BARBARIGO, Agostino
Nacque il 22 genn. 1516 da Giovanni e da Elisabetta Dandolo. Sposò il 5 giugno 1543 Elena Pasqualigo e, in seconde nozze, il 30 apr. 1554, Lucia Pesaro. Percorsa la consueta carriera amministrativa, da savio agli Ordini a savio di Terraferma, nell, autunno del 1554 fu inviato ambasciatore ordinario in Francia, dove rimase sino al 1557.
Dei dispacci di tale ambasceria è rimasto solo un breve copialettere, che comprende anche avvisi del segretario Febo Capella. Accompagnato dal suo predecessore, Giovanni Capello, il B. presentò le lettere credenziali l'11 nov.1554, esprimendo al re di Francia il compiacimento della Repubblica per "tutti li prosperi et felici successi suoi in questa guerra, de' quali sentiva quel contento che haveria fatto delli propri suoi". Interessanti le notizie del dispaccio in data 22 nov. 1554, sui preparativi di un esercito francese da mandare in Italia, forse per soccorrere Siena, e sui tentativi del nunzio pontificio per mantenere la "pace d'Italia" dissuadendo l'impresa "in Toscana, che era paese sterile", difeso da Carlo V con l'appoggio del duca di Firenze (mentre altrove si sarebbe potuto combattere "in miglior loco et contra l'imperator solo").
Insieme con Andrea Biagio Badoer, nell'autunno del 1560, il B. andò ambasciatore straordinario a Filippo II per confermargli il proposito della Repubblica "di perpetuare con S. M.tà Catholica in quella vera, sincera et ottima amicitia che havea per così longo tempo conservata col serenissimo imperatore suo padre di gloriosa memoria". L'omaggio fu molto gradito da Filippo II, che dichiarò di voler corrispondere "non solamente d'amorevolezza, ma d'altro quando venisse l'occasione, dicendo che quella Signoria lo meritava".
Il B. esercitò poi diversi incarichi amministrativi: il 24 ag. 1561 fu nominato luogotenente nel Friuli, dove rimase dal 15 febbr. 1562 al 15 aprile dell'anno successivo; il 27 ag. 1564 fu eletto capitano per Padova e, insieme con il podestà Giovan Battista Contarini, mantenne quella carica dal 28 genn. 1565 all'aprile del 1566, distinguendosi per alcuni energici provvedimenti diretti ad eliminare il grave disordine amministrativo della città e del territorio padovano, come pure a restaurare le fortificazioni e l'addestramento dei soldati.
Il 12 ott. 1567 fu eletto luogotenente di Cipro, ma non poté assumere la carica poiché nel dicembre dello stesso anno venne designato commissario ai confini (per la seconda volta, dopo un precedente incarico nel 1564) e dovette attendere, insieme con Andrea Biagio Badoer e Sebastiano Venier, all'astiosa vertenza sui c:)nfini veneto-tirolesi.
Ebbe poi occasione di dimostrare le sue capacità di comandante e l'abilità marinara, tradizionale nella sua famiglia, quando, sullo scorcio del 1570, il Senato veneziano, volendo rimediare all'inefficienza dimostrata dalla flotta durante il primo anno della guerra di Cipro, scelse come provveditore generale da Mar appunto il B. ("con universale consenso"perché era stimato "huomo di singolare prudenza et integrità, alla cui virtù - attesta il Paruta - pareva che la Repubblica sicuramente appoggiar potesse le sue speranze"). Si preoccupò subito, nei primi mesi del 1571, di riordinare accuratamente l'armata veneziana e di ripristinarvi la disciplina, indebolita sotto il g3verno di Girolamo Zane; giunto a Corfù da Candia il neocletto capitano generale da Mar Sebastiano Venier, il B. gli trasmise il comando e lo stendardo della flotta (mentre a lui rimase la carica di provveditore generale, con autorità pari a quella del capitano generale in sua assenza). La consegna, in forma ufficiale, avvenne il 10 apr. 1571.
La saggezza del B. giovò a moderare le temerarie iniziative dell'irruente Venier: dopo aver sconsigliato l'infruttuosa impresa di Durazzo, si oppose all'avventato proposito di affrontare l'armata turca di fronte a Candia. Provvidenziale fu la sua presenza accanto a Sebastiano Venier, specialmente durante il concentramento delle forze alleate; la flotta veneziana era giunta a Messina il 23 luglio 1571 e si dovette rinforzarla con ciurma spagnola; in seguito ad un tumulto provocato dai marinai spagnoli il Venier non esitò a far impiccare tre di loro, suscitando tale sdegno in don Giovanni d'Austria che a stento il B. e Marcantonio Colonna riuscirono a evitare una contesa fra gli stessi alleati. Si decise che nei consigli di guerra il Venier sarebbe stato sostituito dal B., anzi i diplomatici spagnoli a Roma e a Venezia insistettero perché il Venier fosse allontanato, e Pio V fu indotto a sollecitare il conferimento del comando al B. come più "prudente, idoneo et amato".
Nei consigli di guerra il B. si mostrò del tutto solidale con il Venier nel sostenere la necessità, oltre che l'opportunità, di affrontare l'armata turca e riuscì a persuaderne don Giovanni. Nella battaglia di Lepanto, poi, il B. meritò di essere riconosciuto come il "prirno combattente"; egli venne esaltato perfino con l'epiteto di "l'Epaminonda dei moderni tempi".
In effetti il B., che comandava l'ala sinistra della flotta cristiana, dovette sostenere il primo e più grave urto, e insieme sventare l'abile manovra di Meliemet Shóràq (Scirocco) che minacciò l'aggiramento con quindici galee sottili mandate tra le secche e la foce dell'Aspropotamo e apparve improvvisamente lungo la costa; il B., accortosi del pericolo, non si perdette d'animo e provvide subito a chiudere il varco e, per animare i combattenti, si lanciò con la sua stessa galea nella mischia. Dovette resistere all'assalto simultaneo di sei galee turche: per due volte consecutive i nemici, che si erano già precipitati all'arrembaggio, furono respinti con gravi perdite; mentre poi, senza più proteggersi il viso per meglio impartire gli ordini ("minore offesa - rispose a chi lo esortava a ripararsi - sentirebbe d'esser ferito che di non essere allhora udito"), rianimava i soldati contro una galea turca che stava investendoli a poppa, fu colpito da una freccia nell'occhio sinistro. Continuò a combattere finché gli mancarono le forze e dovette cedere il comando a Federico Nani, che aveva già destinato a succedergli in caso di disgrazia.
Morì due giorni dopo la battaglia, il 9 ott. 1571.
Oltre che un ottimo comandante, Venezia perse col B. un uomo da tutti stimato che avrebbe potuto conciliare ancora gli animi troppo discordi degli alleati, come scrisse Marcantonio Colonna in una lettera dello stesso 9 ott. 1571: "Dolgorni bene, al paro del contento, della perdita fatta dalla Christianità tutta della gloriosa et honoratissima memoria del Barbarigo: homo singulare di ogni cosa, et che in un giorno valeva già quanto ogni altro soldato. Et certo la nostra Repubblica di Venetia ha perso il braccio diritto... Mai si vide homo, a mio giudicio, che valesse più di lui. Oh! gran perdita si è fatta; et è tale che mi fa temere che il Signore non voglia che sia cavato gran frutto da questa vittoria, come si poteva sperare hora et sempre, levandoci tanto bene et tanto homo...".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogadori di comun, Nascite di Patrizi, I, f 34 V; Ibid., Avogaria di comun, 145, E 278 V; ISO, ff. 220 V-222 r (matrimoni); Ibid., Senato, Dispacci Francia, filza I (copiario dei dispacci dall'ii ott. 1554 al 29 apr. 1.555); Ibid., Segretario alle voci, Elezioni Maggior Consiglio, IV, ff.115 v-116 r, 120 V-121 r; Ibid., Collegio, Relazioni dei rettori, buste 33 e 43 (relazione su Padova in data 10 maggio i566, pubblicata per nozze Braida-Plattis, Padova 1857); Ibid., Lettere dei provveditori da mar ai Capi del Consiglio dei Dieci, busta 300 (da Corfù nella primavera del 1571); Ibid., Senato, Dispacci Roma,filza 7, cc. ss r e 173 r; filza 8, e. 101 v; Ibid., Testamenti, Atti Ziliol Cesare,busta 1256, n. 53; F. Casoni, De arte ac ratione in criminum causis disserendi dialogus. Dialogi Personae illustres senatores Veneti: Hieronymus Molynus, M. Antonius Amulius eques et Augustinus Barbadicus, Brixiae 1561; L. Groto, Canzone nella morte del clar.mo Agostin Barbarigo, Venezia 1572; Nunziature di Venezia, VIII, a cura di A. Stella, Roma 1963, vedi Indice; N. Doglioni, Historia venetiana,Venezia 1598, pp. 864 S.; P. Paruta, Historia vinetiana,Venezia 1605, pp. 117, 209-212, 218; A. Morosini, Storia della Repubblica Veneziana, Ill,Venezia 1784, pp. 238-240; G. Chiabrera, Poesie liriche, I, Londra 1781, p. 298; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, VI, Venezia 1853, pp. 628, 834; A. Guglielmotti, M. A. Colonna alla battaglia di LePanto,Firenze 1862, pp. 209, 224-227; D. M. Valensise, Il vescovo di Nícastro poi papa Innocenzo IX e la Lega contro il Turco,Nicastro 1898, pp. 107, 171 s.; P. Molmenti, Sebastiano Veniero e la battaglia di Lepanto,Firenze iggg, pp. 66, 72, 82, 87, 90 s., 94, 98, 100, 1051 117-120, 155, 157, 161, 297, 310, 313; A. Medin, La Storia della Repubblica di Venezia nella poesia,Milano 1904, pp. 263, 269, 273 s., 527-533; L. Serrano, Correspondencía diplomática entre EsPafia y la S. Sede, IV, Madrid 1914, p. 632, n. 1; L. v. Pastor, Storia dei papi, VIII, Roma 1951, pp. 557-559, 566, 577; G. A. Quarti, Lepanto, Milano 1930, pp. 29, 45, 49, SI, 54-58, 154 s.; Id., La guerra contro il turco in Cipro e a Lepanto,Venezia 1935, pp. 364 s., 375. 379-381, 625-633, 686 s.; H. Kretschmayr, Geschichte von Venediff, III, Stuttgart 1934, pp. 58, 60, 63-68.