VISCONTI, Agnese
– Nacque probabilmente a Milano nel 1363, decima figlia di Bernabò (v. la voce in questo Dizionario), signore di Milano e di Beatrice (detta Regina) della Scala, figlia di Mastino II signore di Verona.
Beatrice aveva già dato a Bernabò diversi eredi maschi; secondo il notaio-cronista Pietro Azario (che redasse il Liber gestorum in Lombardia fra 1362 e 1364) il primogenito, Marco, nacque nel 1353 (tre anni dopo il matrimonio). Seguirono Ludovico (nato il 1355 o 1358), Carlo e Rodolfo (nato nel novembre 1362); il quinto maschio, Mastino, è attestato molto più tardi. Quanto alle femmine, Azario è poco loquace ma si può supporre che fossero già nate Verde, Taddea, Valentina e Caterina.
Non si sa nulla dell’infanzia di Agnese, se non che crebbe nel complesso residenziale visconteo, sito da lungo tempo (già prima del 1277, inizio della signoria di Ottone Visconti) nel quartiere di Porta Romana.
L’insieme di palazzi e case fortificate occupava un ampio spazio, non lontano dai centri del potere politico ed economico (la corte dell’arengo, il broletto nuovo, i mercati di S. Tecla, la Dogana). Ampliatosi al tempo della cosignoria di Luchino e Giovanni (1349) e esteso ormai una decina di ettari, il complesso edilizio fu ereditato poi da Galeazzo II (che risiedette volentieri a Pavia) e da Bernabò che lo ingrandì ancora. L’enorme (20.000 mq) palazzo, la sua corte, era collegato con passerelle agli altri edifici; contiguo era un secondo grande edificio, quello di Regina. I due sposi avevano infatti residenze separate e fu Regina a ottenere dai canonici di S. Giovanni un terreno per costruire la sua domus. Nell’insieme la contrata dei Visconti era ormai, nell’ultimo terzo del Trecento, un complesso palaziale che occupava circa un sesto di una delle più grandi città d’Europa.
Certamente Agnese, come i fratelli e le sorelle, visse per lo più nella domus di Regina; i figli di entrambi i sessi trascorrevano i primi anni con la madre, prima di iniziare da ragazzi i diversi percorsi educativi. In questa casa, ove si viveva con fasto, si affollava, con i cortigiani attenti alla volontà di Beatrice, gran copia di servitori, come provano le annotazioni dell’ambasciatore mantovano.
Agnese compare nelle fonti al momento del matrimonio. La sua unione con Francesco Gonzaga, erede della signoria di Mantova, fu decisa nel 1375. A fine giugno i due padri, per il tramite dei procuratori, si scambiarono la promessa di matrimonio; il 15 agosto (festa dell’Assunzione) si celebrarono le nozze, sempre a Milano, ove Francesco Gonzaga fu rappresentato, per la consegna dell’anello, da un procuratore. Fu deciso che Agnese partisse per Mantova solo cinque anni dopo (1380); perché i due sposi iniziassero a convivere, si attese infatti che il marito (nel 1375 aveva 9 anni) raggiungesse l’adolescenza. E in realtà la partenza effettiva avvenne solo agli inizi del 1381, perché la giovane donna si era ammalata di vaiolo.
La malattia e le cure prestate (novembre 1380) furono minutamente documentate, quasi ora per ora, dall’ambasciatore mantovano a Milano, che descrive i trattamenti posti in essere da una serie di medici (ventose e pozioni, brodo di pollo e pere cotte quando la febbre calava). È noto anche che Beatrice si spazientì, desiderosa com’era di sposare in pompa magna tre figliole (Caterina e Antonia, oltre che Agnese) nell’arco di meno di un mese e mezzo. Un bollettino medico del 17 novembre segnalava che la febbre era sparita, le croste cadevano e le più gravi potevano essere curate; la paziente era fuori pericolo, ma il suo viso restò butterato. La madre, che già non la considerava una gran bellezza, la trovò ancora meno graziosa e si orientò per una partenza entro l’inizio dell’avvento, salvo complicazioni. Fu Bernabò a dilazionare ancora, a dopo Natale, il viaggio, che in realtà iniziò solo il 27 gennaio 1381.
Si trattò di un corteo impressionante, per numero di uomini e di cavalli, ai quali il cancelliere di Ludovico II, Bertolino Capilupi, responsabile della complessa organizzazione del viaggio, dovette fornire un alloggiamento adeguato e un cibo abbondante ad ogni tappa.
Del cerimoniale di questo matrimonio si ha una conoscenza estremamente puntuale, senza eguali tra i matrimoni dell’epoca, grazie al memorandum Pro adventu inclite domine Agnetis steso da Capilupi (48 cc., con aggiunte le richieste avanzate dai Milanesi).
Febo Gonzaga, figlio naturale di Ludovico, era stato messo da suo padre a capo della truppa di quaranta uomini e centosessanta cavalli, più i carri, che doveva accompagnare la sposa da Milano a Mantova. Li aspettava a Milano una scorta di novantacinque persone, duecento cavalli e tutti i muli necessari al trasporto del corredo della sposa rinchiuso in sedici grandi bauli, con gli stemmi dei Visconti e dei Gonzaga. Tra i membri della famiglia Visconti era toccato a Rodolfo l’onore di accompagnare la giovane donna, da Milano a Lodi, e a Carlo quello di condurla fino a Cremona dove Ludovico avrebbe allora preso il testimone. Il testo di Capilupi ci consegna, per il tratto da Cremona a Mantova, la composizione precisa della compagnia di Ludovico: il suo fratellastro, Ambrogio, e suo cugino Antonio, figlio di Gian Galeazzo; due cancellieri, un cappellano, quattro maggiordomi e tre ciambellani, due chirurghi, sette pifferai e un trombettiere, parecchi cantori, un barbiere, due sarti, un cuoco a lui riservato, un altro per la sua scorta, un nano, dei falconieri, due maniscalchi, dei cocchieri e degli stallieri. Non c’è quindi da meravigliarsi che un corteo così vasto ed eteroclito abbia impiegato otto giorni per percorrere la distanza tra Milano e Mantova.
Quanto all’ingresso a Mantova, grazie ai documenti stilati da Capilupi e dai suoi collaboratori sarebbe possibile ricostruire nei minimi dettagli sia l’accoglienza sia i festeggiamenti dei tre giorni successivi. Particolare rilevanza – perché esplicitamente testimonia la volontà di Ludovico II di avvalersi di una nuova forma di legittimità e, più generalmente, di cambiare il volto del suo potere – hanno le modalità dell’entrée: è precisato infatti che Agnese avrebbe varcato le mura della città per poi procedere verso il palazzo signorile sotto un baldacchino portato dai Mantovani e montata su un cavallo, mentre tutti gli altri avrebbero camminato a piedi. Il baldacchino era qualcosa di molto recente nella ritualità occidentale e non veniva utilizzato che in una sola occasione, per manifestare la presenza del S. Sacramento, durante le processioni del Corpus Domini. Tutto lascia dunque pensare che i Gonzaga furono tra i primi, in Italia ma anche in tutto l’Occidente, ad appropriarsi di un simbolo religioso che tendeva a fare del principe il detentore di una maiestas di origine sovrannaturale, per non dire divina.
Dei dieci anni che separano l’arrivo a Mantova di Agnese dalla sua decapitazione avvenuta nella notte tra il 7 e l’8 febbraio 1391, non sappiamo niente, all’infuori della nascita di una figlia, Alda, e del poco che possiamo ricavare dagli atti del suo processo per adulterio.
Non sembra che Agnese abbia mai avuto la più piccola possibilità, e forse neanche il desiderio, di partecipare in un modo o nell’altro all’esercizio del potere. Anche quando Francesco partì, nel giugno del 1389, per un viaggio in Francia, che doveva tenerlo lontano da Mantova per vari mesi, Agnese non ebbe nessuna delega. Il che non la trattenne, su un punto ben preciso della politica del signore di Mantova, di sostenere delle posizioni diametralmente opposte alle sue e di farlo con grande virulenza, pur sapendo di esporsi in questo modo a violente reazioni, verbali e fisiche, da parte di Francesco. Si tratta del suo ostinato rifiuto di venir meno all’alleanza con Gian Galeazzo Visconti, nei confronti del quale Agnese nutriva un odio inestinguibile.
Non solo, infatti, Gian Galeazzo si era impadronito della totalità della signoria viscontea, ma aveva ordinato l’assassinio di Bernabò, il padre di Agnese, e privato di ogni eredità i suoi fratelli (1385). Cinque anni dopo i fatti, l’odio di Agnese per il cugino non aveva perso niente della sua violenza e anzi fu rinfocolato dalla congiuntura politica, dato che la coalizione antiviscontea fra 1389 e 1390 sembrava avere buone prospettive e in essa aveva un ruolo importante Carlo Visconti, tra i figli di Bernabò il più ostinato nell’opporsi a Gian Galeazzo. Con lui Agnese era in stretto contatto epistolare, e poteva anche fornire informazioni sulle mosse del marito. Ben si comprende dunque che attorno al 1390, in questo clima incandescente e teso, Francesco abbia pensato di sbarazzarsi della moglie.
Ciò non toglie tuttavia niente alla realtà dell’adulterio, ampiamente attestato dalle dichiarazioni dei testimoni e dalle confessioni di Agnese e del suo amante, un cavaliere denominato Antonio da Scandiano e che ricopriva la carica di cameriere al servizio di Francesco. La relazione tra Agnese e Scandiano durava già da parecchi mesi quando, il 27 gennaio 1391, fu rivelata al signore che fece subito arrestare i due amanti.
Testimonianze e confessioni raccolte dai giudici non lasciano nessun dubbio sull’intensità dei sentimenti che univano i due amanti; si trattava chiaramente della loro prima esperienza amorosa. Approfittavano di tutte le occasioni possibili, e non ne mancavano, per ritrovarsi nella camera di Agnese dove passavano ore e ore a parlare, a chiacchierare, a cantare, a dividere i pasti preparati per Agnese, a bere quel vino amabile che a lei piaceva tanto, a farsi innocenti scherzi nonché a baciarsi, ad accarezzarsi su tutto il corpo, ivi compreso laddove il piacere è più forte. Avrebbero tuttavia atteso a lungo prima di avere rapporti sessuali completi, certamente per non esporre Agnese al rischio di una gravidanza. I giudici del resto insistettero pesantemente sulle circostanze nelle quali si era consumato il loro primo (e forse unico) rapporto completo, nel quale videro evidentemente il maggior pericolo della relazione tra i due amanti e la forma più grave di violazione dell’onore e della maiestas del signore.
Agnese Visconti fu giustiziata, insieme con il suo amante nella notte tra il 7 e il 8 febbraio 1391, al termine di un processo svolto davanti a un tribunale speciale ma che si sforzò tuttavia di rispettare le regole della procedura penale allora in vigore a Mantova. Particolarmente notevole appare il fatto che, lungi da voler nascondere l’accaduto, Francesco ebbe cura di giustificare la sentenza del tribunale inviando «copia dei minuziosi atti processuali alle Cancellerie dei signori settentrionali a lui legati per alleanza o parentela» (Lazzarini, 2001, p. 752).
Alla luce dell’analoga sorte riservata ad altre due mogli di signori, anch’esse giustiziate, più o meno negli stessi anni, per adulterio (Beatrice di Tenda, moglie di Filippo Maria Visconti, e Parisina Malatesta, moglie di Niccolò III d’Este), è stato di recente proposto di vedere nella pubblicità che i mariti hanno voluto dare alle loro sventure coniugali il segno di una netta rivalutazione dello statuto della consorte del signore, da collegare con l’evoluzione in senso monarchico dei regimi signorili.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, serie U, b. 351, ccos 273r-284v (atti del processo del 1391); Pietro Azario, Liber gestorum in Lombardia, in RIS2, XXX, 4, a cura di F. Cognasso, Bologna 1925-1939, ad ind.; Ch. de Tourtier, Un mariage princier à la fin du XIVe siècle. Le dossier des noces d’Agnès Visconti et de François de Gonzague aux archives de Mantoue (1375-1381), in Bibliothèque de l’École des chartes, CXVI (1958), pp. 107-135.
G. Romano, Gian Galeazzo e gli eredi di Bernabò, in Archivio storico lombardo, XVIII (1891), pp. 6-57; M. Brunetti, Nuovi documenti viscontei tratti dall’Archivio di Stato di Venezia. Figli e nipoti di Bernabò Visconti, ibid., XXVI (1909), pp. 5-53; I. Lazzarini, Gonzaga, Francesco, in Dizionario biografico degli Italiani, LVII, Roma 2001, pp. 751-756; P. Grillo, Milano guelfa (1302-1310), Roma 2013, pp. 161-173; E. Rossetti, In «contrata de Vicecomitibus”. Il problema dei palazzi viscontei nel Trecento tra esercizio del potere e occupazione dello spazio urbano, in Modernamente antichi. Modelli, identità, tradizione nella Lombardia del Tre e Quattrocento, a cura di P.N. Pagliara - S. Romano, Roma 2014, pp. 11-43; É. Crouzet-Pavan - J.-Cl. Maire Vigueur, Décapitées. Trois femmes dans l’Italie de la Renaissance, Paris 2018 (trad. it. Torino 2019), ad indicem.