low care
loc. s.le f. e agg.le inv. Lungodegenza; fornito di attrezzature per cure adeguate alle esigenze dei pazienti in condizioni non gravi. ◆ «L’esperienza testimonia che il malato viene trattenuto in ospedale troppo a lungo e anche nel letto sbagliato. Oggi, ci sono almeno tre livelli di cure: l’intensiva, l’high care come la definiscono gli anglosassoni, cioè la degenza vera e propria, e la low care che equivale al periodo della convalescenza vigilata. Da noi, molto spesso il malato occupa più a lungo del necessario un letto destinato alla cura intensiva che raramente deve durare più di due, tre giorni» [Renzo Piano intervistato da Guido Vergani]. (Corriere della sera, 22 marzo 2001, p. 10, Cronache) • L’ospedale Niguarda continua a far parlare di sé. […] Il disegno proposto dalle rappresentanze sindacali unitarie consentirebbe «il mantenimento e lo sviluppo – prosegue la nota – di ciò che già si è realizzato in tempi recenti e dove sono inserite le eccellenze. Consentirebbe anche la valorizzazione e riconversione di tutto il patrimonio residuo per farne un parco tecnologico, alberghiero e low care (lungodegenza). (Stampa, 16 settembre 2003, Milano, p. 4) • Duecento letti di «low care» da aprire a Milano entro giugno per far fronte all’emergenza estiva. […] I nuovi modelli ospedalieri, già illustrati a suo tempo da Umberto Veronesi quando era ministro della Sanità, prevedono due tipi di assistenza. […] La seconda, la «low care» appunto, avviene fuori dalle corsie mediche e chirurgiche ma deve garantire tutta l’assistenza necessaria al malato. […] Con ogni probabilità, i letti «low care» saranno aperti nei centri attrezzati anche con servizi di riabilitazione. (Laura Asnaghi, Repubblica, 20 aprile 2008, Milano, p. XII).
Espressione ingl. composta dall’agg. low (‘basso, minimo’) e dal s. care (‘cura’)
Già attestato nella Repubblica del 21 novembre 2000, p. 30, Cronaca (Roberto Fuccillo).
V. anche high care.