FARINA, Achille
Nacque a Faenza (prov. Ravenna) il 16 febbr. 1804 da Ignazio e dalla romana Lodovica Errani. Di umili condizioni, i primi studi artistici li effettuò a Faenza frequentando scuole private. Nel 1822-23 è documentato a Bologna presso l'incisore F. Rosaspina (Golfieri, 1975, 1, p. 78) e nella litografia di P. Angiolini, dove riprodusse, fra gli altri, anche molti affreschi di F. Giani in vari palazzi faentini e bolognesi (Dirani, 1987). Per un breve periodo lavorò nella manifattura ceramica dei conti Ferniani di Faenza ma presto si trasferì a Firenze dove si perfezionò con il pittore neoclassico P. Benvenuti. Studiò molto dall'antico, si dedicò alla pittura d'argomento storico e religioso ed alla ritrattistica. Coltivò anche l'acquaforte.
Prese dimora fissa a Faenza quando, nel 1851, fu nominato insegnante della scuola di disegno della quale divenne nello stesso anno direttore. In tal veste ebbe modo di annoverare fra i suoi allievi T. Dal Pozzo, che divenne suo collaboratore, A. Berti, che fu suo successore nella cattedra di disegno, R. Marabini, G. Ghinassi, G. Piancastelli, L. Benini (Zecchini, 1952). Figura di spicco del mondo culturale e artistico faentino, il F. fece parte, nel 1856, della commissione esaminatrice del progetto per una lampada votiva d'argento destinata alla cattedrale cittadina. L'anno successivo fece parte della commissione incaricata di organizzare i festeggiamenti in occasione della visita di papa Pio IX (Messeri-Calzi, 1909, p. 357). Restaurò "non felicemente" (Montanari, 1882, p. 55) la pala di S. Giovanni Battista di I. Francucci in quella stessa cattedrale. Suoi sono i quadri a tempera della chiesetta della Confraternita di S. Orsola (ibid., p. 113). Dal 1862 iniziò ad interessarsi all'arte ceramica dedicandosi completamente alla pittura su maiolica con l'intenzione di rinnovare la tradizione ceramica faentina.
Nel 1864 abbandonò la direzione della scuola di disegno e l'attività didattica per dedicarsi esclusivamente alla maiolica (Dirani, 1992, p. 109). Riprese a lavorare nella manifattura dei conti Ferniani (Golfieri, 1975, I, p. 78) e alla fine del 1869 ne uscì per impiantare una sua piccola officina. Uno dei suoi primissirni lavori è probabilmente il piatto con l'immagine allegorica della Speranza in blu e la scritta "Ventitre novembre 1869 / la Speranza / inaugura la piccola fornace" (Faenza, Museo internazionale della ceramica).
Produzione caratteristica dell'attività ceramica del F. sono state le imitazioni di pezzi rinascimentali. Alcuni pezzi fabbricati e contrassegnati col suo monogramma "A. F." furono scambiati, con la complicità di alcuni commercianti, per antichi e tale sigla intrecciata è stata addirittura inserita in qualche manuale ceramico come una marca originale del '500 (vedi ad es. Genolini, 1881, n. 77; Thieme-Becker).
Nel 1871 partecipò con successo all'Esposizione di Milano vincendo una medaglia d'argento (Montanari, 1882, p. 281); ottenne il medesimo riconoscimento all'esposizione di Forlì dello stesso anno. Nel 1872 il F., insieme con il milanese F. Mylius e con Annibale Ferniani, lavorò alla costituzione di una società industriale artistica che avrebbe dovuto incrementare la ceramica cittadina. Fallito il progetto, nel 1873 costituì la società anonima Fabbrica di maioliche artistiche A. Farina & comp., da lui stesso diretta, presieduta dal Mylius e sostenuta da "parecchi munifici cittadini" (Messeri-Calzi, 1909, p. 443) con l'esclusione del conte Ferniani (Vitali, 1982, p. 300). A fianco del F. lavoravano il figlio Lodovico e un buon numero di collaboratori (Messeri-Calzi, 1909, pp. 443 s.).
Opere del F. furono esibite alle grandi Esposizioni di Londra, Firenze e Vienna, ove riscossero unanimi consensi. All'Esposizione universale di Vienna del 1873 le sue ceramiche ottennero la medaglia d'oro di prima classe. Sempre nel 1873 il F. ottenne a Firenze la "grande medaglia al progresso"; ottenne poi la medaglia d'oro all'Esposizione faentina del 1875, alla quale partecipò con le ceramiche Ritratto di Manzoni e Il bacio di Giuda (ubicazione ignota).
Ma i soci dei F. avevano altri interessi e vollero occuparsi anche di ceramiche commerciali e di stoviglie e quando, col 1° luglio 1876, dopo il parziale insuccesso della Esposizione di Napoli, decisero di dedicarsi completamente all'attività commerciale, sia il F. sia suo figlio lasciarono l'impresa e la società fu sciolta (Corona, 1885, p. 83).
D'altro canto il F., insieme con il figlio, aveva costituito già dal 5 marzo 1876 la Società ceramica Farina e sotto questa sigla partecipò all'Esposizione di Filadelfia del 1876 e a quella di Napoli del 1877: il 19 maggio 1877 la Società doveva già essersi sciolta; il F. impiantò allora la ben più modesta "A. Farina e figlio" (Vitali, 1982, p. 302).
Produzione tipica della nuova impresa ceramica continuò ad essere l'imitazione delle forme e dei decori delle maioliche rinascimentali ma il F. preferì dedicarsi ad applicare le tecniche antiche a soggetti moderni e a perfezionare lui stesso nuovi procedimenti operativi. In particolare è da segnalare la tecnica della "pittura ad impasto". Il F. applicò questa sua scoperta, che per certi versi si pone a metà strada fra la maiolica e l'ingobbio, ai fini di una resa cromatica simile alla pittura ad olio, soprattutto nell'esecuzione di ritratti a grandezza naturale dipinti sia in policromia sia in sanguigna su piatti ceramici di grandi dimensioni; questi piatti talvolta furono utilizzati anche nella ornamentazione di alcune tombe nel cimitero monumentale di Faenza. Un suo grande vaso orna un'anticamera della sede del Senato a palazzo Madama a Roma.
Nel 1878 sue opere, tra cui "i ritratti in tondo di Vittorio Emanuele e della regina Margherita con cornici imitate dall'antico" (Corona, 1880, p. 48), furono presentate all'Esposizione di Parigi ma non riscossero il successo sperato; la sua "pittura ad impasto" non fu compresa e al F. venne assegnata solo una modesta menzione onorevole.
Il F. morì a Faenza l'11 genn. 1879.
In una lettera del 3 febbr. 1880 il figlio Lodovico segnalava all'attenzione di Giovanni Piancastelli "una testa del Divin Redentore, sopra una lastra quadrilunga, che è una delle ultime opere [del F.], stupendamente riuscita" (Dal Pane, 1965, p. 44). Per rendere omaggio alla sua memoria nel 1894 l'ex allievo T. Dal Pozzo eseguì un suo ritratto su maiolica che gli amici fecero porre nella chiesa del locale cimitero.
Fra le opere del F., oltre a quelle già citate, si ricordano innanzitutto quelle esposte a Faenza nel 1955 in occasione della Mostra degli artisti romagnoli dell'Ottocento; gli oli su tela: La ballerina Sofia Fuoco, della collezione del conte Dionigi Zauli-Naldi di Faenza, il Ritratto di Giovanni Ghinassi, della collezione dell'avv. P. Paolo Liverani di Faenza e, presso la Pinacoteca comunale di Faenza, Autoritratto, Giuditta con la testa di Oloferne, Re Saul, Testa d'uomo. Ancora, venne esposto il piatto in maiolica policroma firmato e datato 1876 Ritratto della figlia Anna del Museo internazionale delle ceramiche di Faenza. Fra i quadri a olio giovanili si possono inoltre segnalare una Francesca da Rimini e un Conte Ugolino conservati anch'essi nella Pinacoteca comunale, come pure una S. Maria Maddalena, un Giuseppe venduto ai mercanti e un ritratto di Lodovico Caldesi. Altre sue tele sono conservate alla Galleria degli Uffizi a Firenze.
Al Museo internazionale delle ceramiche di Faenza e al Museo del Castello Sforzesco di Milano sono conservati altri piatti in maiolica con dei ritratti: rispettivamente un Autoritratto (a sanguigna, firmato e datato 1876) e una Testadi vecchio. Altri ancora si trovano in collezioni private faentine: S. Pietro, S. Marino, Ritratto d'uomo, Vittorio Emanuele II (Dirani, 1987, tavv. n.n.). Nella Biblioteca del Museo internazionale delle ceramiche di Faenza si conserva (n. inv. 1588) un album di 36 fogli di suoi disegni originali.
Il figlio Lodovico (1836-1911), avvocato, dedicò per qualche anno la sua attività alla fabbrica di maioliche artistiche fondata dal padre, cui subentrò nel 1878. Nel 1880, esponendo maioliche imitanti antichi pezzi ispano-moreschi e faentini, ed altre con decorazioni moderne, riscattava il parziale insuccesso parigino di due anni prima conseguendo a Torino l'unica medaglia d'oro destinata dal governo alla ceramica ed il titolo di cavaliere. Ottenne un'altra medaglia d'oro all'Esposizione di Milano del 1881.
Pressoché privo di senso creativo artistico, mostrò tuttavia di essere un amministratore abbastanza capace, molto legato alla memoria del padre (non modificò mai né il marchio né la ragione sociale della ditta, che anche dopo la morte del F. restò A. Farina e figlio), interessato alla storia dell'arte ceramica (Corona, 1880, p. 64) e in generale alle vicende culturali cittadine - fu fra l'altro membro della deputazione teatrale (Pasolini Zanelli, 1888). Gaetano Carboni, presidente della Società ceramica faentina, gli offrì la cessione della sua fabbrica e l'accordo fu concluso nell'aprile 1882 con effetto dal 1° maggio. La ditta così ampliata mutò parzialmente il repertorio produttivo affiancando alla tradizionale produzione artistica quella industriale. La ragione sociale fu mutata in A. Farina e figlio, premiata fabbrica di maioliche artistiche e industriali. Nella Biblioteca del Museo internazionale delle ceramiche di Faenza si conserva fra l'altro una rara copia dell'amplissimo catalogo del 1885 illustrato con i disegni di Giovanni Gulmanelli, che chiarisce con estrema precisione la ricchezza e la varietà della produzione. L'alta qualità dei quei prodotti venne premiata con diverse attestazioni: basti ricordare le due medaglie d'oro vinte nel solo 1884 a Torino e a Nizza (Corona, 1885). Nel 1887, per gravi problemi economici, la ditta venne chiusa e assorbita dalla Società cooperativa per la ceramica (poi Industrie riunite faentine), che peraltro menò sempre vanto di essere l'erede della "antica fabbrica Farina" (Minghetti, 1939; Dirani-Vitali, 1982). Nel febbraio di quello stesso anno, accompagnato da suo figlio e dagli operai Francesco Rava e Domenico Marcucci, trovò provvisorio lavoro a Londra in occasione della Esposizione italiana. A Faenza lasciò, in misere condizioni economiche, i figli Sofia e Achille, la moglie Carlotta Scen, la sorella Anna e la madre settantaseienne (Dal Pane, 1965).
È stato recentemente donato al Museo internazionale delle ceramiche di Faenza un centro tavola di Lodovico (n. inv. 27234), realizzato nel 1890 nella fabbrica londinese De Morgan, siglato dal decoratore F. Rava.
Fonti e Bibl.: Faenza, Biblioteca del Museo internazionale della ceramica, Annali della ceramica, n. 12350; Esposizione di Faenza del 1875, Ravenna 1875, pp. 17-20; G. Corona, La ceramica. Biografie e note storiche, Milano 1879, pp. 50 s. (pp. 79, 87 s., 287 per Lodovico); Id., La ceramica a Parigi nel 1878. L'Italia ceramica, Roma 1880, ad Indicem (pp. 48, 64 per Lodovico); A. Genolini, Maioliche italiane. Marche e monogrammi, Milano 1881, n. 77; A. Montanari, Guida storica Faenza, Faenza 1882, pp. 55, 112 s., 280 s.; G. Corona, Esposizione industriale italiana del 1881 in Milano. Relazioni dei giurati. La ceramica, Milano 1885, pp. 81-84; A. Montanari, Gli uomini illustri di Faenza. Artisti, I, Faenza 1886, pp. 155 s.; G. Pasolini Zanelli, Il teatro di Faenza dal 1788 al 1888, Faenza 1888, p. 24 (per Lodovico); F. Argnani, Le ceramiche e le maioliche faentine, Faenza 1889, pp. 13, 70; Esposizione di Faenza agosto-ottobre 1908. Catalogo generale della Mostra retrospettiva di ceramiche italiane, Faenza 1908, pp. 14, 16, 18; A. Messeri-A. Calzi, Faenza nella storia e nell'arte, Faenza 1909, ad Indicem (p. 444 per Lodovico); M. Antonelli, Guida di Faenza, Faenza 1924, p. 9; G. Liverani, La pittura "ad impasto" su maiolica in Faenza nell'ultimo quarto del secolo XIX, in Rassegna dell'istruzione artistica, 1934, pp. 250-255; A. Zecchini, Il cenacolo Marabini, Faenza 1952, ad Indicem; Mostra degli artisti romagnoli dell'Ottocento, a cura di E. Golfieri, Faenza 1955, pp. 33 s.; L. Dal Pane, Lettere inedite A., Ludovico e Anna Farina a G. Piancastelli, in Faenza, LI (1965), pp. 21-46; E. Golfieri, L'arte a Faenza dal neoclassicismo ai nostri giorni, I-II, Faenza 1975-1977, ad Indicem; M. Vitali, Le fabbriche faentine dal periodo napoleonico agli inizi del XX secolo attraverso i documenti dell'Archivio comunale, II, dal 1860 al 1890, in Faenza, LXVIII (1982), pp. 298-304; S. Dirani-G. Vitali, Fabbriche di maioliche a Faenza dal 1900 al 1945 (catal.), Faenza 1982, pp. 9 s.; F. Dal Pozzo, Pittori maiolicari faentini dell'Ottocento: una illustrazione al Museo, in Faenza, LXIX (1983), pp. 424-26; S. Dirani, A. F., Faenza 1987; Id., Ceramiche ottocentesche faentine, Faenza 1992, pp. 103-121; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, pp. 269 s.; Encicl. biogr. e bibliogr. ital., A. Minghetti, I ceramisti, pp. 174 s.