VIOLA, Adino
(Dino). – Nacque il 22 aprile 1915 ad Aulla (Massa Carrara) da Pietro e da Maria Castelli.
Si laureò in ingegneria meccanica industriale all’Università di Roma. Durante la guerra fu ufficiale dell’Aeronautica presso Pontedera. Durante il collaudo di un bombardiere compì un atterraggio di fortuna dal quale uscì miracolosamente illeso.
La passione per la squadra di calcio della Roma lo portava, appena poteva, al campo Testaccio, che ospitava le partite dei giallorossi. Nel 1942, anno in cui la Roma vinse il campionato, Viola sposò Flora Macera, con la quale avrebbe generato Riccardo, Ettore e Federica. Dopo la guerra, a partire dal 1948, fondò con Filippo Lavizza e con altri soci un’azienda di macchinari di precisione per attrezzature militari a Castelfranco Veneto. Rilevò poi nel corso del tempo le quote degli altri soci, divenendo quindi l’unico proprietario.
La passione per il calcio e in particolare per la squadra della Roma lo assorbì progressivamente: entrò nel consiglio d’amministrazione della società nel 1963, sotto la presidenza di Franco Marini Dettina e poi di Franco Evangelisti. Divenne vicepresidente ai tempi della guida di Alvaro Marchini. Lasciò gli incarichi presso la società nel 1971, quando divenne presidente Gaetano Anzalone.
Tutte le testimonianze concordano nel ricordo di una crescente ambizione di guidare la società della Roma. Raggiunse l’obiettivo il 16 maggio 1979, grazie anche all’appoggio del socio Antonio Cacciavillani. Entrarono poi come consiglieri anche i figli Ettore e Riccardo. A quel punto Viola decise di dare in gestione la propria azienda per dedicarsi a tempo pieno alla presidenza della società calcistica. Si era assicurato, intanto, la parola di Nils Liedholm – l’allenatore che aveva appena vinto lo scudetto con il Milan – di passare alla Roma, e la società si arricchì di calciatori di valore: tornò Bruno Conti dal Genoa, arrivò Carlo Ancelotti dal Parma e giunsero nella capitale anche Ramon Turone e Romeo Benetti. La prima stagione sotto la presidenza di Viola si chiuse con i giallorossi al settimo posto in campionato, ma anche con la vittoria della Coppa Italia. Nell’anno successivo il rafforzamento della squadra apparve decisivo: grazie alla riapertura delle frontiere, arrivò il fuoriclasse brasiliano Paulo Roberto Falcao e nel campionato 1980-81 la Roma sfiorò lo scudetto. Nello scontro diretto con la Juventus a Torino, il 10 maggio 1981, il goal del romanista Turone, che avrebbe consentito alla squadra di superare la Juventus in classifica, venne annullato. Quell’episodio fu commentato con signorilità e ironia dal presidente Viola, anche se sarebbe stato per decenni oggetto di polemiche. Si consolò con una nuova vittoria in Coppa Italia, mentre l’appuntamento con lo scudetto fu rimandato al 1983. Grazie a quella vittoria la Roma disputò la Coppa dei campioni e arrivò fino in fondo, gareggiando in finale presso lo stadio Olimpico di Roma il 30 maggio 1984 contro il Liverpool. I giallorossi persero ai rigori dopo il risultato di 1-1 fissato nei tempi regolamentari e in quelli supplementari. Pochi giorni dopo la squadra disputò anche la finale di Coppa Italia vincendola. Alla conclusione della stagione, Liedholm lasciò la squadra, il capitano Agostino Di Bartolomei passò al Milan e si ruppe anche l’intesa con Falcao, finita in una causa legale che dette ragione a Viola.
Nei rapporti con gli organi federali e nella Lega, Viola non alimentò contrasti, pur non rinunciando all’ironia che caratterizzava il suo modo di comunicare. Ma fu anche determinato nel far valere la forza della società: carte bollate e ricorsi furono gli strumenti per assicurarsi il calciatore Toninho Cerezo fuori dai tempi prestabiliti e per tesserare l’allenatore svedese Sven Goran Eriksson.
Il 20 aprile 1986 la Roma perse un match point contro il Lecce, già retrocesso, allo stadio Olimpico. Mancavano due partite alla fine del campionato, con la Juventus in fase calante e la Roma che aveva compiuto una clamorosa rimonta ai suoi danni, arrivando a quella giornata appaiate nel punteggio. Nella città si stava già festeggiando, così come allo stadio Olimpico. Il Lecce vinse 3-2 e per la Roma sfumò uno scudetto che, nella città, si considerava scontato. Come dopo la sconfitta contro il Liverpool, la Roma vinse la Coppa Italia, il quarto successo, in quella competizione, conquistato sotto la gestione di Viola (1979-80, 1980-81, 1983-84, 1985-86).
Dopo quell’anno la Roma poté competere, in campionato, solamente per posizioni più basse: stavano emergendo il Milan di Arrigo Sacchi e il Napoli di Diego Armando Maradona che, nella seconda metà degli anni Ottanta, interruppero il duello Roma-Juventus.
Nel frattempo, la popolarità acquisita dopo lo scudetto, la stretta vicinanza a Evangelisti e l’amicizia con Giulio Andreotti gli aprirono le porte per una candidatura al Senato della Repubblica in occasione delle elezioni del 26 giugno 1983. Con ogni probabilità fu Andreotti a inserirlo nel V collegio di Roma, che si riteneva ‘sicuro’, spostando il filosofo Augusto Del Noce, già candidato in quella circoscrizione, al collegio di Ostia (dove non riuscì a essere eletto). Viola ottenne il seggio con 27.000 preferenze, una cifra al di sotto delle aspettative. Pur rimanendo un fedelissimo della corrente andreottiana della Democrazia cristiana, la dichiarazione di essere un indipendente ‘senza tessera’ generò qualche scetticismo in alcuni colleghi di partito. Fece parte delle commissioni permanenti sull’Istruzione pubblica e sull’Industria, commercio e turismo. L’esperienza politica durò una sola legislatura, dal 1983 al 1987. Si legò al capogruppo democristiano Nicola Mancino e fu assiduo nelle sedute. Con Mancino presentò, il 26 gennaio 1984, un disegno di legge contro ogni passaggio di denaro che potesse turbare l’equità delle manifestazioni sportive. La proposta non fu comunque discussa.
Nonostante una posizione così decisa a favore della trasparenza sportiva, Viola fu oggetto di un’accusa di corruzione. Nel 1986, infatti, venne ritenuto responsabile di una tentata corruzione, avvenuta due anni prima, nei confronti dell’arbitro Michel Vautrot, che aveva diretto la semifinale di Coppa dei campioni Roma-Dundee United. La Roma aveva perso la partita di andata per 2-0 e vinto quella di ritorno, a Roma, per 3-0. L’UEFA (Union of European Football Associations) lo riconobbe colpevole, comminandogli una squalifica di quattro anni, ma la squadra non venne esclusa dalle coppe europee. La Federazione italiana ritenne prescritta la questione. In sede penale Viola riuscì a far valere la ragione di una truffa subita da due intermediari, poi condannati, per avergli proposto la combine. La questione non fu mai del tutto chiarita: Viola fu riconosciuto come corruttore in alcune sedi e come truffato in altre. Peraltro, nel corso della partita di ritorno, la squadra giallorossa non sembrò aver bisogno di alcun ‘aiuto’ arbitrale.
Viola si definì avversario della Lazio, ma si augurò sempre che questa potesse giungere alla serie A, ritenendo uno stimolo calcistico e un successo per la città la presenza di due squadre romane nella massima divisione. Non tutta la tifoseria romanista prese bene quelle sue dichiarazioni, né il tentativo di acquisire per la società giocatori che militavano nella Lazio. Già nel 1981 aveva cercato di convincere in tal senso, ma senza riuscirci, Bruno Giordano; un simile tentativo andò invece in porto qualche anno più tardi, sfidando molti tifosi, con Lionello Manfredonia. Insieme all’ex laziale giunse a Roma anche Zbigniew Boniek, ex juventino. Senza alcun livore antilaziale, le frecciate più caustiche Viola le riservò piuttosto alla Juventus, ritenuta favorita dal ‘palazzo del calcio’. Fu così una scelta particolarmente significativa che chiamasse nel consiglio d’amministrazione della Roma Cesare Romiti, ex amministratore delegato della FIAT, azienda che aveva detenuto da sempre la guida della società torinese.
Nel 1990 Viola dovette fronteggiare i casi di doping che coinvolsero Angelo Peruzzi e Andrea Carnevale, squalificati poi per un anno. Fece in tempo a predire il futuro successo di Francesco Totti, che volle alla Roma dalla Lodigiani quando era ancora quattordicenne, mentre non riuscì a realizzare il grande disegno della costruzione di uno stadio di proprietà della società, un progetto covato fin dall’inizio della sua presidenza. Un progetto in tal senso, presentato già nel 1980, fu oggetto di ostruzione e in seguito ricevette un rifiuto definitivo dal CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), mentre si giunse alla decisione di ristrutturare lo stadio Olimpico per i campionati mondiali di calcio del 1990. Una breve ma intensa malattia lo colse alla fine di quell’anno.
Morì il 19 gennaio 1991.
Fonti e Bibl.: M. Fondato, La prigionia del sogno, Roma 2017. Articoli utili per una ricostruzione del personaggio: A. Stabile, Viola Dino: un sogno chiamato Roma, s.d., https://storiecalcio.altervista.org/blog/viola-dino-un-sogno-chiamato-roma.html (13 marzo 2020); F. Recanatesi, Professione presidente, in la Repubblica, 29 novembre 1985, https://riderca.repubblica. it/repubblica/archivio/repubblica/1985/11/29/professione-presidente.html (9 marzo 2020); F. Ceccarelli, Banchieri, cemento e nobiltà quando faceva tutto la Dc. Andreotti decideva i presidenti, fermò i capricci di Falcao per il contratto e lo portò dal papa, 31 gennaio 2011, https://www.repubblica.it/ sport/calcio/serie-a/roma/2011/01/31/news/ dc_ceccarelli-11871212/ (13 marzo 2020); Donna Flora racconta Dino Viola, 19 gennaio 2016, https://www. corrieredellosport.it/video/calcio/serie-a/roma/2016/01/19-7683576/donna_flora_racconta_dino_viola/ (14 marzo 2020); S. Greco, Quando Dino Viola gridò: «Forza Lazio», in Millenovecento, 6 settembre 2018, http:/www-sslaziofans.it/contenuto.php?idContenuto=32479 (11 marzo 2020); G. Di Marzio, 29 anni senza Dino Viola, l’uomo che ha cambiato la Roma, 19 gennaio 2020, https://gianlucadimarzio.com/it/roma-dino-viola-presidente-scomparsa-anniversario-storia-chi-era-personaggio (14 marzo 2020). Sull’attività parlamentare, https://documenti.camera.it/leg18/ resoconti/assemblea/html/sed0040/leg.18.sed0040.allegato_a.pdf.