ADELFI (dal gr. ἀδελϕός "fratello"
È il nome che presero, nei primi anni del secolo XIX, e segnatamente dopo che Napoleone ebbe addomesticata la massoneria francese e quella del regno d'Italia che ne dipendeva, i massoni di tendenze repubblicane. La comunanza dello scopo da raggiungere, abbattere cioè l'impero napoleonico, affratellò, in quelle logge dissidenti, come nella nascente Carboneria, giacobini e comunisti da un lato, fautori dei Borboni dall'altro. Il segreto lavorìo degli Adelfi affiorò nel 1812 coll'effimero colpo di mano del generale Malet, tentato mentre Napoleone si trovava in Russia. Dopo la fucilazione del Malet, sembra che la direzione delle congiure ordite dagli Adelfi sia passata nelle mani di Filippo Buonarroti, superstite della setta egualitaria fondata dal Babeuf. Italiano di origine, il Buonarroti ritenne di poter adoperare gli Adelfi per minare la supremazia austriaca nella penisola. Vi è ragione di credere che, accettando come programma minimo la costituzione spagnola del 1812, levata sugli scudi dai Carbonari, il Buonarroti riescisse nei primi anni della Restaurazione a porre a capo delle vendite "carboniche", e fors'anche di altre società segrete minori, uomini scelti per la loro fedeltà all'Adelfia, primo fra tutti il conte Federico Confalonieri. Fu questa la cosiddetta Federazione, compiuta dalla sede centrale dell'Adelfia, organizzata in Ginevra col nome di "gran firmamento", che sperò nel 1821 di poter attuare i suoi piani. Sventati questi dal governo austriaco, il Buonarroti fece un ultimo infelice tentativo di raccogliere le fila disperse dei federati lombardi, inviando a Milano il giovane Andryane che fu subito arrestato. La propaganda mazziniana rastrellò più tardi i superstiti Adelfi italiani, sfidando le ire del Buonarroti.
Bibl.: A. Bersano, Adelfi, Federati e Carbonari, Torino 1910.