SIRI, Vittorio (Francesco)
– Nacque a Parma il 2 novembre 1608 da Ottavio, uomo d’arme al servizio della Repubblica di Venezia, e da Maria Caterina. Fu battezzato con il nome di Francesco e avviato alla carriera ecclesiastica, assumendo il nome di Vittorino o Vittorio (denominazione che infine prevalse). Prese i voti il 25 dicembre 1625, nel monastero parmense di S. Giovanni Evangelista, dell’Ordine benedettino cassinense. Il fratello minore, Paolo Emilio (nato nel 1614), seguì invece le orme paterne, entrando nelle milizie della Serenissima. Dubbia l’origine dei Siri di Parma (di Ottavio e dei suoi fratelli, Filippo e Piergiovanni) e così pure la natura del rapporto da loro tessuto con la signoria farnesiana: un più antico Paolo Emilio fu nel novero degli stretti conoscenti di Annibal Caro, durante i suoi ultimi anni romani (spesi al servizio del cardinale Alessandro Farnese nel 1562-63). Anche Vittorio, giovane «d’ingegno vivacissimo ed acre» (Affò, 1797, p. 206), nel giudizio del suo primo biografo, avrebbe rivelato grande passione per gli studi letterari e filosofici, oltreché per la teologia e la matematica (cui dedicò le sue prime pubbliche dissertazioni, 1633-34). Completata la sua formazione, sotto la guida dei padri Benedetto Trecca e Paolo Scotti e del matematico Alfonso da Iseo (esponenti del cenacolo di S. Giovanni Evangelista e della connessa Accademia degli Elevati), Siri soggiornò brevemente a Ferrara e venne quindi destinato al monastero veneziano di S. Giorgio (1638 ca). Lì insegnò matematica, sebbene il suo prevalente interesse fosse nel mentre divenuto un altro: la storiografia, o meglio la narrazione diaristica. Nel 1640, sotto lo pseudonimo di Capitan Latino Verità, diede alle stampe Il Politico Soldato Monferrino, incentrato sulle vicende belliche di Casale (delle quali il padre Ottavio era stato un minore protagonista). Specie in ragione del suo colore filo-francese, l’opera non tardò a suscitare sprezzanti critiche, a partire dallo stesso Ordine benedettino: Cesare Gotho Spadafora, confratello di Siri, è verosimilmente l’autore de Lo Storico Politico indifferente, opera cui quest’ultimo replicò tramite Lo Scudo e l’Asta del Soldato Monferrino (Venezia, 1641), ricorrendo a uno pseudonimo ennesimo (quello di Collenuccio Nicocleonte). Questa volta la reazione più energica fu quella del partito francese, in cui Siri venne cooptato, guadagnandosi i favori della corte di Parigi e dei suoi massimi rappresentanti in Italia, fra i quali il cardinale Alessandro Bichi. Questi era il fiduciario di Mazzarino nei negoziati connessi alla guerra di Castro, i quali contrapponevano Urbano VIII Barberini alla lega filo-francese (siglata da Venezia, Firenze e Modena, sostenitrice delle rivendicazioni dei Farnese sul Ducato di Castro). Grazie alla ricca messe di carteggi e scritture diplomatiche cui poteva ora accedere, Siri mise mano al Mercurio politico, ovvero Historia de’ tempi correnti, lavoro destinato a conferirgli grande celebrità in Italia e in Oltralpe, che lo impegnò fino al 1682, anno in cui diede alle stampe il quindicesimo volume dell’opera. Il Mercurio è in effetti una collazione ragionata di documenti di varia origine e talora di notevole peso politico-diplomatico, che si attiene ancora al modello annalistico, che è fragile sul piano del rigore storiografico: farraginosa, priva di un impianto concettuale ben definito, di una visione sistematica degli eventi e dei relativi nessi causali, oltreché partigiana, chiaramente ispirata a un altro bestseller dell’anti-spagnolismo, i Ragguagli di Parnaso di Traiano Boccalini (1615). D’altra parte, scrivendo all’abate Valeriano Castiglione, storiografo della corte sabauda (giugno 1643), lo stesso Siri così commentava l’imminente pubblicazione del suo lavoro: «spero di incontrare il gusto et applauso universale, se non nello stile, almeno nel soggetto dell’Opera, ripiena tutta di cose recondite et arcane, havute da’ Ministri de’ primi Principi d’Europa» (Affò, 1797, p. 209). Il manoscritto del primo tomo giungeva frattanto all’attenzione di Mazzarino, fruttando un piccolo vitalizio e gli incarichi di elemosiniere e storiografo regio; arrivava poco dopo alle stampe, a Venezia (per i tipi Baglioni, ma con fittizie indicazioni: Casale, per Christoforo della Casa, 1644). Ulteriori donativi vennero elargiti a Siri da Gaston d’Orléans, dedicatario del primo volume, e da Giovanni IV di Portogallo; emolumenti tuttavia non ancora sufficienti a consentirgli di abbandonare la vita claustrale per dedicarsi a tempo pieno alla storia, o meglio allo spionaggio internazionale: «per costruirsi una carriera nel torbido mondo dei maneggi politici e della letteratura militante» (Bondi, 2012, p. 154). La prima vicenda nella quale Siri fu implicato è quella di Ferrante Pallavicino, altro controverso intellettuale parmense, residente a Venezia, dove fu posto agli arresti in ragione del suo acceso anti-curialismo. L’episodio, degenerato nella fuga, nella nuova cattura e infine nella pubblica esecuzione di Pallavicino (Avignone, marzo 1644), mosse l’autore di un anonimo pamphlet (L’Anima di Ferrante Pallavicino) a tentarne la riabilitazione e ad accusare Siri di essere un prezzolato imbroglione. Si rafforzava insomma la largamente condivisa convinzione che Siri fosse il segreto informatore del nunzio Francesco Vitelli, primo motore delle indagini su Pallavicino.
Sulla scorta della documentazione vaticana, Claudio Costantini ha particolarmente indagato questo aspetto, confermando l’effettivo coinvolgimento di Siri nell’ 'affaire Pallavicino', negozio mediante il quale egli (da tempo dispensatore di «ambigui servizi» alla Curia romana: di informazioni su Venezia, Parma e Parigi), avrebbe mirato a ottenere un «titolo abatiale», per essere così sollevato dagli obblighi monastici; ricompensa che il cardinale Antonio Barberini si rifiutò invece di concedergli (Costantini, 2004, par. c1). La pubblicazione del primo tomo del Mercurio, fortemente anti-barberiniano, in ragione della vicenda di Castro («non voglio che i Francesi mi possano rimproverare ch’io non mi guadagni quel poco di stipendio che mi danno per Historiografo di Sua Maestrà», precisava lo stesso Siri, in Affò, 1797, p. 209), avrebbe quindi non solo confermato il cardinal nepote nei suoi sospetti, ma addirittura indotto taluni (entro il suo più stretto entourage) a concepire l’assassinio di Siri. Il riavvicinamento fra Urbano VIII e Mazzarino e poi la morte del pontefice avrebbero infine suggerito l’abbandono del feroce proposito. D’altra parte, con l’elezione di Innocenzo X Pamphilj (1644) e l’arrivo a Venezia del nuovo nunzio (Angelo Cesi), Siri tornò al suo ruolo di informatore, e per giunta ottenne il sospirato titolo di abate. Conseguentemente mutò l’atteggiamento della Serenissima nei suoi riguardi: diffidato dall’intrattenere relazioni con l’aristocrazia veneziana, fu prima costretto ad allontanarsi dalla città, quindi (complice la pubblicazione del secondo tomo del Mercurio) a non farvi più ritorno (1647). Nell’ufficiosa veste di referente di Mazzarino, riparò presso le corti italiane con le quali era più intrinseco (di provata fede anti-barberiniana: Modena, Parma e Firenze); si recò quindi per la prima volta a Parigi (1649), dove si offrì di compiere in incognito (con l’identità di Giulio Rossi) alcune missioni in Polonia, Svezia e Danimarca (provvisto già dei necessari salvacondotti, fornitigli dal granduca di Toscana). Le sue precarie condizioni di salute lo costrinsero invece a tornare a Modena (1650), mentre la necessità di recuperare i tre tomi del Mercurio di cui aveva già programmato l’edizione (1652-55) lo ricondusse prima a Firenze, poi a Lione. Nel mentre si consumava l’ennesima querelle scoppiata a Venezia attorno al Mercurio: G.B. Birago Avogadro, veneziano di origine genovese, da sempre critico nei confronti di Siri (nonché probabile estensore delle Considerazioni formulate un decennio prima contro il Soldato Monferrino), aveva dato alle stampe il Mercurio veridico, overo Annali universali d’Europa (1648), grossolano rimaneggiamento del lavoro di Siri. La dura replica di quest'ultimo (Bollo di D. Vittorio Siri) si fece attendere fino al 1653, anno del suo ritorno a Parigi e del suo significativo avanzamento in quella corte: fu questa volta insignito di benefici sostanziosi (un priorato e nuovi vitalizi) e nel 1657 divenne residente dei Farnese presso Luigi XIV. Ciò non sopì affatto la guerra dei torchi di cui Venezia era teatro; la competizione – prima essenzialmente commerciale – fra Siri e Birago (un fatto di «sottili giochi d'alchimia sulla quantità di notizie da offrire al pubblico e sull'entità del prezzo di vendita» dei rispettivi lavori) assunse anzi uno spiccato colore politico: nella considerazione ormai corrente, «filofrancese il Siri, moderatamente filospagnolo […] il Birago» (Castronovo, 1968, pp. 621 s.). I rapporti di Siri con la Corona di Francia erano del resto ormai tali da suggerire a Mazzarino di condurlo al proprio seguito anche in occasione della sigla della Pace dei Pirenei (1659). Dopo la scomparsa del suo protettore, Siri tornò invece a occuparsi prevalentemente del Mercurio (di cui pubblicò ulteriori dieci tomi, fra il 1667 e il 1682) e a un tempo pose mano al non meno impegnativo progetto delle Memorie recondite, opera dedicata ai primi quattro decenni del Seicento (ovvero all’antefatto delle vicende ricostruite nel Mercurio). «Il mio scopo», scrisse al cardinale Decio Azzolini (pro-segretario di Stato, cui si era affidato per «poter godere congiuntamente la pensione Benedettina e la Badia Cistercense» di cui risultava ormai titolare) «è di far vedere che gli Historici de questi tempi hanno tutti ignorato il più importante ed essentiale. Il primo tomo sarà solo per le facende d’Italia dal 1601 sino alla successione di Nivers al Ducato di Mantova» (Archivio apostolico Vaticano, Segreteria di Stato, Part., 47, cc. 537r-541v). Della bontà di questo lavoro, ovvero dell’opportunità di trarne maggiore attenzione storiografica per Genova e per il partito filo-francese a un tempo, si convinse il marchese Gio. Luca Durazzo (ambasciatore della Repubblica a Parigi, 1659-61, 1673-74), il quale si fece carico della prima edizione dell’opera (affidata alla stamperia di Bartolomeo Cotta, sita a Ronco Scrivia). L’impresa si arrestò però al secondo volume (1677), a beneficio delle successive edizioni francesi (di Parigi e Lione, che invece giunsero a contemplare otto tomi, 1677-79). Si era frattanto accesa un’ennesima polemica, quella fra Siri e il letterato sabaudo Emanuele Tesauro (1668-73), sebbene il terreno della contesa fosse ormai consueto: quello della notizia e del suo fiorente mercato (ovvero dell’esclusività dell’informazione politica). Alla piccata Lettera informativa indirizzatagli da Tesauro (1668), Siri replicò con la Risposta del sergente maggiore Cristoforo Silva (1671) e con i Controriflessi del sergente maggiore Cristoforo Silva (pubblicati sotto il nome di Vercellino Maria Visconti, 1673). Neppure la scomparsa di Tesauro (1675) sopì definitivamente la diatriba, che ormai contrapponeva Siri all’ambiente intellettuale più vicino alla corte torinese; la pubblicazione delle Memorie recondite, anzi, la rinfocolò, e indusse Siri a pianificare di tornare in Italia, per recarsi anzitutto in Piemonte. Il proposito era ancora in piedi nell’autunno 1685, quando la morte lo colse a Parigi (6 ottobre), impedendogli di concludere il tomo del Mercurio incentrato sulla Francia di Mazzarino (sulla stagione della Fronda). Lo testimonia il manoscritto conservato presso la Biblioteca nazionale di Firenze: a partire dal 1684, infatti, Siri inviò al granduca di Toscana gran parte delle scritture politiche collazionate nei decenni. La sua biblioteca fu invece acquisita dal monastero di S. Giovanni Evangelista di Parma, eredità cui posero particolare cura i padri Angelo Arcioni (suo amico e corrispondente di vecchia data, nonché presidente della Congregazione cassinense) e Benedetto Bacchini (erudito e stretto collaboratore di Arcioni).
Il carteggio di Siri (1608-85), infine, è oggi parte dei fondi della Biblioteca Palatina di Parma. Quanto alla sua fortuna letteraria, tra Italia e Oltralpe (il Mercurio conobbe una riduzione francese in 24 volumi, le Memorie recondite furono invece interamente tradotte in francese, ad opera di Jean Baptiste Requier), complessivamente non lusinghiero il giudizio degli immediati posteri: L.A. Muratori ritenne Siri autore tutt’altro che accurato anche in fatto di stile, G. Tiraboschi ne criticò soprattutto la frammentarietà (l’incapacità di elaborare una narrazione fluida). Pur condividendo gli assunti fondamentali di queste posizioni, la critica più recente ha identificato in Siri e in alcuni suoi contemporanei (il ferrarese Maiolino Bisaccioni, il vicentino Galeazzo Gualdo Piorato) l’ultima generazione di eruditi italiani che accettò di cimentarsi con la storia universale. Nel parere di Sergio Bertelli, inoltre, con le opere di Siri e dei suoi emuli, da un lato l’ideale «di una storiografia aulica e razionalistica finiva […] miseramente», dall’altro è indubbio che «questi uomini inventarono […] qualcosa di nuovo, rispondente al loro tempo: il giornalismo» (Bertelli, 1973, p. 218). Siri avrebbe cioè abilmente coniugato il modello boccaliniano (degli avvisi e dei ragguagli) con quello dei coevi mercuri francesi: pubblicazioni periodiche incentrate sugli avvenimenti politici correnti e caratterizzate da uno stile tanto dimesso quanto accattivante (capace di fare presa su un ampio pubblico di lettori). «Ho voluto battezzarlo col titolo di Mercurio», aveva in effetti egli stesso puntualizzato, «per introdurre questo lodevole uso degli Oltramontani in Italia» (Affò, 1797, p. 209).
Fonti e Bibl.: Archivio apostolico Vaticano, Segreteria di Stato, Particolari, vol. 47, cc. 87r, 537r-540v, 578r-580v; A. Caro, Delle lettere familiari, In Padova 1725, I-II, pp. 355-359; I. Affò, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, Parma 1797, t. V, pp. 205-336.
V. Castronovo, Birago Avogadro (Avogadro), Giambattista, in Dizionario biografico degli Italiani, X, Roma 1968, pp. 620-623; S. Bertelli, Ribelli, libertini e ortodossi nella storiografia barocca, Firenze 1973, pp. 96-115, 204 ss.; G. Ruffini, “Une superchérie typographique dévoilée”. Le Memorie recondite di Vittorio Siri e la tipografia di Ronco Scrivia, in Culture del testo, III (1995), pp. 2-22; S. Villani, La prima rivoluzione inglese nelle pagine del Mercurio di Vittorio Siri, in L’informazione politica in Italia (secoli XVI-XVIII), a cura di E. Fasano Guarini - M. Rosa, Pisa 2001, pp. 137-172; C. Costantini, Fazione urbana: sbandamento e ricomposizione di una grande clientela a metà Seicento, Genova 2004, parr. 1a-1m, 2a-2f, 3b-31, a1-a3, b1-b5, c1-c4, g4, i1-i4; F. Bondi, La festa e la storia. Cultura e letteratura nel Seicento, in Storia di Parma, a cura di G. Ronchi, IX, Parma 2012, pp. 154-156.