quale Nifo accenna nel commento alla Destructio destructionum e mai pubblicata, perché temeraria nell’adesione della dottrina averroistica dell’intelletto agente. Nel ripresentarla con il più neutro titolo Liber de intellectu, Nifo si sforza di far dimenticare il suo iniziale orientamento, mostrando le conseguenze nefaste della unitas intellectus agenti sulla morale e la religione. A tal fine ricorre anche a una prudente retrodatazione della stesura del Liber de intellectu al 26 agosto 1492, data anteriore al commentario alla Destructio destructionum. Inoltre, cerca di dare rilievo alla lettura aristotelica di Tommaso, definito qui il primus noster expositor. Ben più ampio è però l’uso dei Platonici: Proclo, Ammonio, Giamblico e Ficino, di cui cita i commentari a Platone, alle Enneadi di Plotino e la versione del Pimander. In calce, il volume veneziano propone i De daemonibus libri tres, complesso e ambiguo trattato anch’esso retrodatato al 1492, nel quale Nifo afferma l’esistenza dei demoni, in dichiarato contrasto con la visione aristotelico-averroistica che ritiene esistenti le sole forme pure motrici.
L’epidemia diffusasi a Sessa nel 1503 lo portò a trasferirsi con la famiglia nel borgo collinare di Marzuli. Rientrato in città l’anno successivo, il 25 marzo 1504 inoltrò una supplica attraverso il console veneziano a Napoli per essere riammesso a Padova, «fatto più docto di quello che era et ha studiato in grecho» (Sanuto, 1969, V, col. 972). Richiesta non accolta, perché tra il 1° aprile 1501 e il 31 dicembre 1505 insegnò fisica presso lo Studio napoletano con un salario di 150 ducati, incarico al quale associò quello di medico del viceré Gonzalo Hernández de Córdoba. Fu in tale occasione che entrò nel circolo pontaniano, frequentazione che ebbe influenza nella composizione del De diebus criticis seu decretoriis aureus liber (Venezia, G. Penzio, 1504) e del De nostrarum calamitatum causis liber (ibid., B. Locatelli, 1505), in cui sostenne l’influsso degli astri sugli eventi umani sulla base di una rigorosa applicazione dei calcoli tolemaici, aderendo quindi alla polemica di Pontano contro i deliramenta di Albumasar e di altri astrologi arabi.
Accanto a tali nuovi interessi non venne meno l’impegno esegetico. Sempre nel 1505 videro la luce i Commentarii in duodecimum μετὰ τὰ φυσικὰ seu metaphysices Aristotelis et Averrois (Venezia, Simone da Lovere), dedicati ad Antonio Giustinian, compagno di studi e discussioni a Padova, e l’Averroys de mixtione defensio (ibid., B. Locatelli), nei quali Nifo fa largo uso dei neoplatonici della tarda antichità, mentre a Tommaso, e più in generale ai Latini rimprovera l’erronea lettura del testo greco, tanto da definirli perversores piuttosto che autentici expositores.
Tra il 1506 e il 1507 fu attivo a Sessa quale docente privato (tra i suoi allievi Galeazzo Florimonte), ma non mancarono brevi soggiorni a Napoli, dove nel maggio 1507 partecipò alle celebrazioni seguite al capitolo generale degli agostiniani e all’acclamazione a priore generale di Egidio da Viterbo, già suo allievo. Nell’autunno 1507, conteso da diverse università, decise di accettare l’offerta del principe di Salerno Roberto II Sanseverino, il quale, grazie alla fama di espositore aristotelico raggiunta da Nifo, si proponeva di restituire alla Schola salernitana la fama dei secoli passati. L’insegnamento ebbe breve durata perché, alla morte del suo protettore nel dicembre 1508, Nifo preferì trasferirsi nuovamente a Napoli, dove gli furono assegnate le cattedre di filosofia e medicina. Un invito era giunto anche da Padova, ma come riferisce il console veneziano «vol ducati 500 e non mancho, perché dice che è il primo homo dil mondo… sì che, non havendo ditti denari, non vol vegnir» (Sanuto, 1969, VII, col. 678). Tra Salerno e Napoli furono portati a termine il Perihermenias hoc est De interpretatione liber (Venezia, B. Locatelli, 1507), primo contributo all’esposizione dell’Aristotele logico e di notevole fortuna; l’Aristotelis physicarum acroasum hoc est naturalium auscultationum liber; le Commentationes in Librum de substantia orbis (ibid. 1508); il Metaphysicarum disputationum dilucidarium (Napoli, S. Mayr, 1511).
Risale sempre a quegli anni e non al periodo patavino – come vorrebbe la sottoscrizione apposta in data 13 maggio 1492 – la stesura del De beatitudine animae (Venezia, B. Locatelli, 1508). Basato sulle lezioni tenute nel 1492, il commentario al De naturali perfectione intellectu attribuito a Averroè rappresenta un interessante caso di autocensura – grazie a una retrodatazione adottata già nel De intellectu del 1503 – sul delicato tema della felicità suprema, che Averroè individua nell’unione dell’intelletto possibile con l’intellento agente, mentre per la dottrina cattolica non vi può essere beatitudine se non nell’esercizio di virtù eroiche e nella grazia divina. Nifo risolve tale contrapposizione nella diversità, di metodo e di principi, tra filosofia e teologia, tentando così di conciliare averroismo e lex Christiana. Pur non risparmiando critiche ad Averroè e accusando apertamente Jean de Jandun di eresia, non riesce però a celare l’ambivalenza, tanto da avvertire – in questa come in altre sue opere – «l’inconfondibile sentore dell’opportunismo d’un esprit fort» (Zambelli, 1975, p. 140).
Incerte sono le notizie tra il 1510 e il 1514, anni in cui Nifo, residente prevalentemente a Sessa, limitò la sua prolifica produzione ai soli Ad Apotelesmata Ptolomaei eruditiones (Napoli, P.M. De Richis, 1513), commento di ispirazione pontaniana alla Tetrabiblos, nel quale riprende la polemica con Pico della Mirandola («quod vero Picus ait pace sua nihil est») già presente nel De nostrarum calamitatum causis liber. Il 15 ottobre 1514 concluse il commentario In quattuor libros de coelo et mundo (edito a Napoli, S. Mayr, 1517), e pressoché contemporaneo fu il suo trasferimento, su invito di Leone X, presso lo Studio romano, quale titolare della lectura ordinaria di filosofia, incarico ricoperto fino al 1519, come riporta Giuseppe Maria Carafa nel De Gymnasio Romano. Che Nifo fosse ben introdotto in Curia è testimoniato dal fatto che nel 1518 il pontefice lo invitò a confutare le tesi diffuse da Pomponazzi nel Tractatus de immortalitate animae (Bologna 1516). Il nome di Nifo era stato suggerito dell’agostiniano Ambrogio Fiandino, che a tale scopo era stato inviato a Roma da Egidio da Viterbo, il quale, pur non avendone condiviso a Padova l’averroismo propugnato da Nifo, aveva individuato il suo maestro la figura più adatta all’attesa confutazione.
Già il 27 ottobre 1518 apparve a Venezia, per Ottaviano Scoto, il De immortalitate animae libellus, ampia e minuziosa trattazione che di Pomponazzi non solo respinge la tesi mortalistica, ma mostra anche la superficialità della lettura di Aristotele e dei suoi commentatori, deligittimandone l’autorità stessa di interprete. Nifo si muove quindi sul piano esegetico, ricercando in Aristotele quei supporti testuali che, se ben interpretati, consentono di fondare una teoria razionale, naturale e peripatetica dell’immortalità dell’anima. A Pomponazzi rimprovera inoltre di presentare la dottrina aristotelica in modo avulso dalla concezione platonica, dalla quale egli recupera – attingendo a fonti mediate da Ficino, del quale utilizza ampiamente la Theologia platonica – tesi a favore dell’immortalità dell’anima individuale, perché «ab Aristotele de statu animae post mortem pauca aut nulla habemus, a Platone vero pluria» (De immortalitate animae, c. 23r-v). L’entrata in campo di Nifo infiammò ulteriormente la polemica sull’argomento e già nel 1521 il Libellus fu ristampato da Scoto in forma immutata, con la sola aggiunta al frontespizio di un «adversus Pomponatium», mentre «adversus Augustinum Niphum» Pomponazzi indirizzò, nel 1519, il suo Defensorium, implicito riconoscimento del valore del suo avversario.
La pubblicazione del De immortalitate animae assicurò a Nifo il favore di Leone X. Nel 1519 diede il consenso al passaggio del filosofo all’Università pisana, per poi nominarlo nel luglio 1520 conte palatino, con il raro privilegio di usare, accanto ai propri, le armi e il nome dei Medici, come Nifo – ora «Augustinus Niphus de Medicis» – fece nelle opere edite dopo tale data. Un’offerta da parte dello Studio pisano era in realtà arrivata già nel 1517, rifiutata da Nifo – «in quo acer erat amor gloriae» (Fabroni, 1791, p. 316) – perché insufficiente il salario di 500 fiorini. Condizioni più adeguate si presentarono il 25 giugno 1519, quando Baldassarre Turini, datario di Leone X, riuscì a impegnarlo per un trienno a Pisa quale professore di filosofia primoloco, con un compenso di 700 fiorini.
Gli anni pisani e la frequentazione dell’ambiente fiorentino furono determinanti per la scoperta di nuovi campi di indagine, in direzione «discorsiva piuttosto che dialettica, morale e politica piuttosto che fisica e metafisica» (Dionisotti, 1980, p. 131). Nell’agosto 1520 vide la luce la Dialectica ludrica (Firenze, Er. F. Giunti),introduzione alle regole fondamentali dell’arte del discorso, in cui la dialettica è intesa – come nelle Dialecticae disputationes di Lorenzo Valla – non come mero gioco di cavilli e sottigliezze, ma come strumento utile alla vita civile e all’amministrazione della cosa pubblica. Seguirono gli agili Epitomata rhetorica ludrica (Venezia, F. Pinzi, 1521) e il Libellus de his quae ab optimis principibus agenda sunt (ibid., Er. O. Scoto, 1521), sul modello della precettistica del tempo. Grande risonanza ebbe un’altra opera di redazione pisana, pubblicata a Napoli, per Jean Pasquet, nel dicembre 1519 e ristampata già nell’aprile 1520 a Firenze dai Giunti: il De falsa diluvii prognosticatione, dedicato a Carlo V, con il quale Nifo si inserì nel dibattito sul diluvio universale pronosticato da Johannes Stöffler per il febbraio 1524, in coincidenza della congiunzione dei pianeti nel segno dei Pesci. Nel respingerne l’attendibilità, Nifo critica i prognostica che si allontanano, nei calcoli dei grandi eventi ciclici, dall’autorità del grande Tolomeo.
Pisa non fu la tappa definitiva del peregrinare accademico di Nifo. Nel 1522 riprese infatti la via di Salerno, accettando l’invito di Ferrante, figlio di Roberto Sanseverino. Gli anni successivi furono fervidi di studi e pubblicazioni, in una varietà di interessi che, se pur lodata da Gabriel Naudé, ha procurato spesso a Nifo l’accusa di eccessivo ecclettismo. Nel maggio 1522 apparvero i Collectanea ac commentaria in libros de anima (Venezia, Er. O. Scoto),la cui stesura era stata ultimata a Pisa nel 1520. Dedicata al cardinale Giuliano de’ Medici, l’opera decreta l’allontanamento dall’averroismo del De anima del 1503, che Nifo ora dichiara essere stato impresso a sua insaputa. Nel gennaio 1523 apparvero i Commentaria in libros Posteriorum Aristotelis (Venezia, Er. O. Scoto),ultimati a Sessa il 18 aprile 1522; seguirono a breve distanza i Parva naturalia (ibid., marzo 1523), di redazione per lo più pisana.
Agli anni toscani è strettamente legata anche la terza opera edita nel 1523, in marzo, a Napoli dalla vedova di Cristoforo Mayr, Caterina: il De regnandi peritia, in genere interpretato come disinvolto plagio dell’ancora inedito Principe di Machiavelli. «Gibbosa contraffazione» (Ridolfi, 1954, p. 320) o astuto travestimento editoriale che serve in tavola «una vivanda di sapore nuovo, stuzzicante, a colpo sicuro» (Dionisotti, 1980, p. 134), è più corretto vedere nell’opera una riscrittura, come si legge nel proemio, «more nostro peripatetico» del Principe, ricomposto sul modello della Politica aristotelica e purgato dall’irriverenza verso la religione. Originale è, inoltre, il finale inserimento del ritratto del buon principe, già delineato nel Libellus de his quae ab optimis principibus agenda sunt, che si oppone al tiranno e coincide con il principe cristiano.
Al 1525 data l’assegnazione delle cattedre di filosofia e medicina presso il Collegium di Salerno, incarichi ai quali Nifo unì, quale membro anziano del Collegio dottorale, quello di promotore perpetuo, conferendo – grazie anche alle prerogative proprie del titolo di conte palatino – i diplomi di laurea. La remunerativa condotta e la prestigiosa posizione lo indussero a rifiutare, come si legge in una lettera di Pietro Bembo del 2 ottobre 1525, la proposta di insegnamento con un compenso di 800 ducati rivoltagli dai Riformatori dello Studio di Bologna. Pochi mesi prima, anche l’università pisana aveva espresso il desiderio di giovarsi ancora del «Sexa Philosopho excl.mo et hoggi in Italia unico» (cit. in Garin, 1954, p. 5). Preferì soggiornare tra Sessa, Salerno e Napoli, carico di onori e riconoscimenti. Il 28 settembre 1525 il principe Ferrante gli aveva concesso, definendolo l’Aristoteles dei propri tempi, un vitalizio annuo di 200 ducati; nel 1528 ottenne la cittadinanza onoraria di Napoli, dove tornò a insegnare, tra il 1531 e il 1532, filosofia e medicina, con un salario di 400 ducati. Nel 1535 declinò l’invito di Paolo III a riprendere l’insegnamento a Roma e fu eletto sindaco del ceto dei nobili di Sessa. In tale ruolo accolse in città Carlo V durante il 24 marzo 1536, episodio raffigurato da Luigi Toro in una tela oggi nel Museo di Capodimonte a Napoli.
Diviso tra insegnamento e impegni di rappresentanza, frequentazione di potenti e conversazioni cortigiane, tratti di una natura incline alle «riunioni mondane, che preferiva al chiuso delle accademie» (Garin, 1952, p. 163), attese alla pubblicazione di opere composte in anni precedenti.
Tra l’aprile e il maggio 1526 apparvero il De figuris stellarum Helionoricis (Napoli, J. e D. Pasquet), avviato nell’agosto 1510 durante una campagna di caccia al seguito del principe Pompeo Colonna «apud Romanas Sylvas», e il De generatione et corruptione (Venezia, Er. O. Scoto), già edito a Venezia nel 1506 per i tipi di Scoto, in un volume che include la Quaestio de infinitate primi motoris, risalente al novembre 1504. Dedicati sempre a Aristotele sono i commentari ai Priora analytica (Napoli, E. Presenzani, 1526), ai Meteorologica (Venezia, Er. O. Scoto, 1531), e i più tardi In libros de sophisticis Elenchis (ibid. 1534) e Topica inventio in octo secta libros (ibid., Er. O. Scoto, 1535). Altrettanto ricca è, in questa ultima fase, la trattazione di temi squisitamente umanistici, come il De rege et tyranno (Napoli, E. Presenzani, 1526) e il De armorum literarumque comparatione commentariolus (ibid. 1526), redatto in polemica con Luca Prassicio, in cui Nifo, in una selva di argomenti dialettici e luoghi retorici, sostiene la superiorità delle armi e della virtù bellica.
Di maggiore interesse il De pulchro et amore (Roma, A. Blado, 1529), opera ultimata nel Niphanus – il luogo di delizie del filosofo nei pressi di Napoli – e omaggio cortigiano a Giovanna d’Aragona, consorte del principe Ferrante. Grazie alla sua spiccata sensibilità nel cogliere, interpretandole alla luce della filosofia antica, le questioni di maggiore attualità, Nifo si inserisce nella discussione sull’idea del bello e sulla filosofia d’amore di eco ficiniana, richiamandosi in più luoghi al Libro de natura de amore dell’amicissimus noster Mario Equicola. Si distacca dal dominante orientamento neoplatonico, proponendo una tesi sensualista, basata anche su argomenti medici e fisiologici, in contrasto con la svalutazione del piacere carnale espressa da Ficino nel commento al Simposio. Il piacere è quindi inteso come godimento fisico e intellettuale della bellezza, sulla base della tesi aristotelica dell’inseparabilità tra corpo e anima.
La varietà dell’orizzonte filosofico di Nifo – nel 1531 pubblicò il De auguriis (Bologna, Er. G. Benedetti) e nel 1534 il De re aulica ad Phausinam libri duo (Napoli, G.A. da Caneto)volgarizzato nel 1560 come Il Cortegiano del Sessa (Venezia, G. Scoto) – emerge anche nella Prima pars opusculorum (Venezia, P. Nicolini, 1535), che riunisce il De vera vivendi libertate,il De divitiis,il De iis, qui apte possunt in solitudine vivere,il De sanctitate atque prophanitate e il De misericordia, redatti tra il 1531 e il 1533 e in cui ancora una volta concilia, sullo sfondo dell’Ethica aristotelica, tradizioni filosofiche diverse.
La raccolta ebbe vasta risonanza grazie a Naudé, che a Parigi nel 1645 la ripropose come Opuscula moralia et politica, aggiungendovi altre opere, tra cui il De pulchro et amore e il De regnandi peritia. Introduce i testi l’ampio De Augustino Nipho iudicium, nel quale Naudé, oltre a riportare le parole di Paolo Giovio sulle sconvenienti passioni di un «philosophus senex et podagricus», diffonde l’immagine – ripresa da Bayle – di un Nifo divulgatore di Averroè, modello dell’aristotelico empio e precursore del libertinismo erudito, vanificando così gli sforzi compiuti dal filosofo suessano per far dimenticare – in un ambiguo e fluttuante gioco di retrodatazioni e ritrattazioni – quei giovanili azzardi che avevano suscitato i latrati degli oppositori patavini.
Morì il 18 gennaio 1538 a Sessa, probabilmente a causa di un’angina polmonare («sua infermità fo schorentia et pentura che in fra termine de li septe giorni morio», annota Fuscolillo, 1876,p. 538).
Fu sepolto nel convento di S. Domenico e celebrato da un epitafio del Florimonte. Nel 1900 le spoglie furono traslate nella chiesa di S. Agostino.
Postumi videro la luce il De verissimis temporum signis commentariolus (Venezia, G. Scoto, 1540) e le Expositiones in omnes Aristotelis libros De historia animalium, de partibus animalium ac de generatione animalium (ibid.1546), esposizione di impianto tradizionale a uso universitario, ultimata a Salerno nel 1534. Nel 1551 apparvero i De ratione medendi libri quatuor (Napoli, M. Cancer),composti nel 1528, mentre inedito è il commentario agli Aphorismi di Ippocrate, la cui stesura fu avviata a Roma nel 1518 (Roma, Biblioteca Lancisiana, Mss., 158, cc. 55r-136v). La Biblioteca apostolica Vaticana conserva manocritto il volgarizzamento di Pierantonio Paltroni di una sua Paraphrasis in libros Ethicorum Aristotelis, relativa ai primi tre libri della Ethica nicomachea (Vat. lat. 5307). Che Nifo si fosse dedicato all’Aristotele morale trova conferma indiretta nei Ragionamenti di M. Agostino da Sessa sopra l’Etica d’Aristotele di Galeazzo Florimonte (Venezia 1554), monotono dialogo tra il maestro Nifo e il principe Ferrante Sanseverino in veste di allievo, in cui la filosofia di Nifo si presenta priva di tracce di averroismo o di altre tendenze, tradendo quindi la grande ricchezza e varietà del suo aristotelismo.
Fonti e Bibl.: Una prima bibliografia delle opere di Nifo è offerta da G. Naudé in calce al suo De A. N. iudicium, premesso agli Opuscula moralia et politica, Paris 1645; si veda ora l’accurata rassegna delle edizioni dei secc. XV-XVII di E. De Bellis, Bibliografia di A. N., Firenze 2005. Per la biografia si rimanda a P. Giovio, Le iscrittioni poste sotto le vere imagini de gli uomini famosi, Firenze 1552, pp. 176-178; E. Cannavale, Lo Studio di Napoli nel Rinascimento, Napoli 1895, nn. 1751, 1755, 2658; M. Sanuto, Diarii, Bologna 1969, V, col. 972; VII, col. 678; P. Bembo, Lettere,II, Bologna 1990, pp. 303 s.; cfr. inoltre G. Barri, De antiquitate et situ Calabriae, Romae 1571, p. 145; G. Marafioti, Croniche et antichità di Calabria, Padova 1601, cc. 123v-124r; L. Sacco, L’antichissima Sessa Pometia, Napoli 1640, pp. 89-93; C. De Lellis, Discorsi delle famiglie nobili del Regno di Napoli, II, Napoli 1663, pp. 321-333; N. Toppi, Biblioteca napoletana, I, Napoli 1678, pp. 4 s.; L. Nicodemo, Addizioni copiose alla Biblioteca napoletana, Napoli 1683, pp. 2-5; G.B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, IIII, 1, Napoli 1770, pp. 169-174; G. Caraffa, De Gymnasio Romano, Roma 1751, pp. 330 s.; J. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, Padova 1757, pp. 109-111; T. De Masi del Pezzo, Memorie istoriche degli Aurunci, Napoli 1761, pp. 105-115; B. Chioccarelli, De illustribus scriptoribus qui in civitate et Regno Neapolis… floruerunt, Napoli 1780, pp. 76-84; L.G. Marini, Degli archiatri pontifici,I, Roma 1784, p. 284-287; A. Fabroni, Historia Academiae Pisanae, I, Pisa 1791, pp. 313-319; L.G. Marini, Lettera a G. Muti Paparuzzi, Roma 1797, p. 120 s.; F.M. Renazzi, Storia dell’Università degli Studi di Roma, I, Roma 1803, pp. 45 s.; Spicilegium Romanum, VIII (1842), p. 553; B. Capasso, Le Cronache de li antiqui Re del Regno di Napoli di don G. Fuscolillo, in Arch. storico delle province napoletane, I (1876) p. 538; C. Minieri Riccio, Biografie degli Accademici Alfonsini detti poi Pontaniani, Napoli 1881, pp. 437-453; P. Tuozzi, A. N. e le sue opere, in Atti e mem. della R. Accademia di scienze, lettere, ed arti in Padova, n.s., XX (1903-04), pp. 63-86; N. Cortese, L’età spagnuola, in Storia dell’Università di Napoli, Napoli 1924, ad ind.; L. Cassese, A. N. a Salerno, in Rass. storica salernitana, XIX (1958), pp. 3-17; G. Monarca, A. N., Latina 1975; E. De Bellis, Una lettera a F. Ughelli da un discendente di A. N., in Boll. di storia della filosofia dell’Università di Lecce, XI (1993-95), pp. 277-282; Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab a. 1471 ad a. 1500, Padova 2001, ad nomen. La Biblioteca della Fondazione B. Croce a Napoli conserva la raccolta ms. Historia e documenti originali della famiglia Nifo (cfr. D. Marra, Conversazioni con B. Croce su alcuni libri della sua biblioteca, Milano 1952, pp. 95 s.). Sul pensiero di Nifo, oltre a rinviare a E. De Bellis, Bibliografia di A. N., Firenze 2005, pp. 253-285, ci si limita a L. Thorndike, A history of magic and experimental science, V, New York-London 1941, ad ind.; E. Garin, L’umanesimo italiano, Bari 1952, ad ind.; Id., Medioevo e Rinascimento, Bari 1954, ad ind.; R. Ridolfi, Vita di Machiavelli, Roma 1954, pp. 320 s; B. Nardi, Saggi sull’aristotelismo padovano, III, Firenze 1958, ad ind.; G. Di Napoli, L’immortalità dell’anima nel Rinascimento, Torino 1963, pp. 203-217, 309-314; A. Poppi, Introduzione all’aristotelismo padovano, Padova 1970, ad ind.; P. Zambelli, I problemi metodologici del necromante A. N, in Medioevo, I (1975), pp. 129-171; C. Dionisotti, Machiavellerie, Torino 1980, pp. 130-134; J. Jardine, Dialectic or dialectical rhetoric. A. N.’s criticism of L. Valla, in Rivista critica di storia della filosofia, XXXVI (1981), pp. 253-270; M.L. Pine, P. Pomponazzi, Padova 1986, ad ind.; C. Lohr, Latin Aristotle commentaries, II, Firenze, 1988, pp. 282-287; P. Larivaille, N., Machiavelli, principato civile, in Interpres, IX (1989), pp. 150-195; F. Tateo, Le armi e le lettere in una disputa fra A. N. e L. Prassicio, in Ethos e cultura,I, Padova 1991, pp. 233-263; A. Pattin, Un grand commentateur d’Aristote: A. N., in Hist. philosophiae Medii Aevi, a cura di B. Mojsisch et al., Amsterdam-Philadelphia 1991, pp. 787-803; G. Procacci, Machiavelli nella cultura europea dell’età moderna, Roma-Bari 1995, pp. 64-67; L. Spruit, Species intelligibilis, Leiden 1995, pp. 71-89; E. De Bellis, Il pensiero logico di A. N., Galatina 1997; S. Perfetti, Le «expositiones zoologiche» di A. N., in Schola Salernitana. Annali, III-IV (1998-99), pp. 95-123; E.P. Mahoney, Two Aristotelians of the Italian Renaissance. N. Vernia and A. N., Ashgate 2000; G. Paduli, Il primo insegnamento napoletano del N., in Filosofia, scienza, cultura, a cura di G. Bentivegna et al., Soveria Mannelli 2002, pp. 699-732; E. De Bellis, N. Vernia e A. N., Galatina 2003; L. Boulègue, Voluptas et beatitudo chez M. Ficin et A. N., in Hédonismes, a cura di L. Boulègue - C. Lévy, Lille 2007, pp. 233-253; E. Garin, Interpretazioni del Rinascimento, Roma 2009, ad ind.; J.M. García Valverde, N. versusPomponazzi, in P. Pomponazzi, a cura di M. Sgarbi, Firenze 2010, pp. 181-214; L. Boulègue, Le commentaire d’A. N. sur leDe generatione et corruptione, in Lire Aristote au Moyen Âge et à la Renaissance, a cura di J. Ducos et al., Paris 2011, pp. 258-269.