ove
óve avv. [lat. ŭbi] (radd. sint.). – 1. Lo stesso che dove, di cui è forma più letter., con gli stessi usi e sign. (in frasi interrogative dirette o indirette, per indicare stato in luogo o moto a luogo, con valore relativo, ecc.; non però sostantivato, né preceduto da di o da): ove sei?, ove vai?; Giunto mi vidi ove mirabil cosa Mi torse il viso a sé (Dante); la notte era sì buia e sì oscura che egli non poteva discernere ove s’andava (Boccaccio). Col senso di «ovunque» (col quale si adoperò anche ove che): So che sempre, ove io sia, l’amerò morto (Pulci); con valore avversativo, di «mentre, invece»: Lagrime triste, e voi tutte le notti M’accompagnate, ov’io vorrei star solo (Petrarca). 2. Talora col sign. di «quando», ma con valore ipotetico e limitativo («se mai, nel caso che» e sim.) e con il verbo al cong.: ove occorresse ...; ove io non riuscissi ...; ove così non fosse ...; quello che ti piace adomanda, che senza fallo, ov’egli avvenga che io scampi, io lo serverò fermamente (Boccaccio); Che ove speme di gloria agli animosi Intelletti rifulga ed all’Italia, Quindi trarrem gli auspici (Foscolo).