decimo
dècimo agg. num. ord. e s. m. [dal lat. decĭmus, der. di decem «dieci»]. – 1. agg. Che in una serie, in una progressione, viene dopo nove altri (in scrittura numerica 10°, in numeri romani X): il d. giorno del mese; nel d. anno della sua vita; arrivare d. in una gara; essere al d. posto nella graduatoria, ecc.; d. musa, l’arte cinematografica. Aggiunto a nomi di regnanti o pontefici, per indicare la successione: Luigi X, Pio X. 2. agg. a. Composto di dieci, solo nell’espressione d. rima, strofa composta di 10 endecasillabi rimati secondo lo schema ABABABCCCB, usata in componimenti di argomento sacro e di carattere popolare; di solito il 1° verso della strofa seguente ripete una o due parole dell’ultimo della precedente. b. D. parte, ciascuna delle dieci parti in cui è stata divisa o può essere divisa l’unità, o una cosa, una somma, ecc. 3. s. m. La decima parte di un intero (scritto anche 1/10); e così due d. (2/10), tre d. (3/10), ecc.; con valore approssimativo, nove d., per indicare gran parte, la quasi totalità: i nove d. non saprebbero rispondere; la sua fama è per nove d. usurpata. Accezioni particolari: a. Nelle società per azioni, quota corrispondente a un decimo del valore nominale di ogni singola azione sottoscritta. b. Decimo di guerra, aumento fiscale di un decimo, imposto talora, in passato, per far fronte alle eccezionali necessità della guerra. c. Nella pratica oculistica, misura convenzionale dell’acuità visiva, per cui il visus normale è considerato pari a 1 = 10/10, che scendono gradualmente a 9/10, 8/10, ecc. per capacità visive ridotte, la cui determinazione è fatta in base alle tavole ottotipiche: all’occhio destro ho tre d. meno che al sinistro. d. Nella graduazione dei termometri clinici, il sottomultiplo decimale del grado di temperatura: ha pochi d. di febbre (ma più com. linea).