i, I
s. f. o m. (radd. sint.). – 1. Nona lettera dell’alfabeto latino, che nell’uso ortografico odierno sostituisce anche, per tutte le parole italiane (eccezion fatta per pochi nomi proprî che conservano la grafia tradizionale), il segno j nei casi e nelle posizioni in cui questo era adoperato fino a tempi più o meno recenti; nel presente Vocabolario il segno j è limitato alle voci straniere nelle quali ha spesso valore fonetico diverso da i, per cui si è ritenuto opportuno assegnargli una collocazione propria nell’ordinamento alfabetico. Graficamente la lettera i, derivata dall’alfabeto fenicio, era rappresentata presso i Greci e i Romani da una semplice asta verticale; il punto sulla minuscola venne introdotto nella scrittura latina del tardo medioevo (dapprima in forma di sottile apice obliquo) per evitare confusioni tra la lettera i e i tratti verticali delle lettere u, n, m; l’uso diventò presto generale, ma fu sempre intes0 come una prova di eccessivo scrupolo, onde la locuz. fig. fam. mettere i puntini sulle (o sugli) i, completare una spiegazione o, più comunem., fare una precisazione, mettere bene in chiaro le cose per evitare fraintendimenti. Sotto l’aspetto fonologico, mentre l’ι (iota) del greco era esclusivamente vocale, in latino i era vocale sillabica in tutte le posizioni tranne che tra vocali (come in Gaius, maior) e all’inizio di parola davanti ad altra vocale (come in iocus, iudex), dove era semiconsonante; fenomeno relativamente tardo, dell’età imperiale, è il passaggio da vocale a semiconsonante dell’i atono davanti ad altra vocale (es. basium, varius). In italiano, la lettera può avere tre valori: a) di vocale, che può essere sillabica e tonica come in pino, pio; sillabica ma atona come pineta, piolo; asillabica come in bàita, fàida; b) di semiconsonante, come in paio, piano, quand’è seguita cioè da altra vocale, purché non sia preceduta da consonante palatale o palatoalveolare (come in braciere, usciere, vogliamo, sogniamo, dove è un puro segno diacritico, o addirittura scompare anche nella scrittura, come in ingegnere); la distinzione tra la pronuncia di i vocale e di i semiconsonante non è peraltro così netta in italiano come in altre lingue, e ragioni stilistiche o d’altra natura possono spesso intervenire a dar suono vocalico anche alla semiconsonante; c) di segno diacritico, nei gruppi cia cio ciu, gia gio giu, scia scio sciu, glia glie glio gliu, e anche nei gruppi cie, gie, scie, gnia – che si hanno in alcune parole per residuo etimologico o che si possono formare nella declinazione o coniugazione (per es. in socie, regie, conscie, sogniamo) –, nei quali ha la sola funzione d’indicare la pronuncia dolce delle consonanti che la precedono (eccettuato il caso che sia vocale sillabica tonica, come in scia, Lucia, o anche atona, come in sciatore, Lucietta). Col problema della pronuncia vocalica e semiconsonantica dell’i è connesso il problema del plurale dei nomi in -io atono. In conformità con i plurali latini del tipo genii, varii (normali perché i e u del sing. genius, varius erano vere vocali sillabiche), in italiano plurali come genii, varii sono stati a lungo (e spesso ancor oggi) usati, con un’applicazione indiscriminata della regola latina anche a parole di tradizione popolare, per cui si formavano artificialmente plurali come dubbii, esempii, epitaffii, ampii, privi di giustificazione storica in quanto l’i dei rispettivi singolari non è mai stato vera vocale; sono state risparmiate, invece, le parole in cui la terminazione -io è preceduta da vocale o da consonante velare, prepalatale o mediopalatale, per es. gaio, occhio, lancio, raggio, taglio, uscio. Il plurale in -i ha però lo svantaggio di non distinguere i nomi in -io da quelli in -o o in altra vocale semplice: oratóri plur. di oratóre e oratòri plur. di oratorio (che hanno diversa pronuncia); per ovviare a questo inconveniente, sono state introdotte grafie come assassinï, assassini’, assassinj, assassinî. Quest’ultima, che delle quattro è la meno rara, è adottata anche nel presente Vocabolario, fatta sempre eccezione per le parole in cui la terminazione atona -io è preceduta da vocale o dalle consonanti c, g, sc, ch, gh, gl (bacio - baci; raggio - raggi; liscio - lisci; occhio - occhi; mugghio - mugghi; artiglio - artigli). Analogam., col problema dell’i vocale o segno diacritico è connesso il problema del plurale dei femminili in -cia -gia -scia atono. Stando alla pronuncia normale, l’i nel plurale non avrebbe motivo d’essere scritto in nessun caso; ma si deve d’altra parte tener conto della possibilità che i latinismi hanno d’essere utilizzati nel verso come parole sdrucciole con i vocale sillabica (es. acacie, conscie). Un po’ per questo riguardo, un po’ per l’innegabile influsso dell’ortografia latina, un’abolizione totale dell’i nel plurale dei femminili in -cia -gia -scia non è stata mai proposta né messa in pratica. Considerato però che ben pochi riuscirebbero a distinguere a prima vista i latinismi a cui riservare la conservazione dell’i nella scrittura del plurale, si è largamente diffusa negli ultimi decenni (ed è applicata anche in questo Vocabolario) una regola semplificata, che rispetta la distinzione etimologica nella grande maggioranza dei casi e ha il vantaggio d’un molto più facile apprendimento: si scrive -cie -gie quando il c o il g è preceduto da vocale (es. socie, regie, secondo l’etimologia; camicie, ciliegie, contro), -ce -ge quando il c o il g è doppio o preceduto da altra consonante (es. facce, fogge, once, cosce, secondo l’etimologia; orge, province, consce, contro). 2. I prostetico: è così chiamato in linguistica l’i che viene premesso a parole comincianti per s impura quando nella frase vengano a trovarsi precedute da consonante: es. in Isvizzera, in istrada, per iscritto, per isbaglio. Il fenomeno ha la sua lontana origine nel latino volgare, e in altre lingue romanze ha avuto sviluppi più estesi che in italiano: all’it. spada fanno riscontro il fr. épée, lo spagn. e port. espada, in cui la vocale prostetica s’è fissata alla parola indipendentemente dal contesto. 3. a. I lungo: nome dato comunem. alla lettera j, altrimenti detta iod o iota. b. I greco: nome frequente della lettera y, altrimenti detta ìpsilon (che è invece nome più frequente per indicare la corrispondente lettera, υ, dell’alfabeto greco). ◆ Usi più comuni della lettera i, I come abbreviazione o simbolo: nella forma maiuscola puntata, è abbreviazione di nomi proprî che cominciano con i, come Italo, Ilio, Isidoro, Irene, ecc.; senza il punto, è sigla automobilistica e aeronautica dell’Italia. Nella numerazione romana, I è segno del numero 1 (quindi II = 2, III = 3; posposto a numeri di valore maggiore indica addizione, preposto indica invece sottrazione, per cui VI = 6, XII = 12, mentre IV = 4, IX = 9, ecc.); vale anche come numero ordinale: I = 1°, primo, II = 2°, secondo, ecc. In chimica, I è simbolo dell’elemento chimico iodio; come prefisso, i- indica un composto otticamente inattivo o è abbreviazione di iso- (per es., isobutano o i-butano). In matematica, i è il simbolo dell’unità immaginaria, tale che il suo quadrato è uguale a
−1 (i2 = −1). ◆ Nel codice alfabetico internazionale, la lettera i viene convenzionalmente identificata dal nome India.