VITTORE di Matteo (Belliniano)
Sono ignoti il luogo e la data di nascita di questo pittore veneziano, attivo nei primi due decenni del Cinquecento. Nacque da un Matteo, tessitore del confinio di S. Pantaleon, e da una Agnese di cui non si dispongono altri documenti all’infuori di un testamento del 21 dicembre 1529 (Ludwig, 1905, p. 78).
Se non fu parente di Giovanni Bellini (come dubitativamente ipotizzato da Fletcher, 1998, p. 131), dovette almeno esserne l’allievo prediletto, a giudicare dall’epiteto di «Belliniano» con il quale si firmò in dipinti (Crowe - Cavalcaselle, 1871, p. 282) e, più di rado, in documenti. Fiorito, quale entità stilistica autonoma, dopo la morte del maestro, egli si distinse per la libera interpretazione dei prototipi belliniani in una chiave ingenuamente drammatica di posture divincolate, forme larghe e cromie zuccherine, modulata sugli esiti estremi della scuola quattrocentesca, non senza sporadici tentativi d’appoggio sulla maniera nuova di matrice giorgionesca, da Sebastiano del Piombo a Palma il Vecchio.
A partire da una intuizione di Giovanni Morelli (per cui cfr. Habich, 1891-1892), è innanzitutto possibile riconoscere Belliniano nel «Victor discipulus» autore dei disegni nn. 121 e 118 del Musée Condé di Chantilly, individuati come ritratti rispettivamente di Bellini e dello stesso Vittore da due iscrizioni, coeve ma probabilmente non autografe, in corrispondenza dei parapetti oltre i quali si profilano i busti. Le medesime aggiunte a penna indicano l’anno della prima attestazione del pittore – il 1505 –, e suggeriscono d’interpretare le due opere grafiche come copie da altrettanti dipinti perduti (Rearick, 1998, pp. 51 s.) – quest’ultimi forse identificabili coi «retrati de Zuan Belin et de Vetor suo dixipulo nel coperchio» un tempo custoditi da Gabriele Vendramin (per cui cfr. Ravà, 1920, e ora Brown, 2019, p. 68). Il diverso uso di spazzola, lavis a inchiostro bruno e pietra nera permise a Vittore di esplorare, nel primo foglio, un segno tagliente e lenticolare, fatto di trapassi chiaroscurali memori di Alvise Vivarini; nel secondo, una plasticità più dolcemente soffusa, non del tutto sganciata da genuini intenti prospettici nell’opposizione fra il profilo rialzato a biacca del viso e le ciocche sfumate dei capelli mossi.
La fedeltà all’insegnamento belliniano e l’assonanza con la coeva produzione carpaccesca denunciate dai ritratti di Chantilly potrebbero valere a Vittore il Profeta stante delle Gallerie degli Uffizi di Firenze (Tempestini, 1998), nel quale il maestro sembrò combinare i rassicuranti prestiti dal campionario di Giambellino – la testa liberamente modellata sulla ritrattistica degli anni Novanta e il plateau roccioso in parte copiato dalla giovanile Trasfigurazione del Museo Correr di Venezia (Mazzotta, 2020) – con l’originale interpretazione, nel panneggio, dei ritmi spezzati di certa pittura fra Benedetto Diana e Carpaccio.
Simili caratteri ben s’accordano alla seconda notizia dell’attività giovanile di Vittore. Il 28 settembre 1507, infatti, «maistro Vector quondam Mathio», insieme a «maistro Vector dicto Scarpaza» e «Hieronymo depentor» (Girolamo da Santacroce?), è attestato a lavoro, sotto la direzione di «Zuan Bellin», sui tre teleri lasciati incompiuti dal defunto Alvise Vivarini nella sala del Gran Consiglio in palazzo ducale (Ludwig, 1905, pp. 72 s.).
L’11 dicembre 1508 Vittore prese parte al collegio giudicatore degli affreschi di Giorgione al Fondaco dei Tedeschi nominato da Giovanni Bellini, altresì comprendente Lazzaro Bastiani e Carpaccio (Ludwig, 1905, p. 73). L’occasione poté essergli propizia per risalire, almeno una volta, alla stessa fonte cui il suo maestro andava attingendo, dal Battesimo di Cristo in S. Corona a Vicenza (1500-1502 circa) in poi, per la vaporosità dei profili e la dolcezza dei piani della sua produzione estrema. Entro i primi anni Dieci, Belliniano firmò, così, l’Imago pietatis della Scuola Grande di S. Rocco, apponendo il nome «VICTOR» alla destra del capo evanescente di Cristo e l’appellativo «BELLINĀS» alla sua sinistra (Nepi Scirè, 2000, p. 167): una soluzione, questa, del tutto affine a quella adottata nelle porzioni superiori dei disegni di Chantilly. Nonostante che le sigle siano state in origine coperte dal fondo nero, e sostituite con i nomina sacra «yhs» e «χρς» in aderenza all’atavica norma iconografica delle immagini greche (Belting, 1985), la grana pittorica della figura crepita d’una materia giorgionesca solo nel brano del capo di Cristo inabissato nel buio, mentre a livello del tronco e delle braccia è assai più stolidamente compattata, e impensabile nel catalogo di Bellini (dove continua a tenerla Villa, 2019, sulla scia di Lucco, 1983). Dovette pertanto essere Vittore (Tempestini, 2012, pp. 230 s.) a recuperare, a distanza di circa sessant’anni, lo schema della Pietà belliniana del Museo Poldi Pezzoli di Milano, per intonarlo in chiave di maniera moderna.
Il 19 gennaio 1509, dal confinio di S. Marina, Vittore testimoniò agli ultimi voleri della zia di Giovanni Bellini, Samaritana Vendramin (Ludwig, 1905, p. 74), in presenza dell’anziano maestro, nominato erede di tutti i beni mobili e immobili della donna (Brown - Pizzati, 2014, p. 152). Il 3 aprile 1513, invece, Belliniano fece da esecutore testamentario a Paola del fu «magnifico signore» Girolamo Bernardo (Ludwig, 1905, pp. 74 s.).
Al 27 febbraio 1515 risale il pagamento di otto ducati, per ordine del Consiglio dei dieci ai provveditori al Sal, «a Vetor de Mathio pentor qual depenze nela sala del Gran Conseio cum ser Zuan Bellin» (p. 75).
La quasi totale mancanza di opere firmate e datate negli anni della formazione presso Bellini non solo complica il riconoscimento, nel catalogo di Vittore, di numeri diversi da quelli sin qui menzionati, ma rende impraticabile ogni tentativo di distinguere la mano di Belliniano nei dipinti, autografi o di collaborazione, concepiti dal capobottega. Così, non c’è ragione di scorgere alcun preavviso del suo stile autonomo nella Sacra Conversazione Dolfin in S. Francesco della Vigna, da Giovanni firmata e datata 1507 (come supposto, per converso, da Tosato, 2008, p. 333), o di attribuire in toto a Vittore la Madonna con il Bambino fra i ss. Giovanni Battista, Zaccaria, Margherita (?) e Sebastianogià in collezione Wall a Birmingham (secondo la proposta di Ervas, 2009, pp. 85 s.), che rimane un capolavoro di Bellini intorno al 1508, almeno nelle parti dove la qualità della pittura raggiunge livelli vertiginosi (Ballarin, 2016, pp. 245-249), nonché una fonte sicura per Belliniano nel momento del passaggio di consegne da maestro ad allievo alla morte del primo (1516). Allo stesso modo, la presenza di Vittore all’interno del trittico per la cappella Priuli in S. Michele a Murano (oggi al Kunstpalast di Düsseldorf), siglato da Giovanni nonostante la parziale esecuzione di bottega, non sembra confortata dalla dubbia assegnazione al più giovane artista di un disegno, all’Albertina di Vienna, relativo allo scomparto destro dell’insieme (ma cfr. Horsthemke, 2001): contrariamente a quanto notato da William R. Rearick (1998, pp. 53 s.), cui si deve l’attribuzione del foglio a Belliniano, il punto di stile diverge da quello dei ritratti di Chantilly (Fossaluzza, 2012, pp. 83 s.) e si avvicina, a un livello qualitativo tuttavia ben più sostenuto, a certe sottigliezze cangianti studiate da Vittore, nel solco di Tiziano, a partire dalla fine degli anni Dieci – quando il trittico Priuli era in piedi da almeno un lustro.
Il 20 maggio 1518 Vittore datò e firmò il Devoto in preghiera davanti al Crocifisso dell’Accademia Carrara di Bergamo, nel quale recuperò la sintassi di una xilografia con Georg Spalatin orante realizzata da Lucas Cranach entro il 1515 (Frangi, 2018), per infonderle, oltre gli steccati d’ogni norma belliniana, un respiro degno della luce aurorale e della tavolozza adamantina di Palma il Vecchio.
Il dipinto costituisce un unicum della produzione del pittore, giacché egli parve sempre cercare il punto di partenza delle sue ricerche nel formulario di Giovanni, sia nel momento immediatamente precedente la tela bergamasca – quello dei Doppi ritratti al Louvre e al Museum of Fine Arts di Houston (Texas), nonché delle Teste virili rispettivamente in una collezione privata londinese e già sul mercato antiquario (Christie’s, Londra, 5 luglio 2019, lotto 174) – che negli anni a seguire. Nacquero, così, la Madonna con il Bambino fra i ss. Giovanni Battista e Anna al Museo Civico di Feltre (per cui cfr. Fossaluzza, 1985, pp. 49 s.), con il difficile incastro cromatico delle vesti sul nero di fondo e il volto della Vergine direttamente disceso dalla citata Sacra Conversazione Wall; la Madonna con il Bambino e due donatori al Louvre (Ervas, 2009, p. 85), in cui le figure dei due committenti ritengono qualcosa dell’arrotondata volumetria, di matrice cimesca, d’un belliniano umbratile come Luca Antonio Busati; la Madonna con il Bambino fra i ss. Giovanni Battista e Francesco d’Assisi della Galleria Sabauda di Torino (Fossaluzza, 1994), spaziata nel nuovo rapporto fra le figure, e fra le figure e l’architettura, come nei saggi giovanili di Sebastiano del Piombo; e la Madonna con il Bambino fra i ss. Giovanni Battista e Girolamo al Musée du Petit Palais di Avignone (attribuita a Vittore da Anchise Tempestini, cfr. Ervas, 2009, p. 87), dove le masse tremule dei panneggi e il dissolversi sfumato dei profili rivelano la conoscenza di Vincenzo Catena, già da tempo alle prese, nel dipinto firmato del Walters Art Museum di Baltimora, con il Precursore di qualche prototipo belliniano perduto, come quello nella Madonna con il Bambino – di bottega – fra i ss. Giovanni Battista, Maria Maddalena, Giorgio e Pietro, e un donatore al Louvre (Berenson, 1916).
Il 13 aprile 1520 si registra il primo pagamento «a Vettor Belliniano» per la supervisione imprenditoriale del lavoro di fra Marco Pensaben (Ludwig, 1905, p. 75) – all’epoca evidentemente arruolato nella bottega del pittore veneziano – sulla pala dell’altare maggiore di S. Nicolò a Treviso, terminata da Giovanni Girolamo Savoldo entro il 19 ottobre 1521 (Fossaluzza, 1985, p. 79). A giudicare dalla documentazione superstite, Vittore, che difficilmente mise mano all’ancona, soprintese al cantiere trevigiano intorno al 22 maggio 1520 e l’8 giugno 1521 (pp. 75, 78). Nel medesimo biennio (Mason Rinaldi, 1990, p. 33) dovette piuttosto portare a compimento l’altare della chiesa arcipretale di S. Maria Assunta a Zero Branco (Treviso), dove la grammatica della pala belliniana di S. Zaccaria a Venezia è ormai rifusa nell’agreste composizione dello spazio e nella viva accentuazione gestuale di Palma. Ciò non distolse Vittore dal brunire la sua tavolozza, nella Madonna con il Bambino fra i ss. Giovanni Battista e Onofrio al Museo Correr di Venezia e in quella fra i ss. Pietro e Paolo delle Raccolte d’arte dell’Ospedale Maggiore di Milano (per cui cfr. Fossaluzza, 2012, p. 80), per ottenere maggiori contrasti chiaroscurali; e per accordare tale pittura terrosa, nella Deposizione di Cristo già in S. Maria Maddalena dei Crociferi a Padova (oggi in collezione Camerini a Mossano Vicentino, per cui cfr. Momesso, 2008), ad antichi ricordi giorgioneschi, sensibili sulla punta sfrangiata d’oro del turbante arancio indossato dall’uomo di destra, in rapporto con la Giuditta del maestro di Castelfranco all’Ermitage di San Pietroburgo.
L’interpretazione spiccatamente pittorica della materia appare evidente nel Ritratto virile una volta nella raccolta Von Foerster di Heidelberg (ora alla Daniel Hunt Gallery di Londra), firmato e datato «VICTOR/ BELLINIAN[VS]/ MDXXI» (Berenson, 1957), che, pur nell’arcaico taglio ridotto della figurazione, introduce nell’arte di Vittore una pastosità lattea forse derivatagli dal bresciano Moretto. Seguirono, così, la convulsa Sacra Conversazione già nella raccolta Radcliffe di Harrogate (North Yorkshire, England: Fossaluzza, 1994); la rutilante Madonna con il Bambino fra i ss. Giovanni Evangelista e Maria Maddalena, attestata da ultimo in Collezione Bellini a Firenze (che non è né firmata, né datata 1525, come al contrario preteso da Rearick, 1998, p. 50); l’allucinato Riposo durante la fuga in Egitto allo Szépművészeti Múzeum di Budapest (restituito a Vittore da Fossaluzza, 2012, pp. 75-77); e, soprattutto, la grandiosa pala, con l’inscrizione «·M·D·XXIIII/ VICTOR·BELLI[NIANVS]», dell’Incoronazione della Vergine fra i ss. Pietro, Girolamo, Agostino e Paolo per la chiesa parrocchiale dei Ss. Vito e Modesto a Spinea (Venezia), di cui si conservano una ricevuta di pagamento vergata il 4 luglio 1524 (Ludwig, 1905, p. 76) e un foglio preparatorio, al Gabinetto di disegni e stampe degli Uffizi di Firenze, dalla forte connotazione palmesca (Lucco, 1996, p. 87).
Vittore, documentato a Venezia anche il 20 agosto 1522 (quando fu presente agli atti testamentari di Jacopo Marini, mansionario della chiesa di S. Stefano Confessore, vulgo S. Stin: Ludwig, 1905, p. 76), nel 1526 datò e firmò l’imponente telero per la sala dell’Albergo della Scuola Grande di S. Marco con il Martirio del Santo (Gallerie dell'Accademia di Venezia), commissionato a Bellini il 5 luglio 1515 (Paoletti, 1894, p. 14), portato a termine dal discepolo nell’arco di dieci anni, e celebrato dalla totalità della letteratura artistica successiva (Vasari, 1568, 1971; Sansovino, 1581; Ridolfi, 1648; Boschini, 1674; Zanetti, 1771, p. 64).
Il 14 giugno 1528 Belliniano testimoniò agli ultimi voleri di un Michele Bogotigio della parrocchia di S. Gervasio (Ludwig, 1905, p. 76); e il 29 luglio dello stesso anno sottoscrisse «de […] mano propria» (pp. 76 s.) un primo testamento in cui nominò suoi eredi – fra gli altri – la madre Agnese, la moglie Bona (detta Marietta) e la figlia adottiva Maria (chiamata Lucetta). Al 16 agosto 1529 risale un secondo testamento, con il quale Vittore lasciò ad Andrea de’ Tommasi un «retractum quondam domini Ioannis Beliniani [sic] olim preceptoris mei in signum amoris» (p. 77).
La morte del pittore va fissata fra la data di quest’ultima carta e il 21 dicembre 1529 del già ricordato testamento a firma della madre Agnese, in cui la nuora è detta vedova del «quondam ser Victoris Belliniano pictoris» (p. 78).
Dal primo di tre testamenti di Marietta (22 gennaio 1530) – appellatasi anch’ella «Belliniana» nel secondo e nel terzo di essi (rispettivamente 31 agosto 1531 e 4 luglio 1532: ibid.) – si apprende che Vittore fu sepolto nella basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, nello stesso luogo riservato a Gentile e Giovanni Bellini (Fletcher, 1998, p. 149), a suggello dell’eterna unione fra lui e l’amato maestro.
G. Vasari, Le vite... (1550 e 1568), a cura di R. Bettarini - P. Barocchi, III, Firenze 1971, p. 625; F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare, Venetia 1581, c. 102r; C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte, overo le vite de gl’illustri pittori veneti e dello Stato, Venetia 1648, p. 61; M. Boschini, Le ricche minere della pittura veneziana, Venezia 1674, Castello, p. 71; A.M. Zanetti, Della pittura veneziana e delle opere pubbliche de’ veneziani maestri, Venezia 1771, pp. 64 s.; J.A. Crowe - G.B. Cavalcaselle, A history of painting in North Italy, I, London 1871, pp. 282-284; E. Habich, Handzeichnungen italienischer Meister in photographischen Aufnahmen von Braun & Co. in Dornach, kritisch gesichtet von Giovanni Morelli (Lermolieff), in Kunstchronik, III (1891-1892), 29, coll. 505-509 (in partic. col. 507); P. Paoletti, Raccolta di documenti inediti per servire alla storia della pittura veneziana nei secoli XV e XVI, I, Padova 1894, p. 14; G. Ludwig, Archivalische Beiträge zur Geschichte der venezianischen Malerei, in Jahrbuch der Preußischen Kunstsammlungen, XXVI (1905), pp. 1-159 (in partic. pp. 72-79); B. Berenson, Venetian painting in America, New York 1916, p. 244; A. Ravà, Il “Camerino delle antigaglie” di Gabriele Vendramin, in Nuovo Archivio veneto, XXXIX (1920), pp. 155-181 (in partic. p. 169); B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance: A list of the principal artists and their works with an index of places, I, London 1957, p. 38; M. Lucco, Venezia fra Quattro e Cinquecento, in Storia dell’arte italiana, Parte seconda: Dal Medioevo al Novecento, Volume primo: Dal Medioevo al Quattrocento, V, Torino 1983, pp. 445-477 (in partic. p. 453); H. Belting, Giovanni Bellini, Pietà: Ikone und Bilderzählung in der venezianischen Malerei, Frankfurt am Main 1985, pp. 79 s.; G. Fossaluzza, V. B., Fra’ Marco Pensaben e Giovan Girolamo Savoldo: La “Sacra Conversazione” in San Nicolò a Treviso, in Studi trevisani, II (1985), 4, pp. 39-88; S. Mason Rinaldi, “Il discepolo Vittore a Giovanni Bellini”: La Sacra Conversazione di Zero, in La Sacra Conversazione di V. B.: Il restauro, Zero Branco 1990, pp. 31-60; G. Fossaluzza, B., V., in Saur: Allgemeines Künstler aller Zeiten und Völker, VIII, München-Leipzig 1994, p. 496; M. Lucco, Venezia 1500-1540, in La pittura nel Veneto: Il Cinquecento, a cura di M. Lucco, I, Milano 1996, pp. 13-146 (in partic. p. 87); J. Fletcher, I Bellini, in La bottega dell’artista tra Medioevo e Rinascimento, a cura di R. Cassanelli, Milano 1998, pp. 131-153 (in partic. pp. 131, 149); W.R. Rearick, The drawings of V. B., in Per Luigi Grassi: disegno e disegni, a cura di A. Forlani Tempesti - S. Prosperi Valenti Rodinò, Rimini 1998, pp. 48-63; A. Tempestini, Bellini e Belliniani in Romagna, Firenze 1998, p. 178; G. Nepi Sciré, in Restituzioni 2000: Capolavori restaurati (catal.), coordinamento scientifico di F. Rigon, Vicenza 2000, pp. 164-169; S.A. Horsthemke, Das Triptychon Priuli im Kunstmuseum Düsseldorf: Bellini oder Belliniano?, in Zwischen den Welten, a cura di D. Dombrowski, Weimar 2001, pp. 48-54; D. Tosato, in La Scuola Grande di San Rocco a Venezia, a cura di V. Avery - F. Posocco - S. Settis, II, Modena 2008, pp. 333 s.; P. Ervas, Breve ricognizione su V. B., in Arte Documento, XXV (2009), pp. 84-87; G. Fossaluzza, V. B.: un consuntivo, novità e problemi di attribuzione, in Bulletin du Musée Hongrois des Beaux-Arts, 2012, n. 116-117, pp. 69-102; A. Tempestini, L’“Ebbrezza di Noè” di Giovanni Bellini, in Historia artis magistra: amicorum discipulorumque munuscula Johanni Höfler septuagenario dicata, a cura di R. Klemenčič - S. Štefanac, Ljubljana 2012, pp. 227-233; D.A. Brown - A. Pizzati, ‘Meum amantissimum nepotem’: a new document concerning Giovanni Bellini, in The Burlington Magazine, CLVI (2014), pp. 148-152; A. Ballarin, Giovanni Bellini: La Sacra conversazione Wall, in Id., Giorgione e l’Umanesimo veneziano, I, Verona 2016, pp. 241-249; F. Frangi, in Tiziano e la pittura del Cinquecento tra Venezia e Brescia (catal.), a cura di F. Frangi, Cinisello Balsamo 2018, pp. 138 s.; D.A. Brown, Giovanni Bellini: The last works, Milano 2019, pp. 67 s., 90-96, 257-284; G.C.F. Villa, in M. Lucco - P. Humfrey - G.C.F. Villa, Giovanni Bellini: catalogo ragionato, Treviso 2019, pp. 575 s.; A. Mazzotta, Con Giovanni Bellini: dodici esercizi di lettura, Milano 2020, p. 121.