ALBERTAZZI, Adolfo
Critico e scrittore, nacque a Bologna di famiglia romagnola l'8 sett. 1866. Iscrittosi nel 1886 alla facoltà di lettere dell'università di Bologna, fu allievo del Carducci negli anni in cui l'insegnamento di questo aveva raggiunto il massimo splendore. Laureatosi nel 1890, dopo aver insegnato per alcuni anni a Mantova, riuscì a ritornare a Bologna, mercé l'interessamento del Carducci stesso. Da questo momento in poi, e fino alla morte, avvenuta a Bologna il io maggio 1924, la vita dell'A. trascorse tranquilla, tutta dedicata all'insegnamento presso il R. Istituto Tecnico ed ai suoi interessi letterari.
L'A. si sforzò di piegare le sue doti naturali di fantasia e di improvvisazione artistica alle aride ricerche storiche e filo-logiche, che, com' è noto, erano le sole ammesse alla scuola del rigoroso maestro, sebbene, come più tardi egli stesso confessò, non ne traesse soddisfazione. Cominciò così come critico ed erudito, pubblicando Romanzieri e romanzi del Cinquecento e del Seicento, Bologna 189 I, dove prendeva in esame una quantità di autori ignoti o semignoti, nell'ambito di un genere della letteratura italiana tutt'altro che ricco di risultati in quei due secoli.
Altre opere di critica e di ricostruzione storica pubblicò più tardi, senza, però, riuscire mai a raggiungere un giusto equilibrio fra erudizione e giudizio estetico. Anzi, laddove il suo compito riguardava più propriamente la ricerca erudita, come nell'opera già citata e nel volume Il Romanzo (apparso nella collana dei generi letterari di Vallardi, Milano s.d.), che continuava gli studi della precedente, all'A. si poté rimproverare la mancanza di metodo, l'imprecisione filologica, la sciatteria dei particolari; laddove invece egli analizzava in maniera più completa l'opera o la vita di un artista, come nei volumetti sul Foscolo e sul Tasso (Torquato Tasso, discorso, Mantova 1895; Torquato Tasso, profilo, Modena 1911 e Roma 1926; Ugo Foscolo, I: La Vita; II: Le opere, Messina 1915-17), non solo non riusciva a giungere a un risultato completo ed esauriente, ma la vocazione romanzesca gli prendeva la mano e lo trascinava al di fuori del campo segnato. In altre opere, legate ancora alla ricerca erudita, come Parvenze e sembianze (Bologna 1892), La contessa d'Almond (Bologna 1894), Vecchie storie d'amore (Bologna 1895), cominciano invece a manifestarsi i segni dell'A. più genuino: in questi libri e libretti, di cui s'è detto giustamente che "non si potrebbero fissare ad alcun genere letterario, perché sono tutt insieme e storia ed arte ed erudizione"
(C. Angelini), l'A. cerca di rianimare con psicologia ed osservazione moderna antiche vicende da lui tratte dalle cronache bolognesi, dai fabliaux, dal Novellino, dai Gesta Romanorum.
Per questa via di lento approfondimento tematico e di paziente esercizio stilistico, l'A. andò sempre più avvicinandosi alle sorgenti più fresche della sua fantasia.
Tentò dapprima il romanzo, con L'Ave, (Bologna 1896 e 1915), rappresentando un conflitto di anime sui principi opposti del socialismo e del cattolicesimo, riuscito alquanto improbabile e vuoto, per il meccanico svolgimento dei fatti; nè raggiunse migliori risultati, se non da un punto di vista formale, negli altri due romanzi, Ora e sempre (Milano 1899) e In faccia al destino (Milano 1906 e 1921), pubblicato quest'ultimo dapprima in appendice al Resto del Carlino col titolo Sorellina.
L'A. non ha profondità di pensiero nè mezzi stilistici tali da permettergli l'impianto di un romanzo. La sua vena esile ha possibilità di efficace espressione solo nelle composizioni di taglio breve, nelle quali anche la sua sapienza stilistica ha modo di manifestarsi appieno: in una parola, la novella è il genere proprio di un siffatto temperamento, e lo stesso A. ne fu consapevole, almeno a partire da un certo momento della sua attività letteraria.
Abbondantissima fu la sua produzione novellistica: dalle Novelle umoristiche (Milano 1900, 1902, 1914), a Il zucchetto rosso e storie di altri colori (Milano 19 io), a Amore e amore (Bologna 1913), che sono tra le sue cose più belle e riuscite, continuando con Il diavolo nell'ampolla (Milano 1918), Facce allegre (Milano 1921), Top (Milano 1922), La rnerciaina del piccolo ponte. Tra gente varia. I: Gente di piccola storia; Il: Gente di storia grande (Milano 1924).
L'opera narrativa dell'A, fu variamente giudicata. Dall'analisi benevola e pur criticamente severa di L. Russo, il quale parlò giustamente di "narratore poco istintivo, ricco d'ingegno e di cultura e di nobilissime intenzioni, ma povero di temperamento", si passa al tono quasi 'di esaltazione di G. Papini e D. Giuliotti, i quali stimarono l'A. "uno dei pochi prodigi della vivente letteratura italiana -uno scolaro di Carducci che non fa il carducciano - uno scrittore che legge e sa leggere - un professore senza pedanteria (...) un'eccezione, un mostro, un eccentrico, un modello - un galantuomo"; alle parole di lode di R. Serra, che lo disse "uno scrittore nuovo e schietto, che usa pacatamente un'abilità tecnica rara", e al quale si possono attribuire "tre o quattro fra le più belle novelle della nostra letteratura". In complesso, si può dire che lo stile narrativo dell'A., ricalcato, soprattutto agli inizi, su antichi modelli e ricoperto come da una sottile patina di arcaismo, è limpido e schietto, ma povero; che la sua fantasia non ha inventato cose grandi, dis degnando i voli troppo alti e perigliosi; che la sua vena più sincera si dispiega, quando tratta con bonarietà ironica e con una punta di scetticismo soggetti comuni, spesso legati alla vita semplice della sua amatissima Romagna, quando mette in luce i piccoli difetti e imperfezioni della natura umana, o esamina, sempre sorridendo, il meccanismo psicologico dei grandi dolori e delle grandi passioni, rivelandone i moventi spesso meschini o insignificanti od umili.
Veri e propri capolavori di questa vena fantastica minore, un po' bonaria, un po' ironica e un po' tragica, sono le novelle Lo spino (dal Zucchetto rosso) e Le viole (da Amore e amore), nelle quali, non a caso, l'A. affronta argomenti analoghi: il gioco dei fanciulli, che si svolge inconsapevole e felice ai margini della morte, finché anche su di essi il dramma non getta l'ombra sua fredda imminente. Questi "racconti di lieve trama e che tendono all'idillio" (P. Pancrazi) danno forse l'immagine più appropriata della personalità pensosa e intimamente malinconica, anche se non profonda, dell'A. (è interessante rilevare che in alcune novelle, come in Morte buffona! dello Zucchetto rosso, l'A. sfiora temi e toni pirandelliani).
L'A., fondamentalmente, continua la dizione narrativa del secondo Ottocento, presentata soprattutto da E. De Marchi E. De Arnicis; anche se dichiarò di trarapeda aver appresa la semplicità dello stile da Manzoni e da Leopardi, e la materia della sua opera (l'umile vero) da Maupassant; anche se, nella sottile, eccellente analisi psicologica, che egli effettua sui suoi personaggi, e nel ritorno costante di certi temi, non sarebbe difficile scoprire l'influenza della letteratura analista, psicologista, bourgettiana e spiritualista, succeduta alla letteratura verista e positivista. Del resto, riallacciandosi al Manzoni attraverso i suoi epigoni, l'A. superava il carduccianesimo iniziale, e dava sfogo - come abbiamo detto - alle sue compresse qualità narrative; ma non per questo egli si liberò mai del tutto dall'influenza del maestro. L'A. restò per tutta la vita più carducciano di quanto non appaia a un esame superficiale, soprattutto per il suo attaccamento alla storia, visibile negli argomenti di molte novelle, anche delle più tarde (e almeno due raccolte furono integralmente dedicate ancora negli ultimi anni della sua attività a quel tipo di ricostruzione artistico-storico-erudita, con la quale aveva iniziato la sua produzione narrativa: Strane storie di storia vera, Milano 1920, e la seconda parte della Merciaina del piccolo ponte, Gente di storia grande, cit.); e carducciano fu anche nell'infaticabile minuziosa ricerca stilistica, fondata sullo studio di antichi testi, che non ha riscontro nell'opera di nessun altro narratore del tempo, e nell'amore verso la terra natia, verso le contrade felici della sua fanciullezza e dei suoi sogni.
Le prove di questa devozione verso il maestro si hanno anche in modo più diretto. L'A. diresse l'Edizione popolare illustrata, con note, delle Opere di G. Carducci, curando personalmente i Giambi ed Epodi (Bologna 1910), le Rime nuove (con la coll. di R. Serra, Bologna 19 io), le Storie e leggende (con la colì. di A. Cèsari, Bologna 1912), le Odi barbare (Bologna 1917), ecc.; e pubblicò un volume di ricordi e di aneddoti, Il Carducci in professione d'uomo (Lanciano 192 i), di valore soprattutto affettivo.
Altre opere edite e commentate dall'A. N. Tommaseo, Scritti di critica e di estetica, scelti da A. A., Napoli 1911; Novelle italiane di ogni secolo. Scelta e commento storico-critico di A. A., 2 voll., Bologna 1913; A. Tassoni, Le più belle pagine, scelte da A. A., con prefazione, Milano 1922; A. Oriani, Memorie inutili, Bologna 1927. Con A. Cèsari, l'A. compose una antologia per le scuole medie, Poesie e prose d'ogni secolo illustrate dai maggiori critici, Firenze 1913.
Dell'A. sono anche alcuni volumi di racconti per i ragazzi: Asini e compagnia (Firenze 1913); Cammina, cammina, cammina... (Milano 1920 e 1937); I racconti di Corcontento (Milano 1922).
L'A. collaborò a vari giornali e riviste, fra cui Il Fanfulla della Domenica, Varietas, La Romagna, Il Giornale d'Italia, L'Idea Nazionale, La Gazzetta del Popolo.
Per la conoscenza delle idee letterarie e politiche dell'A. cfr. la sua risposta all'inchiesta Il Nazionalismo giudicato da Letterati, Artisti, Scienziati, Uomini politici e giornalisti italiani, con pref. di A. Salucci, Genova 1913; A. A., Confessione di un novelliere romagnolo, ne La Romagna, XIV (1923), pp. 188-93; la risposta alla Inchiesta sulla Massoneria, con pref. di E. Bodrero, Milano 1925.
Bibl.: Recensione anonima a Romanzieri e romanzi del Cinquecento e del Seicento, in Gior. stor. d. letter. ital., XVIII (1891), pp. 415-417; G. Carducci, recensione alla Contessa d'Almond, in Nuova Antologia, CXXXIV (1894), pp. 561-63; G. De Frenzi, Candidati all'immortalità, Bologna 1904, pp. 197-213; R. R. (R. Renier), recensione a Il Romanzo, in Giorn. stor. d. letter. ital., XLVI (1905), pp. 235-38; B. C. (B. Croce), recensione a Il Romanzo, ne La Critica, IV (1906), pp. 123- 26; C. Angelini, A. A., ne La Romagna, XI (1914), pp. 93-120; G. Papini-D. Giuliotti, Dizionario dell' Orno Salvatico, Firenze 1923, p. 118; L. Russo, I Narratori, Roma 1923, pp. 139-40; G. Ravegnani, L'ultimo carducciano, A. A., in Galleria, I (1924), pp. 44-46; A. Neppi, A. A., in Nuova Antologia, LIX (1924), pp. 295-302; P. Pancrazi, A. A., ne Lo spettatore italiano, I (1924), pp. 189-99; In morte di A. A., ne La Romagna, XV (1924), fasc. 6, pp. 209-46 (numero dedicato alla sua morte, con articoli di A. Grilli, M. Vinciguerra, A. Sorbelli, G. D. Leoni, P. Pancrazi, A. Neppi, F. De Pisis, C. Valente, G. Pecci); C. Angelini, In morte di A. A., ibid, fasc. 7, pp. 261-63; M. Cavalli, Nella scuola e nella vita. Ricordi, ibid., pp. 264-67; B. Costa-L. Tonelli, A. A., Bologna 1925 (con abbondante bibl.); G. Carducci, Lettere, XIX, Bologna 1956, p. 161; R. Serra, Le Lettere, in Scritti, I, Firenze 1958, pp. 336-38.