mimesi
mimèṡi s. f. [dal gr. μίμησις der. di μιμέομαι «imitare»], letter. – Propriam., imitazione. Il termine (anche nella forma traslitterata mìmesis) viene usato soprattutto nel linguaggio filosofico, dove acquista importanza con Platone il quale con esso designa la somiglianza delle cose sensibili alle idee; nella concezione platonica dell’arte, la mimesi è da condannare perché, imitando le cose, che a loro volta sono copia delle idee, si allontana tre volte dal vero. Nell’estetica aristotelica, mimesi acquista un significato positivo, come imitazione della forma ideale della realtà, per cui l’operare dell’artista diventa simile all’operare della natura. Ripreso nella critica letteraria contemporanea, il termine indica generalmente la rappresentazione di una realtà ambientale, sociale, culturale, ecc., attuata perseguendo a varî livelli (ideologico, stilistico, documentario, ecc.) l’obiettivo di una riproduzione il più possibile realistica e impersonale di tali realtà.