Smith, Adam
Filosofo ed economista scozzese (Kirkcaldy 1723 - Edimburgo 1790). Ritenuto il primo degli economisti classici, si formò inizialmente all’Università di Glasgow, dove entrò nel 1737 e seguì con particolare interesse i corsi di filosofia morale di F. Hutcheson. Dal 1748 al 1751 tenne conferenze pubbliche a Edimburgo sulla retorica e sulla letteratura inglese; nel 1751 divenne professore all’Università di Glasgow, prima di logica, poi di filosofia morale. Dal 1764, S., lasciato l’insegnamento universitario, accompagnò come precettore il duca di Buccleuch in un lungo viaggio in Europa, dove entrò in contatto con i maggiori intellettuali del tempo (Voltaire, Turgot, Quesnay ecc.). Nel 1778 fu nominato commissario delle dogane di Scozia, incarico che gli richiese il trasferimento a Edimburgo, dove stabilì la sua residenza.
In Theory of moral sentiments (1759), S. analizza le motivazioni dell’agire umano sulla base della sympathy, intesa come dato antropologico fondamentale, consistente nella capacità di condividere i sentimenti altrui. Essa permetterebbe al singolo di valutare le proprie azioni attraverso gli esiti che queste determinano sugli altri, oltre che su sé stesso. Al riguardo, S. formula il concetto di ‘spettatore imparziale’, idealtipo il cui giudizio finisce per orientare in maniera determinante il comportamento individuale. La qualificazione dell’interesse privato e di quello collettivo si tradurrebbe in vera e propria antinomia qualora l’interesse privato fosse interpretato in maniera restrittiva come tendenza all’egoismo (selfishness) anziché interesse vero e proprio, tale da assicurare adeguata attenzione ai propri, ma riconoscere al tempo stesso legittimità agli interessi altrui.
In An inquiry into the nature and causes of the wealth of nations (1776), opera in 5 libri, S. affronta, fra le altre, la questione dello sviluppo economico e della determinazione del valore di scambio (➔ valore p). Egli ritiene che lo sviluppo economico di un Paese, cioè in sostanza il livello della produzione domestica, dipenda dalla produttività del lavoro, la quale deriva a sua volta dalla divisione del lavoro (da intendersi in senso sociale e in accezione tecnica). Attraverso quest’ultima (➔ lavoro, divisione del), infatti, è possibile, innanzitutto ottenere un perfezionamento dell’abilità e un incremento della concentrazione degli addetti, nonché risparmiare il tempo richiesto per il passaggio da una mansione all’altra. Quanto permette l’instaurarsi del processo di divisione del lavoro a livello aggregato è tuttavia l’accumulazione di capitale, nel momento in cui questo si concretizza sia in investimento in nuovi immobilizzi produttivi, sia in un incremento del numero di lavoratori impiegati. Sul piano della teoria del valore, S. suggerisce una concezione basata sul lavoro contenuto in una società non evoluta, applicabile in un’altra in cui sia avvenuta la separazione tra fattori produttivi, nella forma (in tal caso equivalente) di lavoro comandato.
Tra le questioni storiografiche che interessarono il pensiero economico e l’opera di S., merita di essere ricordato il cosiddetto Das Adam Smith Problem, controversia in particolare animata da economisti tedeschi, quali B. Hildebrand, K.G.A. Knies e L.J. Brentano (poi ripresa in diverse forme) e legata a una supposta inconciliabilità di fondo fra le tesi sostenute nelle due opere fondamentali del pensatore scozzese.