palleggiare
v. tr. [der. di palla1] (io palléggio, ecc.). – 1. a. Esercitarsi con la palla, facendola saltellare e rimbalzare, gettandola e riprendendola o, in un gioco di squadra, lanciandosela a vicenda; fare palleggi. b. Per estens. (di solito con la particella si con valore reciproco), lanciarsi l’un l’altro per gioco qualche oggetto come fosse una palla: idilli allegri di bertucce in amore, palleggiantisi da palmizio a palmizio una noce di cocco (Soffici); gli avevano tolto di testa il berretto e se lo palleggiavano tra loro. Meno com. con riferimento a persona, in senso proprio o fig.: quella crudeltà di palleggiarselo a calci sui gradini proprio della chiesa, parve sacrilega a più d’uno (Bacchelli); era stanca, ormai, d’esser palleggiata tra un amante bestiale e un amante geloso (Papini). c. In altri usi fig., scambiarsi, passarsi a vicenda, anche cose non materiali: da reparto a reparto i combattenti si palleggiavano motti di scherno (A. Baldini). In partic., e più com., attribuirsi o addossarsi scambievolmente colpe, oppure doveri, e sim.: palleggiarsi i compiti d’ufficio; palleggiarsi le accuse; continuavano a palleggiarsi le responsabilità del persistente disservizio. 2. a. Sollevare qualche cosa (soprattutto un’arma), agitandola come per soppesarla ed equilibrarla prima di fare il lancio o di sferrare il colpo: p. l’asta, la clava. b. estens. Cullare, sballottare con dolcezza: E dolcemente tra le mani alquanto Palleggiato l’infante, alzollo al cielo (V. Monti).