ZARRI, Adriana
– Nacque a San Lazzaro di Savena (Bologna) il 26 aprile 1919, da Aldo Zarri e da Elide Predieri, dopo i fratelli Arturo (1907) e Adriano (1911).
Nonostante la situazione economico-sociale assai critica a causa della Grande Guerra appena conclusa, il mulino e il podere che la famiglia possedeva permisero ai suoi membri di condurre una vita decorosa.
Zarri frequentò le locali scuole elementari, ricevette una tradizionale educazione religiosa, ma sviluppò un interiore sentimento di opposizione e rifiuto, risolto a undici anni dall’improvvisa «sensazione palpabile» di un «amore di Dio [...] senza limiti» (R. Baldini, Una donna nel deserto. Conversazione con Adriana Zarri, in Panorama, 20 luglio 1976, p. 125). Fu un evento che segnò la sua vita e determinò l’inizio di una precoce riflessione teologica a cui si accompagnò la scoperta di uno spiccato talento letterario.
Trasferita con la famiglia a Bologna nel giugno del 1933, fu iscritta a una scuola professionale e poi trasferita al liceo classico per le riconosciute doti intellettuali. Aderì alla Gioventù femminile di azione cattolica e ne divenne propagandista, coniugando la sua naturale indipendenza e fierezza all’intransigenza morale propria dell’associazione.
Nei primi anni Quaranta individuò nella Compagnia di San Paolo – fondata da don Giovanni Rossi, già collaboratore dell’arcivescovo di Milano Andrea Carlo Ferrari – l’istituzione in cui poteva esprimere quella sintesi tra azione e contemplazione che avvertiva come tratto essenziale della sua vocazione religiosa. Vi entrò nel 1942, ebbe l’opportunità di frequentare corsi di teologia per laici, ma la lasciò nel 1949 per una personale esigenza di libertà di ricerca e di espressione, inconciliabile con le regole e le responsabilità comuni di una istituzione ecclesiastica. Mantenne comunque rapporti di collaborazione con persone e attività culturali curate dalla Compagnia, come l’Istituto di propaganda libraria e la rivista Il Ragguaglio librario.
Dagli anni Cinquanta visse a Roma e, per un periodo, a Cisterna di Latina, dove tentò con il padre di avviare una piccola azienda agricola che anticipava le successive scelte di vita eremitica e contadina.
Dalla capitale stabilì contatti con personalità cattoliche in dialogo con la cultura contemporanea, come Mario Gozzini, Nando Fabro, i padri Ernesto Balducci e Nazareno Fabbretti, pubblicando saggi e articoli sulla rivista fiorentina L’Ultima e sul foglio genovese Il Gallo. Si delineavano in quegli scritti alcuni temi fondamentali della sua riflessione: il rifiuto dell’immagine consueta di un Dio onnipotente e impassibile; la critica a un cristianesimo disincarnato e autoritario; la ricerca della santità della vita nell’ordinarietà del quotidiano. Motivi affioranti anche nel suo primo romanzo, Giorni feriali (Milano 1955), che le guadagnò la vittoria del premio letterario Alessandro Manzoni, promosso dalla Unione editori cattolici italiani, e una certa notorietà di scrittrice.
Negli anni Sessanta condivise la diffusa speranza che il concilio Vaticano II favorisse un radicale rinnovamento della Chiesa sul piano biblico, teologico, liturgico, etico. La sua firma apparve su riviste di studio come Humanitas, edita da Morcelliana; Studium, di cultura cattolico democratica; Studi cattolici, vicina all’Opus Dei; Il Regno dei padri Dehoniani di Bologna; Persona, rivista di letteratura, arte e costume. Tra i settimanali collaborò a L’Osservatore della domenica, il domenicale de L’Osservatore romano sul quale pure scrisse; a Il nostro tempo della diocesi di Torino e a Orizzonti, rivista di attualità edita dalle Paoline. Più avanti la collaborazione si estese ai settimanali politici Politica e Settegiorni e al quindicinale Rocca della Pro civitate christiana, su cui continuò a tenere una rubrica fino alla morte.
Queste pubblicazioni di diverso orientamento e finalità offrirono a Zarri l’opportunità di sperimentare diversi generi letterari: dalla meditazione spirituale alla prosa lirica, dal resoconto di vicende ecclesiali al saggio teologico. Si chiarì anche la sua duplice vocazione di scrittrice e teologa, presto espressa in un nuovo romanzo, L’ora di notte (Torino 1960); in raccolte di saggi, La Chiesa nostra figlia (Vicenza 1962) e Teologia del probabile. Riflessioni sul postconcilio (Torino 1967); nell’opera teologica Impazienza di Adamo. Ontologia della sessualità (Torino 1964), poi tradotta in francese.
In questi scritti si fece paladina dell’audace riformismo atteso dalla stagione conciliare, caldeggiando il superamento di tradizionali assetti e linguaggi ecclesiastici, la revisione del ruolo subordinato dei laici al clero e dell’obbligo di questo al celibato, l’abbandono di strutture temporali e connubi della Chiesa con il potere politico.
In Impazienza di Adamo presentò una originale teologia trinitaria che proiettava la relazione stabilita nel pensiero cristiano tra Padre, Figlio, Spirito Santo nella dinamica maschile-femminile, riscattando la dimensione sessuale da consolidati rifiuti e la condizione della donna dalla secolare subalternità all’uomo.
Negli scritti successivi il movimento trinitario fu letto da lei come principio informatore dell’intera realtà creata: uomo, mondo, natura, istituzioni (e la Chiesa tra queste) erano ugualmente segnati dal dinamismo amoroso della Trinità divina, che si faceva «archetipo» di ogni «divenire», dell’eterno scambio di «donazione-ricezione», del «pluralismo» animatore del tutto. Una concezione che poi sempre sostenne contro staticità e conformismi indotti da una visione «monolitica» di Dio (cfr. Per una fondazione metafisica del femminile, in Teologia e progetto-uomo in Italia, Assisi 1980, pp. 283-292).
Questi scritti e la partecipazione a conferenze e convegni, prima voce femminile e laica che si affermò in campo teologico, le assicurarono l’amicizia di una figura prestigiosa come il teologo domenicano Marie-Dominique Chenu, con cui intrattenne un cospicuo carteggio, e l’invito nella nascente Associazione teologica italiana, del cui Consiglio di presidenza fece parte agl’inizi (1969-72).
Negli anni Settanta la sua vocazione religiosa si precisò in un’opzione di vita di tipo monastico ed eremitico che la condusse a stabilirsi prima nel castello dei vescovi di Albiano d’Ivrea (1970-75), poi nella più solitaria Cascina Molinasso (Fiorano Canavese, Torino). La dovette lasciare nel 1984, dopo aver subito drammatiche aggressioni, per l’eremo meno isolato di Ca’ Sassino (Crotte di Strambino, Torino).
Frutto della creatività di questo periodo furono la raccolta poetica Tu. Quasi preghiere (Torino 1971), tradotto in finlandese; le meditazioni biblico-sapienziali di È più facile che un cammello... (Torino 1975), tradotto in spagnolo; le riflessioni di Nostro Signore del deserto: teologia e antropologia della preghiera (Assisi 1978); Erba della mia erba: resoconto di vita (Assisi 1981), che rielaborava «lettere dall’eremo» già apparse sulla rivista Rocca negli anni 1977-78.
Da questi testi emerge la dimensione spirituale e mistica della scrittrice: l’amore di Dio cantato con le parole dei libri biblici, per primo il Cantico dei Cantici; il sentimento di «immersione» nella «comunione cosmica» vissuto nella cura di piante e animali che, insieme alla scrittura, le assicurava la sussistenza; l’attesa della resurrezione prefigurata dai «fiori turchini e rossi», dalle «ali di uccelli», dalle «foglie verdi» evocate in una delle sue più fortunate liriche, Epigrafe (Tu. Quasi preghiere, Torino 1971, pp. 99 s.).
La scelta di vita appartata non si tradusse in isolamento dalla storia dei suoi anni. Zarri partecipò intensamente al movimento del dissenso cattolico, intervenne nelle campagne per il mantenimento delle leggi del divorzio e dell’aborto in nome della laicità dello Stato, condivise temi e motivi della nascente teologia femminista. Posizioni che le costarono emarginazioni e ostracismi ma non le impedirono di coltivare amicizie anche tra rappresentanti della gerarchia ecclesiastica, come i vescovi Luigi Bettazzi (Ivrea), Salvatore Baldassarri (Ravenna), Raffaele Nogaro (Caserta). Considerazione e attenzione le furono riservate anche dall’arcivescovo di Torino Michele Pellegrino, dall’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, dal cardinale Achille Silvestrini. Tra i religiosi va ricordato almeno l’affetto del padre camaldolese Benedetto Calati e dei teologi Giannino Piana, Paolo Ricca, Piero Coda. Numerosi anche i laici di diverso ambito e cultura che le furono vicini: il suo editore Piero Gribaudi, il biblista Paolo De Benedetti, il giornalista Sergio Zavoli, oltre a protagonisti della scena politica e giudiziaria come Oscar Luigi Scalfaro, Giancarlo Caselli, Rossana Rossanda, Pietro Ingrao, con i quali ultimi partecipò a una significativa esperienza di confronti tra credenti e non credenti nell’eremo camaldolese di Monte Giove (Pesaro Urbino, 1987-2000).
Dialoghi e incontri furono organizzati anche nell’ultimo eremo di Zarri, Ca’ Sassino, un complesso di cascine che permetteva l’ospitalità di piccoli gruppi. Da qui continuò a distinguersi come figura di riferimento di aree di cattolici critici durante il lungo pontificato di Giovanni Paolo II, da lei giudicato conservatore e neo-temporalista. Negli anni Ottanta e Novanta firmò rubriche di taglio religioso e politico sul quotidiano Il Manifesto, sul rotocalco femminile Anna, sul settimanale politico Avvenimenti, e, con lo pseudonimo Myriam, sul mensile Messaggero di Sant’Antonio; partecipò a trasmissioni radiofoniche e televisive giungendo al grande pubblico con Samarcanda di Michele Santoro; offrì i frutti della sua maturità di narratrice nei volumi Dodici lune (Milano 1989); Quaestio 98. Nudi senza vergogna (Milano 1994), romanzi teologici in cui si impegnava a riscattare la sessualità dalle tradizionali censure cattoliche, riconoscendo nella comunione dei corpi un’anticipazione del Regno di Dio promesso dalla rivelazione biblica.
Contemplazione, scrittura, impegno si compenetrarono fino agli ultimissimi anni della sua vita, segnati da una malattia che ne limitò la libertà di movimento, ma non il ritmo monastico delle sue giornate, l’energia interiore e l’attività. Nel 2004 accettò la candidatura, come indipendente, alle elezioni europee nelle liste di Rifondazione comunista, non risultando eletta. Nel 2008 pubblicò il romanzo Vita e morte senza miracoli di Celestino VI (Reggio Emilia), in cui immaginava che fosse scelto come papa un semplice parroco di campagna. Alle sue riforme Adriana Zarri affidò l’ultimo messaggio di una Chiesa spogliata di ricchezze, potere, onori, ricondotta a quella parola del Vangelo a cui aveva inteso ispirare la sua vita.
Morì nel suo eremo di Ca’ Sassino il 18 novembre 2010.
Opere. Oltre agli scritti indicati, si segnalano il saggio La narrazione teologica, in Essere teologi oggi. Dieci storie, introduzione di L. Sartori, Casale Monferrato 1986, pp. 197-214, e i libri postumi: Un eremo non è un guscio di lumaca. Erba della mia erba e altri racconti di vita, Torino 2011; Quasi una preghiera, Torino 2012; Teologia del quotidiano, Torino 2012; Con quella luna negli occhi, Torino 2014.
Fonti e Bibl.: Carteggi, appunti, biblioteca della scrittrice sono custoditi presso l’Associazione amici di Adriana Zarri, costituita dopo la sua morte, che ne mantiene vivi lo spirito e la memoria. Altri documenti sono conservati in archivi pubblici e privati di figure e istituzioni con cui fu in relazione. I principali sono: Firenze, Istituto Gramsci toscano, Fondo Mario Gozzini; Archivio privato di Luigi Bettazzi; Archivio privato di Piero Gribaudi depositato presso la Fondazione Vera Nocentini (Torino); Arezzo, Archivio storico del monastero di Camaldoli; Roma, Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI, Archivio dell’Associazione teologica italiana.
Tra le sue interviste si ricordano in particolare quelle contenute in Rivolgimenti. Dialoghi di fine millennio, a cura di M. Guzzi, Genova 1990, pp. 78-96; M. Politi, Il ritorno di Dio. Viaggio tra i cattolici d’Italia, Milano 2004, pp. 162-182; Per un cristianesimo adulto, a cura di G. Pilastro, Trieste 2009, pp. 129-138. Pochi gli studi a lei dedicati, tra questi: R. Rosano, Cattolici e politica. Breve storia dell’impegno cattolico nella politica italiana attraverso il pensiero di A. Z., tesi di laurea, Università degli studi di Torino, a.a. 2015-16; G. D’Acunto, La gaia mistica. Il deserto fiorito di A. Z., in Studium, CXII (2016), 2, pp. 259-266; M. Maraviglia, A. Z. ed Elémire Zolla: una polemica sulla riforma liturgica, in Religioni e Società, XXXIV (2019), 94, pp. 51-58; Ead., Semplicemente una che vive. Vita e opere di A. Z., Bologna 2020; G. Piana, Una teologia del probabile, Testimonianze, 2020, n. 63, in corso di stampa.