GIAQUINTO, Adolfo
Nacque a Napoli il 25 ott. 1847 da Antonio e Amalia Cicciarella; quando aveva tre mesi, la famiglia si trasferì a Roma.
Dopo aver completato la prima istruzione, il padre lo indirizzò allo studio del pianoforte, con l'intento di farne un musicista. Ma la riottosità del ragazzo nell'assecondarne le direttive spinse il genitore a procurargli un impiego come apprendista nel ristorante Spilmann. A partire da questo momento la vita professionale del G. si svolse all'insegna dell'arte culinaria, di cui divenne affermato esponente presso i migliori ristoranti e alcune tra le più importanti famiglie patrizie di Roma (Sforza Cesarini, Doria, Lavaggi, Fiano, Taverna ecc.).
Il G. fu anche inventore del famoso estratto di carne Excelsior e autore di fortunati libri di ricette, che erano state precedentemente pubblicate su Il Messaggero. Tra questi si ricordano: La cucina di famiglia (Roma 1901); Cucina per malati e convalescenti (ibid. 1902); I dolci in famiglia (Bracciano 1914); Quaranta maniere di cucinare il coniglio (ibid. 1916); Raccolta completa della cucina di famiglia (ibid. 1917). Inoltre, a partire dal 1902 e fino alla sua morte, fu direttore e animatore della rivista gastronomica Il Messaggero della cucina.
Alla passione per la cucina il G. affiancò presto anche quella per la poesia in dialetto, tanto più che lo spostamento della capitale a Roma e, più in generale, la vita politica del neonato Stato italiano avevano fornito l'abbrivo per un forte sviluppo dell'attività pubblicistica e in particolare dei numerosi fogli a carattere satirico, anche in vernacolo. A partire dal 1870 le prove poetiche del G. furono pubblicate, spesso sotto pseudonimo (Taglia Cappotto, Er Bocio, Adorfo Già-Sesto, Adorfetto ecc.) su tutti i principali fogli, satirici e non, di Roma: da Il Rugantino a Il Tribuno, dal Ghetanaccio a Il Mattacchione, a La Tribuna, a Il Messaggero. Tra i segnali più vistosi della ripresa della produzione dialettale va, inoltre, annoverato anche il concorso di canzonette per la festa di S. Giovanni, al quale anche il G. partecipò più volte, con testi che riscossero un discreto successo come: La tarmatella (1891), Non m'aricordo più! (1893), Brutt'impicci (1894), Lo famo pe' sbafà (1896), La painetta ar concerto de piazza Colonna (1898), Al burooo (1903), a cui collaborarono per la parte musicale L.A. Luzzi e altri compositori di area romana.
Più significativa, comunque, l'attività del G. al fianco di Luigi (Giggi) Zanazzo, uno dei nomi più noti della poesia romanesca a partire dagli anni Ottanta, di cui fu amico e sodale. Con Zanazzo il G. fu animatore di alcune esperienze editoriali decisive per lo sviluppo della poesia in vernacolo.
In particolare, i due, dopo aver collaborato, a partire dal 1887, al Rugantino in dialetto romanesco dell'editore E. Perino - di cui Zanazzo era stato ideatore e direttore -, per dissensi redazionali decisero di fondare un loro foglio, il Rugantino de Roma in dialetto romanesco (24 numeri dal 9 aprile al 29 luglio 1897), che vide tra i suoi collaboratori N. Ilari, A. Chierici, il giovane Trilussa, F. Sabatini e l'illustratore O. Rodella. Ma a seguito di una causa per plagio, intentata dal Perino, il periodico venne chiuso. Zanazzo e il G. crearono allora un nuovo foglio, Casandrino in dialetto romanesco (20 numeri dall'8 agosto al 14 ott. 1897), in omaggio alla maschera romanesca che aveva reso celebre il teatro delle marionette di palazzo Fiano. Vi collaborarono, tra gli altri, G. Bernardi, A. Bonacci, G. Francino e A. Primanti. Anche questo periodico ebbe vita breve, perché i due fondatori decisero di risolvere il dissenso con il Perino attraverso una fusione delle due testate da cui nacque Rugantino e Casandrino (17 ott. 1897 - 11 ag. 1898), trasformatosi infine in Rugantino, il più longevo dei periodici satirici in romanesco. A partire dal 1902, poi, il G., oltre al già ricordato quindicinale Il Messaggero della cucina, diede vita, in collaborazione con E. Francati e G. Raponi, al Marforio - che prendeva nome da una famosa statua parlante di Roma - uscito, solo per il primo numero, con il titolo di Pasquino de Roma; una delle rubriche del foglio, "Piccione viaggiatore", accolse scritti di N. Martoglio, A. Sindici, Trilussa e di altri scrittori in vernacolo.
Ma la fase più intensa della produzione poetica del G. coincise con l'ultimo ventennio del secolo XIX, quando egli fu il cronista satirico dei principali eventi del mondo politico romano: i versi usciti su giornali o in volumi vennero poi in gran parte raccolti nel volume Poesie dialettali (Bracciano 1909).
La nota distintiva della poesia del G. non sta tanto nei temi che gli venivano offerti dalla realtà contemporanea, politica e sociale, né nell'atteggiamento arguto che mirava a concentrare il ritmo narrativo del sonetto in vista della battuta finale, quanto nell'invenzione di un particolare registro linguistico, cui egli diede il nome di "cispatano", del quale troviamo la prima espressione nel sonetto Er coco che parla all'avventore, scritto nell'ottobre 1876 ascoltando un cuoco di Arpino, F. Mastriani, che, con una curiosa parlantina, illustrava la lista delle vivande del suo ristorante. Analogamente al "dialetto laziale" utilizzato da A. Sindici nelle sue poesie di genere, il "cispatano" del G. non è il vernacolo puro della tradizione belliana ma un vivace impasto linguistico di napoletano, abruzzese, marchigiano e romanesco che ben rappresenta la variegata composizione della società romana postunitaria.
Per il resto, la poesia del G. è lontana dagli umori aggressivi e dalla tensione meditativa di un Belli e vive invece di un'ispirazione più leggera, in cui la satira perde la sua componente più corrosiva per stemperarsi in un innocuo qualunquismo ante litteram. I temi di costume e di attualità sono tutti presenti nel G.: il divorzio, le cronache teatrali e giudiziarie, gli scandali bancari, la vita parlamentare, la politica interna e quella internazionale, con particolare attenzione all'espansione coloniale italiana in Africa; e proprio a questo proposito il G. scrisse, nel settembre 1896, un ciclo di quattordici sonetti, Mattie Franciscandònie all'Àfreca, che è l'opera sua più riuscita. Vi si narrano le disavventure di un povero popolano arruolato nell'esercito inviato in Africa, il quale dopo varie sfortunate vicende torna a casa mutilato. In questo caso lo spirito antiretorico e la partecipazione umana prendono il posto della satira facile; i fatti della grande storia vengono proposti attraverso il punto di vista ingenuo e disarmato di un personaggio popolare, in un'ottica molto simile a quella adottata successivamente da Cesare Pascarella nella Scoperta dell'America.
Il G. scrisse anche in prosa (Il libro del buon umore. Raccolta di prose umoristiche e scene di pretura, Roma 1913; Birbonate allegre, Bracciano 1920), ma il crescente successo di Trilussa gli tolse spazio e ridusse progressivamente l'interesse per la sua produzione.
Morì a Roma il 28 giugno 1937.
Tra le opere del G. (tutte edite a Roma salvo diversa indicazione) ricordiamo ancora: Mosca Tomasso! Bojerie romanesche e ccispatane, in collaborazione con N. Ilari, 1890; La satira romanesca, 1894; La riapertura der baraccone, 1895; Li fanatichi pe' ll'acqua santa, 1896; Villeggiature, bagni e… micragna!, 1896; Puncicature, 1899; La verità e la bucìa, Bracciano 1907; Prefazione a G. Anselmi, Sminchionature, 1924; Roma de jeri, 1932; la riedizione di Lacucina di famiglia, 1984. In collaborazione con L. Stecchetti tradusse Chantecler di E. Rostand, Milano 1920.
Fonti e Bibl.: Necr., in Il Tevere, XIV (1937), 207, p. 4; Rugantino in dialetto romanesco, LI (1937), 6378, p. 1; A. C. [Chierici], La satira romanesca, in L'Opinione liberale, XLVII (1894), 109, p. 3; La satira romanesca, in Il Cicerone, XI (1894), 49, p. 1; I poeti romaneschi, Roma 1897, pp. 27-38; A. Chierici, Il quarto potere a Roma, Roma 1905, pp. 260 s., 289-291; Gidier [G. De Rossi], Il cuoco poeta, in La Tribuna, XXVII (1909), 92, pp. 3 s.; Felton [F. Tonetti], Un poeta romanesco e l'arte di mangiar bene, in Il Piccolo Giornale d'Italia, III (1914), 317, p. 7; E. Veo, I poeti romaneschi, Roma 1927, pp. 142 s.; Id., Roma popolaresca, Roma 1927, pp. 35, 59, 64, 66, 74, 108, 141 s.; G. De Rossi, Farfalle sotto l'arco di Tito, Roma 1941, pp. 204-206, 223-227; Poesia romanesca, a cura di M. Dell'Arco, Milano 1962, pp. 33 s., 46; O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dell'Ottocento, Roma 1963, I, pp. 201, 248, 432; II, pp. 575, 864, 866; Cento anni di poesia romanesca, a cura di F. Possenti, Roma 1966, I, pp. XV, XVII s., 221, 371; A. De Gubernatis, Dictionnaire international des écrivains du monde latin, sub voce.