CARPACCIO, Vittore
Pittore, nato a Venezia nel 1455 o '56, morto nel 1525 o '26. Nel 1472 è ricordato nel testamento dello zio Ilario; nel 1501-2 riceve pagamenti per le prime pitture ufficiali in Palazzo ducale, ma quelle del ciclo di S. Orsola, ora nelle Gallerie di Venezia, portano la data del 1490-98. Eppure nelle tre tele dipinte per la Sala del Maggior Consiglio nel 1507, accanto a Giambellino appare quale aiuto anche il Carpaccio; collaborazione che sarebbe strana se il pittore non fosse stato un discepolo e un cliente dei Bellini, come vedremo. Nell'anno successivo il C. fu vinto in un concorso dal condiscepolo B. Diana; e giudicò con due altri condiscepoli, Lazzaro Bastiani e Vittore Belliniano, i freschi di Giorgione per il Fondaco dei Tedeschi.
È del 1511 una lettera con cui dedica al marchese Gonzaga, che lo aveva visitato, una Veduta di Gerusalemme; nel 1522-1523, secondo alcuni documenti, lavora a Venezia per il patriarcato.
I più benemeriti studiosi di C., Gustavo Ludwig e Pompeo Molmenti, vollero considerare erronea la tradizione che lo allacciava a Gentile Bellini, al pari del Bastiani, del Diana, di Vittore Belliniano e di Girolamo Santacroce, e in genere alla famiglia Bellini tutta, e questo soltanto perché Lazzaro Bastiani risultava più vecchio del C. Le somiglianze della modesta arte tardigrada del Bastiani con quella di Vittore, evidenti fino al plagio, furono ritenute prova d'una discendenza di questo dal compagno. Ma ciò, se è vero, non appare che tardi, dopo il 1485, data della Natività, ora nelle Gallerie di Venezia, ancora di schemi arcaici alla Iacopo Bellini, quando il geniale Vittore, benché più giovane, poteva insegnare a tutti. Con lo stesso criterio si volle perfino negare quel viaggio in Oriente (il C. vi poté essere anche al seguito di Gentile) ricordato dal Vecellio e chiaro attraverso alle opere del pittore, innamorato del colore locale. Vedendo coincidenze fra le sue vedute e quelle del viaggio in Terra Santa del Breydenbach, edito nel 1486, si pretese che Vittore lo plagiasse; quasi che non potessero entrambi derivare da una stessa fonte, ad esempio il citato Gentile, i cui disegni avevano servito perfino al Pinturicchio. Come spiegare d'altra parte le vedute che non hanno corrispondenze e quella in grande, ricordata, di Gerusalemme?
Sono queste incertezze che hanno lasciato nel buio gl'inizî del pittore. Oggi però non solo gli si può attribuire il dittico di Verona con le Ss. Caterina e Veneranda, tanto vicine a Gentile Bellini, e la Madonna con San Giovannino dello Städel Institut di Francoforte, ma anche il polittico di Zara, dipinto per incarico dell'abate Martino Mladossich nel 1480, con evidenti ricordi tanto di Gentile, quanto di Giovanni, come nella bellissima Fuga in Egitto, proveniente dai depositi del Museo di Berlino, ora di proprietà di Otto Kahn, New York, tipica del pittore e invano riferita ad Antonello o a Giambellino stesso. È del tempo del ciclo di sant'Orsola, incominciato nel 1490, per la scuola di questo nome presso i Santi Giovanni e Paolo, e finito nel 1498, ove il sentimento poetico dell'artista, e il senso suo particolarissimo del colore si effondono nel modo più armonioso nel raccontare la leggenda della santa e delle undicimila compagne martiri. Colore e romanticismo senza dei quali non si potrà spiegare Giorgione. In questo momento fiorito si deve porre il San Giorgio cavaliere, della raccolta Kahn precitata, ove l'armigero si oresenta fra il rigoglio d'una natura lussureggiante; e anche il Sanghe di Cristo del museo di Udine, dipinto nel 1496. Segue il Miracolo della Croce dipinto per la serie ove trionfa Gentile, con la veduta del Ponte di Rialto e il Canal Grande solcato da gondole, che prelude in qualche modo il Guardi, come il meticoloso Gentile il Canaletto. Vengono poi la serie per S. Giorgio degli Schiavoni, che narra i trionfi del santo, e le storie di san Gerolamo, datate 1502, ma forse terminate nel 1507. In queste opere gli aiuti, di cui sempre l'artista si servì senza misura, non soverchiano come nel ciclo per la Scuola degli Albanesi, diviso ora fra Bergamo, Milano (Brera) e Venezia (Ca' d'Oro), datato 1504. Del 1507 (?) è l'Adorazione del Bambino con i committenti, appartenente a lord Berwick; pure del 1507 la pala di S. Romaso per S. Pietro di Murano, ora a Stoccarda; del 1508 la Morte di Maria di Ferrara; del 1510 la Presentazione al Tempio delle Gallerie veneziane. Sono divise fra Berlino, Stoccarda, Brera e il Louvre quattro delle cinque storie (una è perduta, ma se ne conserva il disegno agli Uffizî) riguardanti Santo Stefano, dipinte fra il 1511-20 per la Scuola omonima. Al 1514 appartengono tanto la pala di S. Vitale a Venezia, quanto i due Santi Sebastiano e Pietro di Zagabria (Galleria Strossmayer), parti, al pari d'un San Rocco (Bergamo), d'un polittico per Santa Fosca. Al 1515 i Diecimila Martiri dell'Ararat, completamente rifatti nel secolo scorso, ora nelle Gallerie di Venezia, al pari dell'Incontro di Gioacchino con Sant'Anna, eseguito dalla scuola; al 1516 il San Giorgio nella chiesa omonima e il Leone del Palazzo ducale di Venezia; al 1517 l'Ingresso del podestà veneto del museo di Capodistria, ma dell'anno prima è la pala del Duomo ivi; al 1519 la pala di S. Francesco a Pirano e il polittico di Pozzale; al 1520 il S. Paolo di S. Domenico a Chioggia e al 1523 le due male accostate portelle d'organo del Duomo di Capodistria, con i fantastici profeti, dipinti per il parapetto della cantoria, che si vedono simili nel fondo del Crisio pianto, del Museo di Berlino. Altre opere degne d'essere ricordate sono: la Partenza di Santa Orsola del lascito Layard alla National Gallery di Londra, la Pietà del conte Serristori a Firenze, le Meditazioni nella Passione del Metropolitan Museum di New York, la Storia di Alcione della coll. Johnson a Philadelphia, le Cortigiane del Museo civico e la Processione dei Crociferi alle Gallerie di Venezia, la Leggente, già nella coll. Benson a Londra, il delizioso frammento d'una Crocifissione agli Uffizî, la Sacra Famiglia in uno strano paesaggio di Caen, opera certo tarda, come il Cristo pianto di Berlino.
Non è certo qui il caso di citare opere minori o incerte, ma non si può tralasciare un accenno ai disegni squisitissimi del maestro, specie a quelli schizzati alla prima, ove il tocco aperto della sua pittura trova il corrispettivo nel segno spezzato, rapido, quasi da impressionista. E basti ricordare fra i numerosissimi il gruppo capitale della Galleria degli Uffizî.
Di Pietro, figlio del C., si hanno solo notizie documentali, che lo ricordano nel 1513: e trasferito poi a Udine, ove si trovava nel 1526. Gli si attribuì un San Giorgio della racc. Walters a Baltimora, ma è un fȧlso. Dell'altro figlio, Benedetto, forse più giovane del fratello, si hanno notizie che vanno dal 1530 al 1572 e opere, specie in Istria dove si trasferì dopo il 1533. Basti ricordarne la Madonna in S. Giorgio degli Schiavoni, sull'altare, la Madonna con santi del Museo di Capodistria (1538), del Duomo di Trieste (1540) e dell'Ufficio delle Saline di Pirano (1541). È d'un altro carpaccesco la pala di Portole, con falsa segnatura di Vittore.
Bibl.: Per Vittore: E. Ludwig e P. Molmenti, V. C., Milano 1906; Hadeln, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, VI, Lipsia 1912 (con la bibl. precedente); id., Venezianische Zeichnungen d. Quattrocento, Berlino 1925; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, VII, iv, Milano 1915; B. Berenson, Venetian Painting in America, New York-Londra 1916, pp. 156-65; id., The Enigma of C.'s Glory of St. Ursula", in The Study and Criticism of Italian Art, III, Londra 1916, pp. 124-36; id., A Carpacciesque Madonna in Berlin, ibid., pp. 137-47 (questi due articoli furono pubblicati anche nella Rass. d'arte, III (1916), pp. 1-8, 123-29); R. Offner, Un "Sant'Eustachio" del C., in Dedalo, II (1921-22), pp. 765-69. Su questo dipinto vedi anche R. Offner, in Art in America, X (1922), pp. 127-32, e A. Martin, in The Burl. Mag., XLIV (1924), pp. 59-65; A. Morassi, Le sei tavole di V. C. a Zara in Emporium, LV (1924), pp. 58-59; G. Gronau, An unknown work by C., ibid., XLIV (1924), pp. 537-44; W. Suida, Zwei Tafelbilder des V. C., in Belvedere, XI (1927), pp. 41-42; A. L. Mayer, Ein unbekanntes Frühwerk C.'s, in Pantheon I (1928), I, pp. 252-54; L. Venturi, Contributi a Vittore Carpaccio, in L'Arte, XXXIII (1930), pp. 393-95.
Per Pietro: V. Foppi, Contributo quanto alla storia dell'arte del Friuli, in Dep. Stor. Patria, 1894, p. 46; Hadeln, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, VI, Lipsia 1912; B. Berenson, Venetian Painting in America, New York-Londra 1916, pp. 158-59. Per Benedetto: Hadeln, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, VI, Lipsia 1912: id., Venezianische Zeichungen d. Quattrocento, Berlino 1925; A. Alisi, Vittore e Benedetto Carpaccio, Capodistria 1929.