FLECCHIA, Vittorio
Figlio di Giovanni, minatore, e di Orsola Bello, nacque a Magnano, presso Biella, il 18 apr. 1890. Si trasferì dodicenne a Torino per lavorare come decoratore e cinque anni dopo fu schedato come socialista antimilitarista e rivoluzionario in contatto con militanti anarchici.
Membro della Federazione giovanile socialista, assunse nel 1908 l'incarico di segretario della Lega pittori e decoratori del capoluogo, prima di partire per il servizio militare nel 1910. Caporalmaggiore nel 1911, si congedò due anni dopo e, di lì a poco, emigrò a Losanna in cerca di lavoro. Qui ricoprì l'incarico di segretario della sezione socialista tra gli operai italiani della Svizzera francese e del Comitato di propaganda antimilitarista. Nell'ottobre del 1916 fu tra i partecipanti al congresso socialista di Zurigo, accanto ad Angelica Balabanoff, F. Misiano e A. Vuattolo.
In quella sede si riconobbe nelle posizioni espresse dalla Sinistra antibellicista a Kienthal, che, attribuendo al capitalismo la responsabilità del conflitto, riteneva possibile un movimento rivoluzionario nel dopoguerra.
Nel 1916, richiamato alle armi e riformato per endocardite dall'agenzia consolare di Losanna, eluse la seconda visita e fu perciò dichiarato renitente. Sottoposto a vigilanza speciale, continuò egualmente l'attività politica: prese infatti la parola, nell'agosto del 1917, a Montreux, sempre in Svizzera, al convegno dell'Union des sans patrie, l'organizzazione dei disertori di tutte le nazionalità che aveva contribuito a creare. Espulso il 24 marzo 1919 ed estradato in Italia il 7 aprile, fu arrestato per renitenza e ricondotto al 4° reggimento fanteria di Torino, dove restò fino all'agosto quando fu congedato; il processo che seguì a Biella in ottobre lo vide assolto per insufficienza di prove.
Già dal settembre aveva assunto l'incarico di dirigente della Federazione nazionale edili della provincia di Vicenza e in quella città resse da segretario la Camera del lavoro fino alla distruzione operata, nell'agosto del 1922, dalle squadre fasciste.
Fu un periodo di dure lotte, che gli costarono due denunce, una per comizio e corteo non autorizzati ed una per oltraggio al re, ed una condanna in contumacia a quattro mesi, nel maggio del 1922, per aver esploso dei colpi di pistola contro alcuni aggressori.
Nel frattempo, da militante della Sinistra socialista, era passato nel 1921 nelle fila del neonato Partito comunista d'Italia. Il suo lavoro si svolgeva ancora nell'ambito sindacale e, tra il 16 e il 18 giugno 1922, rappresentò il Veneto al convegno nazionale della FIOM (Federazione italiana operai metalmeccanici). Lasciata Vicenza, il F., come tanti altri militanti, entrò in semiclandestinità: a Milano venne inserito nel Comitato sindacale comunista e, al tempo della marcia su Roma, ricopriva ruoli di responsabilità nella locale Federazione comunista e nella Camera del lavoro. A questo punto, come componente della vasta maggioranza di bordighiani ed ex ordinovisti, era ormai uno dei massimi dirigenti del partito, tanto da essere inserito, al II congresso (Roma 1922), nel comitato centrale. In questa veste compì diversi soggiorni nell'Unione Sovietica, dove partecipò, nel 1923, a corsi presso l'università di Leningrado, insieme con altri dirigenti comunisti italiani.
Nel biennio che seguì prese parte alla discussione interna al partito e al Comintem e il 18 apr. 1924 firmò con A. Gramsci, P. Togliatti e altri membri dei comitato centrale del partito, un documento che metteva in evidenza i contrasti esistenti con la Sinistra di A. Bordiga. Alla conferenza segreta di Como, nel maggio successivo, in cui si confrontarono ben tre mozioni, il F., che usava lo pseudonimo Cartelli, si schierò ancora con la maggioranza di Gramsci, Togliatti, Camilla Ravera, A. Leonetti.Organizzatore per il partito nelle tre Venezie e segretario interregionale, ricercato come sovversivo antifascista, partecipò, nel marzo del 1925, con lo pseudonimo di Viola, alla conferenza d'organizzazione dell'Internazionale comunista. Delegato a Mosca al VI plenum dell'Internazionale nel febbraio del 1926, fu presente anche il 22 febbraio all'incontro con Stalin della delegazione italiana, che fu decisivo nel distacco di Bordiga.
Nello stesso anno, ancora con il cognome di Viola, svolse una relazione al congresso di Lione sulle iscrizioni criticando i ritardi con cui procedeva la cosiddetta bolscevizzazione, che avrebbe dovuto articolare il partito in cellule. Confermato nel comitato centrale e inserito nell'ufficio di organizzazione, tornò in Unione Sovietica con compiti di controllo sui corsi di comunismo dell'Accademia di Leningrado e sugli allievi italiani.
Rientrò in Italia nel luglio del 1926, facendo la spola tra Milano e Roma, per raccogliere fondi a sostegno dei minatori inglesi, ma soprattutto per assicurare i collegamenti tra i centri del partito. Arrestato il 9 novembre di quell'anno a Milano e poi tradotto a Novara, venne assegnato a cinque anni di confino il 14 genn. 1927., perché "pericoloso propagandista e violento per le sue idee estremiste ed anarchiche", ma, soltanto cinque giorni dopo, essendone stato individuato il ruolo rilevante, fu di nuovo tradotto a Milano.
Oltre al F., il tribunale speciale inquisiva Gramsci, U. Terracini e gran parte dei dirigenti comunisti per cospirazione, incitamento alla guerra civile, insurrezione e mutamento violento della costituzione e della forma di governo, incitamento all'odio di classe e vari altri capi d'imputazione.
Nel "processone" il F. fu condannato a 15 anni, 4 mesi e 15 giorni di reclusione, che cominciò a scontare a Sassari, dove restò dall'ottobre del 1928 all'ottobre del 1930. Poi passò a Lecce per essere sottoposto a rigorosissima e specifica sorveglianza; qui apprese che era morta in carcere a Perugia la fidanzata Iside Viana (1903-1931). Trasferito a Civitavecchia, uscì per indulto il 4 marzo 1934 e, dopo un breve ritorno a Magnano, scomparve dal 7 ottobre, rendendosi irreperibile. Si recò dapprima a Mosca, come rappresentante italiano al Profintern (internazionale dei sindacati rossi) e poi in Francia.
Qui riprese l'attività propagandistica, sindacale e giornalistica, usando lo pseudonimo di Valbruna. A Marsiglia fu rappresentante della Federazione dei marittimi e dei portuali, oltre che responsabile del lavoro verso l'Italia, componente della segreteria della CGdL (Confederazione generale del lavoro) e segretario dell'Unione popolare delle Bocche del Rodano nel 1939. A Parigi lavorò al giornale La Voce degli Italiani.
Tra i firmatari dell'appello agli Italiani per la riconciliazione nazionale, dopo la vittoria italiana in Etiopia, il F. fu arrestato nel 1940 dalla polizia di Vichy con L. Longo, G. Di Vittorio, M. Montagnana, ed altri dirigenti, tutti internati nel campo di concentramento di Vemet d'Ariège, dove con i più influenti compagni di fede politica fece parte del Comitato italiano. Tradotto in patria il 20 nov. 1941, dopo una carcerazione preventiva di tre mesi, fu confinato alle Tremiti nel marzo del 1942 insieme con altri compagni, tra i quali L. Longo e P. Secchia, fino all'agosto del 1943.
Liberato, fu tra i primi organizzatori della Resistenza ai nazisti, incaricato, già intorno al 15 sett. 1943, di trasmettere le direttive del partito comunista in Val Sesia, in Val d'Ossola, nel Novarese e nel Biellese.
Dirigente del Comitato federale novarese, rappresentava il suo partito nel CLN (Comitato di liberazione nazionale) di quella zona. Svolse ruoli di controllo politico e di collegamento oltre che sulle brigate "Garibaldi" anche su quelle guidate da prestigiosi esponenti autonomi, come il capitano F.M. Beltrami.
Dopo il luglio del 1944 fu inviato a Torino, presso la segreteria federale del partito per curare, come commissario ai sindacati, i rapporti con le fabbriche. Nello stesso tempo faceva parte della Giunta d'intesa tra i partiti e del Comitato sindacale. Lavorò così dall'11 marzo 1945, con L. Grassi e G. Amendola, ad organizzare lo sciopero generale del 18 aprile.
Dopo la Liberazione, fu tra i segretari della Camera del lavoro di Torino e, nel 1946, venne eletto con 13-423 voti deputato del collegio di quella città all'Assemblea costituente.
Membro dei direttivi della CGIL (Confederazione generale italiana del lavoro), del PCI e della Commissione centrale di controllo di questo partito, divenne nel 1947 segretario generale della Camera del lavoro di Venezia, carica che mantenne fino al 1950, quando ormai era già stato nominato senatore di diritto della prima legislatura per meriti antifascisti. Fu confermato senatore alle elezioni del 1953 per la circoscrizione piemontese e fece parte della VII commissione. Gran parte della sua attività si svolse, però, ancora in Piemonte, tanto che, nel 1957-58, ebbe ancora un ruolo nelle lotte contadine delle Langhe e del Monferrato.
Il F. morì a Torino il 19 apr. 1960 e alle esequie partecipò il vecchio compagno di lotte, P. Secchia, che poi criticò assai polemicamente il rilievo, a suo giudizio modesto, dato alla cerimonia da L'Unità.
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