ZANCHINO di Ugolino
ZANCHINO di Ugolino (Zanchino Ugolini). – Appartenente a un lignaggio di estrazione nobiliare («inter cives Arimini nobilis erat», così l’epitaffio funebre, la cui edizione più recente si legge in Tonini, 1880, p. 377), Zanchino nacque verosimilmente sullo scorcio del Duecento, da un Ugolino di Guglielmo (le fonti non ci restituiscono invece informazioni circa l’identità della madre). Benché le poche notizie biografiche superstiti ricolleghino l’attività del giurista alla città di Rimini, dove Zanchino risiedette nella contrada di S. Maria in Corte all’interno del quartiere di Porta S. Pietro, l’origine probabilmente allogena della famiglia – Senae o de Senis, da ricondurre con maggior facilità alla non distante Senigallia piuttosto che a Siena – impedisce un giudizio certo sul luogo natale.
Va tuttavia tenuto presente che già nel 1302 il padre lavorò al servizio dell’Inquisizione riminese in qualità di ufficiale, validando dunque l’ipotesi di un cognome toponomastico di fatto tralatizio, scollegato da un’immigrazione in tempi recenti nella città romagnola.
Zanchino, come il fratello Raniero, venne avviato agli studi giuridici, che compì con ogni probabilità presso lo Studium di Bologna, senza presumibilmente conseguire la laurea, non occorrendo mai nella documentazione né con il titolo di doctor e nemmeno con la qualifica di licentiatus, bensì di semplice peritus. La carriera professionale del giurista, attestato nelle fonti nelle vesti di iudex e advocatus (parte della storiografia gli attribuisce la funzione di notaio, che non sembra trovare riscontri documentari), si svolse tuttavia nelle sue tappe fondamentali a Rimini, dove ricoprì incarichi di notevole spessore, lavorando non solo al servizio dell’Inquisizione locale, certamente in qualità di consultore, ma partecipando da primattore alla redazione dei nuovi statuti cittadini confezionati nel 1334 («infrascripta sunt statuta de novo facta edita et compilata per sapientes viros dominos Zanghinum condam Ugolini et ceteros statutarios et compoxitores statutorum novorum Communis Arimini»: Viroli, 1963, p. 369). Questa compilazione normativa, che suggellò il nuovo corso del dominio signorile instaurato in quello stesso anno da Malatesta Antico e da suo fratello Galeotto I su Rimini a conclusione di faide intestine ai Malatesti, sublimò la contiguità di Zanchino e della propria famiglia al nucleo di potere locale, risalente almeno ai tempi del padre Ugolino.
Gli statuti riminesi del 1334, i più antichi giunti fino a noi, rielaborarono in parte norme del secolo precedente, mantenendo formalmente in vita gli organismi e i Consigli comunali, in realtà svuotandoli di contenuti e prerogative nell’ottica di una piena affermazione del dominio personale dei nuovi signori della città e della loro successiva discendenza.
Lo stretto legame tra il giurista e il nuovo regime signorile, giudicato da Giovanni XXII ribelle verso l’autorità papale per via dell’occupazione di alcuni territori soggetti al dominio temporale pontificio, costò a Zanchino e al fratello Raniero il coinvolgimento in un processo intentato dal rettore di Romagna, iniziato in data imprecisata dopo il 1334 e concluso con la scomunica, revocata soltanto nel 1343, dopo la morte del giurista. In tale data fu tolto l’interdetto pontificio su Rimini e, congiuntamente, annullato il provvedimento personale, dal quale il defunto fu sciolto hereditario nomine per opera del fratello.
Zanchino scomparve infatti nel settembre 1340 e, come era prerogativa dei membri dell’élite locale, fu sepolto nella chiesa conventuale di S. Francesco (in seguito Tempio Malatestiano), all’interno della stessa arca sopraelevata che ospitò alcuni anni dopo le spoglie del fratello Raniero.
Il citato epitaffio sepolcrale dei due iudices, tra le pochissime fonti a nostra disposizione per la biografia di Zanchino, definisce il giurista, oltre che nobilis, summe peritus e zelator fidei. L’erudito settecentesco Ireneo Affò (1794, p. 214) segnalò l’occorrenza del nome dell’advocatus in una pergamena del 1336 allora conservata presso il convento riminese di S. Agostino: tale atto non risulta oggi reperibile nel fondo Pergamene dell’Archivio di Stato di Rimini, dove è confluita la documentazione superstite del cenobio agostiniano.
La fama di Zanchino è fondamentalmente legata al suo Tractatus super materia hereticorum, manuale inquisitoriale confezionato a uso dell’inquisitore di Romagna, il frate minore Donato da Sant’Agata sul Santerno. Stando alle fonti attualmente note, il mandato inquisitoriale del francescano avrebbe preso avvio proprio nell’anno della morte di Zanchino, il 1340, che si imporrebbe dunque come riferimento cronologico obbligato per la datazione dell’opera.
Rimane tuttavia problematico – pure a fronte dell’evidenza offerta dai pochi lacerti biografici disponibili – ipotizzare un rapporto di collaborazione tra un giudice della fede e un giurista non ancora ritornato in comunione con la Chiesa (a meno di non immaginare una temporanea riconciliazione). Non è dunque da escludere che la committenza del Tractatus si riferisca a un eventuale pregresso incarico inquisitoriale del giudice della fede francescano, svolto precedentemente all’irrogazione della scomunica nei confronti di Zanchino, con la conseguenza di una retrodatazione dell’opera ad anni precedenti il 1334.
Da una lettera del fratello Raniero (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Ottobon. lat., 403 c. 1r, poi edita in Parmeggiani, 2012, pp. LXII s.), siamo informati che questi fece dono al frate inquisitore di una copia esemplata sull’autografo del Tractatus rinvenuto nella biblioteca personale dell’autore all’indomani del suo decesso.
Il Tractatus è un’opera chiave della manualistica a uso del negotium fidei. Presenta infatti uno scarto fondamentale rispetto alle opere precedenti, in genere mero florilegio di auctoritates normative o prontuari approntati dagli inquisitori a uso interno dell’officium, scanditi in base a essenziali articolazioni tematiche. Per la prima volta l’autore è un laico e un giurista, che struttura il testo in quarantuno capitoli dedicati ad altrettanti aspetti procedurali, e lo correda di un solido e copioso ancoraggio diretto alle compilazioni di diritto civile e canonico e alle relative opere di glossa e commento, senza comunque trascurare lettere pontificie di fatto extravagantes.
A prescindere dagli eventuali gradi accademici conseguiti, l’opera riflette un’indubbia competenza in utroque dell’autore, come conferma frate Donato da Sant’Agata sul Santerno ringraziando il fratello Raniero del dono della copia («venerabilis memorie ac fame celeberime dominus Çanghinus karisimus frater vester adhuc trabea carnis indutus in utroque iure sufitientisimus et expertus»: ibid., p. LXII).
Dal momento che all’epoca della stesura del Tractatus la minaccia rappresentata dai boni homines dualisti era svanita da tempo, il manuale lascia intravedere nuovi e in seguito ‘fortunati’ filoni repressivi, su tutti quello di contrasto alla magia, presto declinata quale stregoneria. Il Tractatus ha goduto di considerevole fortuna, sia manoscritta – se ne contano in base a recenti ricognizioni, escludendo le copie parziali, ben quindici testimoni – sia a stampa. Nel clima della Controriforma e a seguito della formazione del S. Uffizio tra il 1568 (anno dell’editio princeps, approntata su impulso di papa Pio V dal domenicano Camillo Campeggi, inquisitore generale del dominio di Ferrara, Modena e Reggio) e il 1584 ne furono realizzate ben quattro edizioni (una di queste, curata da Brunoro Sole, con fallace attribuzione al giurista Giovanni Calderini: Tractatus novus aureus et solemnis de haereticis clarissimi famossisimique iuricons. domini Ioannis Calderini, Venetiis 1571, cc. 4r-49r), integrate da puntuali e aggiornati corredi procedurali forniti dagli editori, senza espungere i precedenti commenti. Così l’edizione romana del 1579, riprendendo le addictiones di Campeggi, fu integrata con le adnotationes di Diego da Simancas, entrambe poi confluite nell’edizione curata cinque anni più tardi da Francisco Peña all’interno della sezione De iudiciis criminalibus Sanctae Inquisitionis del Tractatus universi iuris (XI, 2, Venetiis 1584, cc. 234ra-279va).
Fonti e Bibl.: I. Affò, Notizie intorno la vita e le opere di Basinio Basini, in Basini Parmensis poetae opera praesantiora, II, 1, Rimini 1794, pp. 214 s.; L. Tonini, Della storia civile e sacra riminese, III, Rimini nel secolo XIII, Rimini 1862, pp. 319, 324 s., IV, Rimini nella signoria de’ Malatesti. Parte prima che comprende il secolo XIV, 1880, pp. 93, 118, 375-377; C. Tonini, La coltura letteraria e scientifica in Rimini dal secolo XIV ai primordi del XIX, I, Rimini 1884, pp. 32-38; H.C. Lea, A history of the Inquisition of the Middle Ages, II, New York 1887, p. 242; J. Hansen, Zauberwahn, Inquisition und Hexenprozess im Mittelalter und die Entstehung der grossen Hexenverfolgung, München-Leipzig 1900, pp. 268 s.; A. Dondaine, Le manuel de l’inquisiteur (1230-1330), in Archivum Fratrum Praedicatorum, XVII (1947), pp. 85-194 (in partic. pp. 121-124); F. Viroli, Statuti riminesi del XIII e XIV secolo, in Studi romagnoli, XIV (1963), pp. 355-371 (in partic. p. 369); C. Piana, Chartularium Studii Bononiensis sancti Francisci (saec. XIII-XVI), Ad Claras Aquas 1970, pp. 168, 392; Il «De officio inquisitionis». La procedura inquisitoriale a Bologna e a Ferrara nel Trecento, a cura di L. Paolini, Bologna 1976, pp. V-VII, XVII s., XXVI, XXXIII s.; J. Dalarun, Hérésie, Commune et inquisition à Rimini (fin XIIe – début XIVe siècle), in Studi medievali, s. 3, XXIX (1988), pp. 641-683 (in partic. pp. 666-670); A. Errera, Processus in causa fidei. L’evoluzione dei manuali inquisitoriali nei secoli XVI-XVIII e il manuale inedito di un inquisitore perugino, Bologna 2000, pp. 112-115, passim; P. Diehl, An inquisitor in manuscript and in print: the tractatus super materia hereticorum of Zanchino Ugolini, in The book unbound. Editing and reading medieval manuscipts and texts, a cura di S. Echard - S. Partridge, Toronto-Buffalo-London 2004, pp. 58-77; W. Benziger, Die rechtliche Entwicklung der Ketzerinquisition im 14. Jahrhundert, in Stagnation oder Fortbildung? Aspekte des allgemeinen Kirchenrechts im 14. und 15. Jahrhundert, a cura di M. Bertram, Tübingen 2005, pp. 281-298 (in partic. pp. 291, 295, 297); R. Parmeggiani, Inquisizione e frati Minori in Romagna, Umbria e Marche nel Duecento, in Frati minori e inquisizione. Atti del XXXIII Convegno..., Assisi... 2005, Spoleto 2006, pp. 113-150 (in partic. pp. 120, 124, 129, 148); G. Federici Vescovini, Medioevo magico. La magia tra religione e scienza nei secoli XIII e XIV, Torino 2008, pp. 297-311; V. Lavenia, Zanchino Ugolini (Ugolino Zanchini, Z. di U. da Rimini), in Dizionario storico dell’Inquisizione, III, Pisa 2010, pp. 1713 s.; R. Parmeggiani, I consilia procedurali per l’Inquisizione medievale (1235-1330), Bologna 2011, pp. 218-220; Id., Ordini mendicanti nella città e nella diocesi, in Storia della Chiesa riminese, II, Dalla lotta per le investiture ai primi anni del Cinquecento, a cura di A. Vasina, Villa Verucchio-Rimini 2011, pp. 257-292 (in partic. pp. 283 s.); Id., «Explicatio super officio inquisitionis». Origini e sviluppi della manualistica inquisitoriale tra Due e Trecento, Roma 2012, pp. LX-LXIII; L. Paolini, Le piccole volpi. Chiesa ed eretici nel Medioevo, a cura di R. Parmeggiani, Bologna 2013, passim; R. Parmeggiani, Z. di U. (Zanchinus Ugolini Senae de Porta Sancti Petri de Arimino), in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), II, Bologna 2013, pp. 2080 s.; L.J. Sackville, The inquisitor’s manual at work, in Viator, XLIV (2013), 1, pp. 201-216 (in partic. pp. 211, 213, 216); D. Hill, Inquisition in the fourteenth century. The manuals of Bernard Gui and Nicholas Eyemrich, York 2019, pp. 5, 14, 25, 46; J. Moore, Inquisition and its organisation in Italy, 1250-1350, York 2019, ad indicem.