ENRICHETTI (de li Arigitti, di Enrichetto, Enrigetti, Enrigitti, de Henrigittis, Righetti, Righitty), Zaccaria
Figlio di Bartolomeo di Zaccaria Enrichetto, detto anche de' Banditori (nipote quindi di Zacharia Macharini Enrichetti, cittadino bolognese e, come lui, notaio, di cui restano alcune testimonianze documentarie prodotte tra l'aprile e il giugno 1381 per ammissioni di notai alla Società nonché gli atti di un processo del 1384 per l'attribuzione del giuspatronato di S. Maria della Viola), e di Giovanna di ser Ranuccio da Monteveglio (o de Montebellis), l'E. nacque a Bologna intorno al 1423 da una nota famiglia bolognese che contava già a quell'epoca diversi notai; cosi si esprimeva infatti egli stesso, dicendosi ispirato a comporre la sua opera sulla storia della Società dei notai di Bologna, per l'appunto, "a maioribus: patre, avo, proavo aliisque multis notariis sui generis".
Dal 1455 fissò la propria abitazione nella parrocchia di S. Martino della Croce de' Santi. Si sposò tre volte: con Iacopa prima, quindi con Pantasilea di Bonifacio Baldi, e da esse ebbe una dote considerevole ed un possedimento fondiario in località Pollicino. Da Iacopa ebbe ben sette figli (Giovanni, Cambio, Ercole, Bartolomeo, Baldassarre, Vincenza e Camilla); altri quattro (Gentile, Ippolita, Niccolò e Michele) gli diede la terza moglie, Francesca di Bartolomeo Natali, che gli portò in dote, oltre ad una considerevole sostanza in denaro, un altro possedimento in S. Bartolo.
Fatto notaio dal conte palatino lacopo Calderini il 19 nov. 1443 per gli atti di Nicola Mezanici, e a sua volta autorizzato a crearne di nuovi il 24 dicembre dello stesso anno (atti di Francesco da Malvasia), fu, il giorno successivo, nominato notaio del Comune dal vicepretore dello stesso, Alberto Agazoni da Carpi (Arch. di Stato di Bologna, Notarile, b. 13, prot. 16, c. 1r: atto del 14 genn. 1454). Dal 1444 ha dunque inizio la sua attività di notaio, ampiamente documentata fino all'anno 1509 nei protocolli dell'Archivio di Stato di Bologna; gli atti da lui rogati certificano l'attività patrimoniale e documentaria in genere di personaggi tra i più noti della città a quel tempo, tra i quali spicca il nome di Galeazzo Marescotti (per il padre, Ludovico Marescotti, l'E. compose dei versi in occasione della morte, il 31 ag. 1459). Per lui l'E., che il Marescotti considerava come proprio notaio di fiducia, rogò moltissimi documenti, dal 1458 all'ottobre del 1502, tra i quali i molti testamenti che si susseguirono negli anni 1461, 1463, 1478 (il 22 luglio ed il 10 ottobre, quando il testatore si preoccupò di fare lasciti anche in favore delle figlie del suo notaio), 1487, 1488 e 1492; i tre codicilli, rispettivamente del 12 e del 28 giugno 1501 e del 17 ott. 1502; nonché la disposizione testamentaria del Marescotti in favore della sua prima moglie Caterina, il 9 ag. 1475, il contratto con cui quello affidava l'educazione dei suoi figli al professOre modenese Antonio di Giovanni di Riccio e tanti altri di natura patrimoniale e matrimoniale.
All'interno della Società ebbe poi diversi incarichi di responsabilità; fu correttore dei notai negli anni 1464, 1474, 1490 e 1506; massaro delle arti nel secondo semestre del 1460 e nel primo del 1461 (quando incappò in un incidente che vide la sua attività sottoposta al giudizio dei sindaci dell'arte insieme con quella del notaio Bartolomeo Panzacchi) e nel 1506; uno degli anziani nel novembre 1456, nel maggio 1471, nel settembre 1482 e nel gennaio 1487; in un lungo arco di tempo, tra il 1468 ed il 1480, figura diverse volte come "notarius alme universitatis notariorum". Il 14 sett. 1471 ebbe da Sisto IV l'ufficio di camerlengo perpetuo della Fabbrica di S. Petronio, della quale dall'anno precedente era presidente il suo più illustre amico e cliente, Galeazzo Marescotti, che avrebbe ricoperto la carica fino al 1502.
L'E. mori presumibilmente nel 1509 o poco dopo tale anno, che è l'ultimo di cui si conservino i suoi rogiti; volle essere sepolto nella chiesa di S. Domenico, dov'era la tomba della sua famiglia e alla quale lo legava l'esperienza, per lui fondamentale, di storico della Società dei notai.
Quando era massaro della Società condusse un'accurata indagine nell'archivio di quella (probabilmente servendosi come guida degli inventari trecentesc , hi che, a giudicare dai risultati ottenuti, dovevano essergli noti), al fine di reperire tutti i documenti che potessero comprovare i diritti di proprietà dell'arte sul considerevole patrimonio immobiliare da essa posseduto e che vide come risultato la composizione del Libellus sive compendium conditionis et antiquitatum civitatis Bononie ac originis presentis universitatis notariorum et bonorum et iurium ac virorum illustrium eiusdem, dedicata proprio a quel Galeazzo Marescotti cui lo legavano, come si è visto, tante esperienze della sua vita. Ciò avveniva proprio poco tempo dopo che la Società aveva acquistato da Pietro di Antonio Ghierzo, il 4 marzo 1473, una bottega esistente nel palazzo del capitano del Popolo e destinata a divenire il luogo di conservazione dei suoi documenti, a proposito della quale l'E. stesso si esprimeva dicendo che essa era "deputata pro retinendis iuribus diete universitatis et in ea conveniunt ad quoloquium corector, consules, notarii et corum officiales pro occurrentibus negotiis publicis et privatis".
L'intento di riordinare e porre per esteso quella che costituiva la memoria storica dell'arte è evidente, accanto naturalmente a quello di provare, attraverso i titoli giuridici da lui raccolti, la legittimità del possesso degli immobili ed in particolare del Palazzo sulla piazza Maggiore, nonché di dimostrare la linea di continuità esistente tra l'antica "societas notariorum" di età comunale e la Società attiva alla fine del sec. XV. Il merito principale dell'E. fu proprio quello di recuperare tanta parte di questo materiale, che col tempo era stato dimenticato, perché concentrata, "dispersa inter alias scripturas", nell'archivio dei domenicani di Bologna, con i quali la Società mantenne sempre una serie di rapporti privilegiati: in mezzo a questo si trovava nientedimeno che lo stesso testamento di Rolandino de' Passeggeri, ritenuto dai più come il vero fondatore ed organizzatore della Società. Ed è alla figura di Rolandino cui egli guarda con maggiore interesse nel compilare il suo Libellus. Dicerto il clima che si era creato in Bologna alla metà del sec. XV, immediatamente dopo la stesura dei cosiddetti "capitoli di Niccolò V" del 1446, che riconoscevano alla città una sorta di diarchia politico-amministrativa, in equilibrio tra potere papale e governo cittadino, e la crescita del potere di Giovanni Bentivoglio sulla soglia degli anni Settanta, hanno lasciato intravedere, in parte della critica storiografica (Tamba, La Società, p. 83), la possibilità che, proprio con l'esaltazione ed il continuo richiamo all'attività dell'autoritario Rolandino come guida unica ed indiscussa dell'associazione dei notai, espressi dall'E. nel suo Libellus, la Società intendesse manifestare velatamente la propria adesione al tentativo di affermazione da parte della nuova signoria.
L'opera, che si conserva manoscritta per mano del copista Girolamo di Giovanni Zani anch'egli notaio bolognese, tuttora inedita, nel codice 644 della Biblioteca del Museo civico di Bologna, nonostante alcune obiezioni di sostanziale acriticità nell'utilizzazione delle fonti (e si noti che dell'E. si conosce anche una delle tante trascrizioni quattrocentesche del Privilegium theodosianum, ritenuto certamente autentico da lui come dai suoi contemporanei, di seguito al quale egli redasse un elenco dei santi i cui corpi erano al suo tempo conservati nelle chiese della città: Bologna, Bibl. univ., ms. 125, n. 1) e di scarsa obiettività, soprattutto nel voler identificare in Rolandino "il principale ispiratore di una corporazione di soli notai guelfi" (Liber sive matricula, p. LII), gode però nell'insieme di una buona ed attenta considerazione. All'autore è riconosciuta un'indubbia "capacità di sintesi sorretta da un uso della lingua latina rapido ed efficace, spesso anche non inelegante" (Ortalli, Notariato, p. 173), un procedere ordinato nella narrazione, una considerevole cultura storica. Egli risulta abile nello scandire il suo racconto sul filo delle vicende più significative della storia della sua città, e ciò riesce bene soprattutto nella narrazione dei fatti cronologicamente da lui più distanti: la leggenda petroniana, la morte di Matilde di Canossa, la prigionia di re Enzo, le lotte intestine tra Geremei e Lambertazzi, mentre forse è proprio con il comparire di Rolandino sulla scena della città felsinea a metà del Duecento ed il nascere della Società dei notai che esso diviene meno articolato e vivace.
Della prima parte - una sorta di introduzione alla storia dell'arte, che ripercorre, per l'appunto, i capitoli più significativi delle vicende cittadine - si conservano tuttora le minute stese dallo stesso Enrichetti. Questo gli assicura la paternità anche di quella sezione del Libellus non propriamente dedicata al notariato bolognese. L'attribuzione sarebbe comunque confermata dal confronto con altre opere dell'E. a carattere storico: un De imperiali origine et meritu beati Petroni (con il quale è probabilmente da mettere in relazione la trascrizione del falso teodosiano), una vita di s. Petronio e due brevissimi componimenti, il De vetustis Bononiepreconiis et casibus ed il De origine civitatis Bononie, che vanno entrambi considerati come fasi preliminari per la stesura dell'opera principale. Con esse ci troviamo di fronte, infatti, ad una tecnica compositiva molto vicina a quella riscontrabile nel Libellus e ai medesimi autori dai quali l'E. ama trarre le proprie citazioni: Virgilio (Eneide e Bucoliche), Tito Livio, Plinio il Vecchio e Silio Italico.
Alla morte dell'E. la sua eredità passò, al figlio primogenito Giovanni, che fu anche l'ultimo discendente in linea diretta dell'illustre famiglia di notai. Quest'ultimo, il 5 genn. 1531, con un duplice atto, dapprima adottò il giovane Andrea di Giacomo Pietramellara, figlio di Giacomo Pietramellara giunto a Bologna sul finire del sec. XV ad occupare, nel 1496, la cattedra di astronomia e matematica di questa università, quindi testò in suo favore costituendolo suo erede universale. È questo il motivo per cui gran parte delle carte della famiglia Enrichettil ed in particolare proprio dell'E., si trovano ancora oggi nell'archivio dei discendenti del giovane adottato.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Notarile, Righetti Zaccaria, bb. 1-13, cfr. La Società dei notai di Bologna, a cura di G. Tamba, Roma 1988, pp. 20, 83, 91, 126, 132, 141 s., 233 ss., 241, 246, 275, 295; C. Ghirardacci, Della hist. de Bologna…, in Rerum Italic. Script., 2 ediz., XXXIII, 1, a cura di A. Sorbelli, p. 172; Liber sive matricula notariorum Comunis Bononiae (1219-1299), a cura di R. Ferrara-V. Valentini, Roma 1980, pp. LI s., LV; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, III, Bologna 1783, pp. 270 s.; G. B. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna ossia Storia cronologica de' suoi stabili pubblici e privati, II, Bologna 1869, p. 221; V, Bologna 1873, p. 149; L. Frati, Galeazzo Marescotti de' Calvi nella vita pubblica e privata, in Atti e mem. della R. Deputaz. di storia patria per le prov. di Romagna, s. 3, XXI (1903), pp. 143, 146, 149 ss., 162, 187, 191-197, 199, 203, 236-241; Id., Di alcune opere sconosciute di Gabriele Poeti, Benedetto Morandi e Z. Righetti, ibid., XXVI (1908), pp. 3, 13 ss.; M. Fanti, Frammenti dell'archivio Vassé Pietramellara nella Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, in L'Archiginnasio, LXIII-LXIX (1968-70), pp. 519, 522, 524, 526 s.; G. Vasoli, Ilnotaio nella vita cittadina bolognese (secc. XIIXV), in Notariato medievale bolognese, II, Roma 1977, p. 136; Gh. Ortalli, Notariato e storiografia in Bologna nei secoli XIII-XVI, ibid., pp. 169-174; G. Mazzatinti, Inventario dei mss. delle Biblioteche d'Italia, XV, p. 136; XIX, p. 20; LXXXII, p. 16.