BELTRAMI, Achille
Nato a Brescia il 4 ott. 1868, frequentò la scuola media nella sua città, dai monumenti di questa e dalle sue tradizioni storiche derivando ispirazione allo studio dell'antichità classica. Allievo dell'università di Pisa, quivi si laureò il 1° luglio 1891 con una tesi latina De anacoluthiae usu apud Thucydidem (pubbl. in Annali della Scuola normale superiore; estr., Pisa 1895); e conseguì pure il diploma di magistero presso la Normale con una dissertazione, parimenti in latino, De commentariolo petitionis Q. Tullio Ciceroni vindicando, Pisa 1892 (successivamente trasformata nella memoria italiana inserita nel '99 fra i Commentari dell'Ateneo di Brescia). Il suo campo di lavoro (conforme, del resto, all'esempio del maggior latinista dell'epoca, successivamente patronus del B. nell'Accademia milanese, il veneto Remigio Sabbadini) si estese quindi dalla latinità classica e post-classica alla latinità medievale e umanistica. A Brescia il B. tornò insegnante di lettere greche e latine al liceo, e qui ebbero origine i primi suoi scritti, a carattere prevalentemente espositivo-divulgativo (gliene fecero biasimo i commissari del concorso universitario pur da lui vinto nel 1912), in ispecie la conferenza Brescia antica nella storia e nell'arte, Milano 1901 (dov'è copiosa e notevole l'erudizione locale, il raccordo al Rossi e all'Odorici, all'Arici e al Labus, com'è naturale forse, ma notevole, in questo e in altri lavori del B., la suggestione o l'eco del Carducci), la memoria Il "Sogno di Scipione" di M. Tullio Cicerone e le sue imitazioni nella letteratura italiana (Brescia 1901; estr. dai Commentari dell'Ateneo) e il saggio, che si riallaccia chiaramente al D'Ancona, su Le danze macabre (Brescia 1894). Trattasi essenzialmente di compilazioni, raccolta esterna di "schede" o indicazioni e annotazioni di "fonti", senza sussumerle in un tentativo di storia della cultura o dell'attività letteraria. Tentativo, del resto, che non si può dire il B. intraprendesse neppur nella successiva sua opera, tutta caratterizzata da una sostanziale indifferenza alla storia o incapacità di intendere in ambito storico i fenomeni letterari.
Libero docente di letteratura latina presso l'Accademia scientifico-letteraria di Milano dal 1907, il B. vi coperse fin dal 1902 l'incarico della grammatica latina sinché non riuscì nel 1912 unico vincitore del concorso per la cattedra di letteratura latina all'università di Messina, non senza la protesta "minoritaria" del Mancini e del Pascal, che al B. rimproveravano scarsa attitudine all'insegnamento letterario e non troppo sicura conoscenza del latino. Vero che la produzione "scientifica" del B. aveva già allora carattere prevalentemente "grammaticale" e verteva di preferenza su retori, quali Frontone e Quintiliano (del XII libro delle cui Institutiones il B. pubblicò, Roma-Milano 1910, un'edizione commentata). Ma è pur vero che al momento di salire sulla cattedra messinese il B. non aveva ancora dato il meglio di sé, un contributo anzi sicuramente memorabile alla storia degli studi latini mercé la scoperta, nella Biblioteca Queriniana di Brescia, del codice, assai probabilmente bobbiese, delle Epistulae morales di Seneca, dal B. illustrato anzitutto in due articoli della Rivista di filologia e di istruzione classica (XLI [1913], pp. 549-78; XLII [1914], pp. 1-32), quindi edito, per i tipi dello Zanichelli, dietro incarico e a spese dell'Ateneo bresciano (successivamente ripubblicato, in una edizione critica definitiva, nel corpus latino dell'Accademia dei Lincei, 2 voll., Roma 1931). Questa edizione diligentissima, preziosa altresì per il costante rinvio agli autori citati da Seneca, non ha peraltro segnato un avviamento nuovo e diverso nell'opera del B ., né un suo approfondimento di studi senecani, quantunque la morte lo sorprendesse intento a dettar la versione delle Lettere a Lucilio. Pur impegnato a individuare i fondamenti strutturali del genere prosastico in Cicerone e in due critici severissimi di Seneca, quali Quintiliano e Frontone, il B. di questi autori e della loro prosa e attività ebbe sempre un concetto meramente formalistico-tecnico, né si preoccupò quindi mai di rendersi ragione dell'individualità creativa di ciascuno scrittore o delle ragioni che suggerirono a Seneca una prosa ipotattica, a Quintiliano il ciceronianismo e l'arcaismo a Frontone. Altrettanto si deve dire dell'attività del B. in fatto di critica e lettura dei poeti latini (fu, tra parentesi, tipicamente ancorato ai modi della cultura classica italiana ottocentesca anteriore al Vitelli e quindi indifferente al greco). Anche Orazio e Catullo vide essenzialmente quali rappresentanti d'una (inesistente od astratta) idea o tradizione giambica, epperò ne ridusse l'opera a ricerca o riproduzione di fonti. Né questa tradizione giambica interpretò storicamente, ma retoricamente, in obbedienza, anche, al pregiudizio germanicizzante della non originalità della letteratura latina. Osò quindi asserire (Sulla fortuna del giambo, Milano 1915, p. 18) che "il natale di questa letteratura cade in un giorno tra il 15 e il 18 sett. 240 a. Cr., rappresentandosi, nell'occasione dei ludi romani, un dramma greco in lingua latina per cura del greco-italiota Livio Andronico"; e speculare astrattamente, commemorando Orazio, sul sentimento della natura presso i Romani, affermando che "cause insite nel genio della stirpe, nelle istituzioni, nei costumi furono per lunghissimo tempo sfavorevoli allo sviluppo della poesia lirica presso i Romani" (ibid., p. 35). In un discorso all'università di Genova, dove era passato a insegnare letteratura latina dal 1913, e dove rimase fino al collocamento a riposo, rivendicò tuttavia anche ai latini il senso dell'humanitas e del dolore, di cui proclama poeta Virgilio, rifacendosi (cosa rara presso i filologi accademici contemporanei) a ottocentisti italiani (Canna, Barzellotti e Carducci, il quale ultimo aveva costruito su V. Duruy il discorso di Pietole). È vero che il buon gusto ereditato dalla tradizione letterario-carducciana del sec. XIX salvò sempre il contesto e lo stile del B., pur incline, almeno nella commemorazione oraziana, alla "solita retorica imperialistica, di cui si fece tanto abuso in occasione del bimillenario virgiliano" e di cui troppo generosamente si volle dirlo immune, ma è anche vero che l'onesto erudito e austero filologo B. rimase costantemente al di qua della critica letteraria, dei rinnovamento che l'idealismo crociano in ispecie immise negli studi italiani di letteratura latina, massime negli anni tra le due guerre mondiali.
Il B. si spense tra gli sfollati di Masone (prov. Genova) il 24 sett. 1944.
Un elenco sommario delle sue principali pubblicazioni è nella miscellanea In memoriam Achillis Beltrami, edita dall'Istituto di filologia classica dell'università di Genova, 1954, pp. 37 s.
Bibl.: Oltre l'esauriente commemorazione dettata da E. V. Marmorale, nel cit. In memoriam, pp. 11 ss., e a prescindere dall'importante relazione di concorso nel Boll. del Min. d. P. I., XL (1913), pp. 800 ss., cfr.: V. Ussani, Lingua e lettere latine, Roma 1921, pp. 58 s. e passim; E. Franceschini, C. Marchesi, in Annuario d. Univ. di Padova, 1957-58, pp. 11 s. dell'estr.; G. Pasquali, Filologia e storia, nuova ed., Firenze 1964, p. 16.