GRASSI, Achille
Nacque a Bologna il 16 febbr. 1465, figlio di Baldassare e di Orsina Bocchi. Apparteneva a una famiglia della nobiltà bolognese dedita prevalentemente alle professioni giuridiche. Il padre era ascritto alla matricola dei notai, e lo zio Gasparo fu podestà in diverse città dello Stato della Chiesa.
Dopo essersi addottorato in utroque iure, il G. insegnò per alcuni anni nello Studio bolognese e in seguito, intorno al 1488, si trasferì a Roma per iniziare la sua carriera in Curia sotto la protezione dello zio Antonio (morto nel 1491), ricco prelato che ricoprì, tra l'altro, le cariche di uditore di rota e vescovo di Tivoli.
Nel 1491 successe allo zio nella carica di uditore di rota, che esercitò per diversi anni, giungendo al decanato. Inoltre, pur risiedendo a Roma, nel 1495 subentrò a Troilo Malvezzi in un seggio di canonico della cattedrale di Bologna, carica che il G. rassegnò a Francesco Alidosi tre anni dopo, salvo poi assumerla nuovamente tra luglio e novembre 1500 e tra agosto 1510 e aprile 1511. All'inizio del Cinquecento, i Grassi e le famiglie a essi alleate riuscirono a ottenere una parte consistente dei benefici ecclesiastici bolognesi, segno di una rapida ascesa politica che traeva alimento dalla protezione papale e da accurate strategie familiari.
Negli ultimi anni del Quattrocento il G. cominciò una sorta di tirocinio diplomatico che lo doveva condurre ad assumere un ruolo di rilievo nella politica papale. Nel 1496-97 fece parte del seguito del cardinale Bernardino López de Carvajal, legato a latere presso l'imperatore Massimiliano I, che si trovava in Italia con le sue truppe. Compiuta la missione, tornò a Roma, dove fu raggiunto dal fratello Paride, al quale il G. fece ottenere un canonicato nella basilica di S. Lorenzo in Damaso. Nel 1503 l'elezione al papato di Giulio II che, come vescovo di Bologna, aveva intrattenuto cordiali rapporti con la famiglia Grassi, diede nuovo impulso alla carriera del G. e di suo fratello Paride, scelto nel 1504 come cerimoniere pontificio. Nominato cappellano e familiare del papa, il G. consolidò rapidamente il suo patrimonio di benefici ecclesiastici, quasi tutti nella diocesi bolognese. Nel 1504 era a Urbino e partecipò alla cerimonia nel corso della quale il duca Guidubaldo da Montefeltro adottò come figlio e successore Francesco Maria Della Rovere.
Nel 1506 il G. fu nominato vescovo di Città di Castello e commissario per le cause di Spoleto.
La nomina vescovile non indusse il G. ad assumere compiti pastorali. Egli rimase sempre un tipico prelato della Curia romana di inizio Cinquecento, pienamente versato nell'attività politica e privo di autentiche preoccupazioni religiose. Anche in un ambiente non certo ricco di scrupoli come la corte di Giulio II, la sua sfrenata sensualità suscitò qualche scandalo. Oltre a mantenere diverse cortigiane e amanti occasionali, il G. ebbe una concubina stabile, "madonna Adriana" bolognese, e legittimò quattro figli: Girolamo, che fu membro del Senato bolognese, Baldassare (morto nel 1539), che nel 1515 successe al padre sulla cattedra vescovile di Città di Castello, Corrado, abate commendatario e cameriere segreto, e Orsina, che sposò Antonio Della Volta.
Dal 1506 il G. fu intensamente coinvolto nella febbrile attività politico-diplomatica messa in opera da Giulio II allo scopo di restaurare l'autorità papale nello Stato della Chiesa e in Italia, impegnandosi in particolare nelle trattative che seguirono la fine della signoria bentivogliesca.
Nel novembre 1506 il G. accompagnò il papa che si recava a Bologna per prendere possesso della città e celebrare la cacciata dei Bentivoglio. In quell'occasione un fratello del G. fu insignito del neoistituito titolo di senatore, in riconoscimento della fedeltà della famiglia al Papato. Qualche mese dopo il G. si recò a Savona, al seguito del nunzio presso Luigi XII di Francia, Antoniotto Pallavicini, che era stato incaricato di richiedere al sovrano un trattamento indulgente per la città di Genova, ribellatasi ai Francesi, e una presa di distanza dai Bentivoglio, che dall'esilio cospiravano per rientrare a Bologna. L'esperienza maturata in quell'occasione indusse il pontefice ad assegnare al G. una nuova missione presso la corte francese (ottobre 1507). Anche in questo caso si trattava di indurre Luigi XII a ritirare il suo appoggio ai Bentivoglio, che continuavano a rendere instabile la situazione bolognese.
La missione si concluse senza risultati decisivi, nonostante l'abilità diplomatica del G. e i ricchi doni inviati dal pontefice al re di Francia. In effetti, di là dalle dichiarazioni di principio, era evidente che gli interessi del Papato e della Francia tendevano a divergere, poiché Luigi XII non intendeva privarsi della possibilità di controllare l'area emiliano-romagnola, anche a costo di ostacolare la ricostruzione dello Stato della Chiesa perseguita dal papa.
L'attività politica del G. riprese intensamente nel 1509-10, quando Giulio II riuscì a collegarsi alla grande alleanza antiveneziana della Lega di Cambrai, ponendo così le premesse per una riconquista di Ravenna e di altre città romagnole. Nel maggio 1509 il G. era a Berna, dove negoziò l'arruolamento di alcune migliaia di mercenari svizzeri e partecipò al processo inquisitoriale e all'esecuzione di quattro domenicani colpevoli di negare l'Immacolata Concezione, di eresia e di sortilegi. Nel 1510 si trovava invece in Germania, alla Dieta di Augusta, allo scopo di patrocinare l'alleanza antiveneziana, ed ebbe un duro scontro con l'imperatore Massimiliano I, che lo espulse dalla città. Dalla Germania il G. si spostò in Boemia, in Ungheria e in Polonia con l'incarico di ottenere l'adesione del re d'Ungheria Ladislao II e del re di Polonia Sigismondo I a una grande alleanza antiturca. La missione non sciolse le esitazioni dei due sovrani, che si dichiararono disposti a prendere un'iniziativa militare solo se sostenuti dal pontefice e dagli altri sovrani europei.
Tornato in Italia, il G. si recò in Romagna, presso il papa, che il 10 marzo 1511 lo nominò cardinale assegnandogli il titolo di S. Sisto, cambiato nel 1517 con quello di S. Maria in Trastevere.
La nomina cardinalizia del G. rappresentò una svolta importante nelle relazioni tra il Papato e il ceto dirigente bolognese, che da parecchi decenni non aveva annoverato cardinali tra i suoi membri, e fu lungamente festeggiata a Bologna. La situazione politica bolognese stava diventando estremamente precaria a causa della guerra tra il papa e la Francia e delle rivalità che dividevano i due principali collaboratori di Giulio II, il duca d'Urbino Francesco Maria Della Rovere, nipote del pontefice, e il cardinale Francesco Alidosi, amministratore della diocesi di Bologna. Il 23 maggio 1511 le truppe francesi entrarono a Bologna e restaurarono la signoria dei Bentivoglio, il 24 maggio Francesco Maria Della Rovere uccise a Ravenna l'Alidosi.
Con la guerra in corso la nomina del successore dell'Alidosi nel seggio vescovile di Bologna rappresentò un fondamentale terreno di scontro politico tra i Bentivoglio e il Papato. Mentre la fazione bentivogliesca cercò di imporre l'elezione del protonotario apostolico Antongaleazzo, figlio di Giovanni (II) Bentivoglio, Giulio II nominò il G. vescovo di Bologna (30 maggio 1511). Per un breve periodo Bologna ebbe due vescovi, ma nel giro di poche settimane la situazione si sbloccò rapidamente a favore del Grassi. Le basi su cui poggiava la restaurata signoria dei Bentivoglio, infatti, rimanevano deboli ed essi dovettero piegarsi ad accettare l'elezione del G., che prese possesso del vescovato tramite il fratello Agamennone.
In attesa di una definitiva risoluzione della situazione bolognese, il G. rimase presso il pontefice, che lo scelse insieme con altri cinque cardinali come giudice nel processo per omicidio contro Francesco Maria Della Rovere. Com'era prevedibile, il processo finì per rivelarsi una farsa, dato il viscerale affetto che legava il papa al nipote. Lo stesso G. ottenne, per speciale concessione papale, di essere citato tra i testimoni a discarico.
Il 4 ott. 1511 Giulio II strinse la Lega santa con la Spagna, Venezia e l'Inghilterra e passò risolutamente all'offensiva contro le truppe francesi e bentivogliesche. Nell'estate 1512 Bologna ritornò sotto il dominio pontificio e il G. poté entrare solennemente in città il 25 luglio 1512. Nei mesi successivi, egli si dedicò a riorganizzare le strutture diocesane, che avevano molto sofferto a causa degli sconvolgimenti politici. L'impegno del G. non era tanto il frutto di un'autentica preoccupazione pastorale, ma piuttosto della volontà di risistemare la rete beneficiale, premiando gli esponenti del clero maggiormente fedeli alla Sede apostolica e vicini ai Grassi. Del resto, dopo pochi mesi il G. fece ritorno alla corte di Roma, lasciando a Bologna un coadiutore, Rinaldo Graziani da Cotignola, arcivescovo di Ragusa. Anche da Roma, peraltro, il G. non mancò di esercitare la sua influenza sulla situazione politica bolognese, come aveva fatto già nel corso del 1512, quando sostenne discretamente l'azione di un'ambasceria bolognese di cui faceva parte anche suo fratello Agamennone, che si recò a Roma per prestare omaggio al papa e chiedere un perdono generale per i seguaci dei Bentivoglio.
A Roma il G. riprese le sue consuete attività politico-diplomatiche. Nel corso del 1512 partecipò saltuariamente al concilio Lateranense, trascurando i suoi aspetti più schiettamente religiosi e interessandosi piuttosto alla delicata questione politica della riammissione dei cardinali scismatici che avevano dato vita al concilio pisano. Nello stesso anno, il G. fu nominato protettore del Regno di Polonia, una carica, mantenuta fino al 1523, che testimoniava dei forti legami stretti dal G. con gli Stati dell'Europa orientale nel corso delle sue missioni. Nella sua veste di cardinale protettore il G. si trovò spesso ad agire come terminale per le richieste del re Sigismondo I, che lo ricompensò facendogli ottenere un vescovato in Prussia (1521).
Nel 1513 il G. partecipò al conclave che seguì la morte di Giulio II, senza assumere un ruolo di rilievo. La morte del suo antico protettore e l'elezione di un pontefice che perseguiva una politica per molti versi opposta non indebolirono la posizione del Grassi. Anche durante il pontificato di Leone X Medici, infatti, egli godette di un considerevole favore.
A parte una breve missione diplomatica in Inghilterra, in questa fase il G. rimase prevalentemente a corte, svolgendo i compiti più vari, da quello di giudice commissario in delicati processi che vedevano implicati prelati di Curia a quello di consigliere diplomatico.
Particolarmente importante fu l'azione del G. nell'ambito dei rapporti tra Bologna e il Papato. Sin dall'inizio del suo pontificato Leone X ribaltò la politica di compressione dell'autonomia cittadina perseguita da Giulio II e cercò di restituire un ruolo politico importante anche alle famiglie bolognesi che negli anni precedenti si erano maggiormente contraddistinte per il filofrancesismo e l'opposizione al Papato. Dopo aver adottato alcuni provvedimenti di clemenza nei confronti dei Bentivoglio, nel 1513 il papa inviò il G. a Bologna, munendolo di ampie facoltà e conferendogli il compito di promuovere la pacificazione cittadina, ma la missione non ebbe, sembra, esito positivo. Nello stesso anno il papa riformò l'organizzazione del Senato, il massimo organo del governo cittadino, consentendo anche ai Bentivoglio di occuparne un seggio.
Nel 1515 il G. tornò a Bologna al seguito di Leone X, che vi si recava per incontrarvi il re francese Francesco I. L'incontro sembrava preludere a una definitiva riabilitazione dei Bentivoglio, famiglia tradizionalmente amica dei Medici, ma l'azione del papa finì per essere bloccata dall'opposizione di frazioni cospicue del ceto dirigente bolognese, non ancora disposte a subire una pacificazione generale dopo anni di lotte di fazione.
Non è del tutto chiaro quale ruolo giocò il G. nell'elaborazione di questi nuovi orientamenti della politica pontificia. Certamente in questa fase egli appare schierato sul fronte filobentivogliesco - "amico occulto dei Bentivogli" lo definisce il Fantuzzi (p. 235) - ma, d'altro canto, è indubbio che le iniziative di rappacificazione con i Bentivoglio partirono direttamente dal papa, al di là delle influenze che poterono giocare i suoi consiglieri.
Il coinvolgimento nei piani di pacificazione elaborati da Leone X non fu privo di conseguenze per il G., che finì per alienarsi le simpatie di una parte consistente del ceto dirigente bolognese. Dopo il 1515 egli decise perciò di evitare ulteriori interventi nella vita politica della sua diocesi e cercò piuttosto di allargare la sua influenza sulle strutture ecclesiastiche locali, continuando ad accumulare benefici, come la commenda di S. Maria della Strada e la collegiata di S. Maria Maggiore a Bologna e veri e propri feudi, come la contea di Labante, Affrico e Petralcore, che dopo la sua morte fu confermata alla famiglia Grassi.
Anche a Roma non mancarono al G. riconoscimenti. Nell'avvicendarsi talora vorticoso di cariche che caratterizza il pontificato di Leone X, al G. toccò il titolo prestigioso, ma sostanzialmente onorifico, di tesoriere del S. Collegio, che tenne nel corso nel 1517. Lo stesso anno il G. cedette la Chiesa di Bologna al cardinale Giulio de' Medici, pur riservandosene l'amministrazione e parte delle rendite, ma la ebbe nuovamente dopo alcuni mesi. Sempre nel 1517 il G. si ritrovò implicato in una delicata vicenda politica, il processo contro il cardinale Alfonso Petrucci, che aveva capeggiato una congiura di cardinali per attentare alla vita di Leone X.
Secondo l'ambasciatore ferrarese il G. avrebbe in qualche modo partecipato all'elaborazione della congiura, ma la notizia non sembra avere fondamento, e contrasta con la costante benevolenza del papa nei confronti del G., testimoniata da molti osservatori coevi.
Dal 1517-18 la presenza del G. nella politica pontificia cominciò tuttavia a diradarsi. Pur non partecipando direttamente all'elaborazione della politica internazionale di Leone X, nel 1518 il G. fu chiamato a far parte di una congregazione cardinalizia incaricata di progettare la ripresa della guerra contro i Turchi.
Nel 1521 il G. partecipò al conclave. Il suo nome circolò a tratti tra i papabili, ma non ottenne mai un seguito significativo, ed egli si limitò ad assecondare la maggioranza filoimperiale. Dopo il breve pontificato di Adriano VI (1521-23), nel quale egli non giocò alcun ruolo, il G. rientrò in conclave nell'ottobre 1523. Anche in questo caso, il G. poté in qualche momento presentarsi come un possibile candidato alla tiara, ma non disponeva di un seguito sufficiente e preferì schierarsi con il partito mediceo, appoggiando l'elezione del cardinale Giulio de' Medici, che il 19 nov. 1523 fu eletto papa con il nome di Clemente VII. Tre giorni dopo il G. morì a Roma.
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