CUSUMANO, Vito
Nacque a Partanna (Trapani) il 24 nov. 1844 da Antonino e Lucia Catalano. Compì gli studi secondari presso il seminario vescovile di Mazara del Vallo e nel 1865 si iscrisse alla "facoltà legale" dell'università di Palermo, dove seguì i corsi di economia politica tenuti da G. Bruno e nel 1868, sostenendo una tesi di diritto internazionale, conseguì la laurea in giurisprudenza. L'anno successivo, vincitore di un concorso indetto dal ministero della Pubblica Istruzione, si recò a Pavia per perfezionarvi gli studi. Il lavoro, a stampa, presentato in occasione del concorso (L'antica scuola italiana in economia politica, Palermo 1869) manifesta i limiti della sua prima formazione palermitana.
In esso il C., pur all'interno di una concezione liberista, rivendica il carattere di scienza morale dell'economia e contrappone ai teorici della scuola utilitaria inglese il primato della tradizione di pensiero economico e giuridico italiano, da Bandini a Beccaria, nella quale centrale è la riflessione sulla società civile.
Quelli di Pavia, dove risiederà sino all'autunno del 1871, furono, per il C., anni di vivissimo fervore intellettuale; fu discepolo di L. Cossa che in quella università aveva fatto conoscere i nuovi orientamenti della scienza economica all'estero e, in particolare, della scuola storica fondata da B. Hildebrand e W. G. F. Roscher e che, con la sua eccezionale capacità di bibliografo e filologo, iniziava i suoi allievi ad un uso più rigoroso del metodo storico spronandoli ad indagini di storia delle dottrine economiche. Il C. si dedicò allo studio delle scienze economico-finanziarie e, probabilmente per suggerimento del Cossa iniziò una ricerca sulle idee economiche degli scrittori italiani di politica dal XII al XVI secolo. Il materiale raccolto in questo periodo verrà utilizzato dal C. in successive pubblicazioni: L'economia politica nel Medio Evo, Palermo 1874 e Dell'economia politica del Medio Evo, in Archivio giuridico, XVI [1876], pp. 321-35, 444-82, 589-619. Nel 1870 pubblicò un saggio su Diomede Carafa nel quale l'opera di questo, De regis et boni principis officio, èvista come un primo tentativo di stabilire un piano di intervento dello Stato in campo economico e finanziario (Diomede Caraffa, economista italiano del secolo XV, in Archivio giuridico, VI [1870], pp. 481-95).
Il saggio, al quale in seguito il Ferrara attribuirà scarso valore scientifico, manifesta il mutato orientamento di pensiero del C., il distacco dalla scuola classico-ferrariana e una sua prima adesione all'indirizzo storico dell'economia. Contemporaneamente iniziò a lavorare su di un altro argomento: la teoria del commercio dei grani; l'opera, dedicata al Cossa, venne pubblicata nel 1877 e gli procurò il premio istituito dal ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio per la migliore monografia di storia e scienze economiche (La teoria del commercio dei grani in Italia, ibid., XVIII [1877], pp. 501-35; XIX 118-781, pp. 74-121, 237-85, 366-419).
Il C. ne presentò una prima stesura al concorso per quattro posti di perfezionamento all'estero indetto, nello stesso anno, dal ministero. Intendeva recarsi in Germania per studiare scienza delle finanze sotto la guida di A. Wagner; risultò vincitore e, nell'autunno, giunse a Berlino, dove oltre a quelli del Wagner iniziò a frequentare i corsi di statistica diretti da E. Engel. È in Germania che i diversi motivi della sua formazione intellettuale si precisarono in una visione coerente di più ampio ordine culturale. In un primo tempo il C. si dedicò allo studio e all'approfondimento del dibattito che vedeva liberisti e rappresentanti della scuola storica impegnati e contrapposti in un complesso intreccio di revisioni dottrinali, di studi storico-sociali e di riformismo politico.
Le tesi dei Wagner sulla progressività delle imposte e il loro fine sociale di redistribuzione, sui limiti del diritto di proprietà, sul carattere "artificiale" del regime di concorrenza, sulla partecipazione degli operai agli utili dell'impresa e la possibile unione tra capitale e lavoro lo attrassero immediatamente, e di questi temi il C. scrupolosamente riferì nella corrispondenza - allora iniziata - che tenne con F. Lampertico e che, per la ricchezza dei riferimenti bibliografici e scientificì, la quantità di informazioni sull'attività dei socialisti della cattedra può essere considerata uno dei principali canali di diffusione delle nuove idee in Italia.
Nel 1872, in due riprese, il C. pubblicò sul Giornale della Provincia di Vicenza un primo resoconto sul nuovo indirizzo degli studi economici in Germania nel quale, oltre alle teorie sopra ricordate, sottolineava come, di questi, il punto nuovo e fondamentale stava nel determinare la vera posizione dello Stato relativamente all'economia nazionale (Studi economici in Germania e Degli studi economici in Germania, pubblicati rispettivamente il 7 maggio e il 17 giugno 1872).
Nell'ottobre, su invito del Wagner, il C. partecipò alla conferenza degli economisti tedeschi ad Eisenach dove conobbe Knies, Hildebrand, Roscher, Nasse ed assistette alle discussioni sulla questione sociale. Nel resoconto subito dopo pubblicato (Il congresso degli economisti tedeschi ad Eisenach, in Archivio giuridico, X [1872], pp. 222-28) il C., nell'esporre le tesi dei congressisti, dichiarava di essere sostanzialmente a favore della legislazione sociale e dell'intervento dello Stato negli affari economici.
Con l'idea di concorrere per un posto di straordinariato di economia politica presso qualche università italiana, rifiutò la proposta di L. Bodio di entrare a far parte dell'Ufficio di statistica del ministero dell'Agricoltura da lui diretto, e ultimò i due articoli sulla nuova scuola tedesca che, apparsi nel 1873, diedero il via, in Italia, al primo aperto scontro tra liberisti e sostenitori dell'indirizzo riformatore in economia (Sulla condizione attuale degli studi economici in Germania, ibid., XI [1873], pp. 113-37, 240-65, 395-420; XII [1874], pp. 284-317). In essi il C. compiva un'accurata disamina delle posizioni degli economisti tedeschi nella seconda metà dell'Ottocento.
Riprendendo e sviluppando l'impostazione di F. List, la nuova scuola storica tedesca rovesciava i termini della riflessione sul rapporto Stato-economia quale esso era stato definito dalla scuola liberista. L'attività economica non deve essere considerata per se stessa ma nel complesso dei rapporti sociali. Il giudizio sul ruolo dello Stato non può scaturire dall'analisi degli effetti del suo interferire nel gioco delle interazioni degli individui, ma dalla considerazione che, in primo luogo, gli individui appartengono ad una nazione, che la loro prosperità dipende dalla prosperità economica, politica e civile di questa e che le leggi della ricchezza delle nazioni non possono essere assolutizzate, ma derivate in relazione al fluire della storia.
Uno dei temi principali sul quale si articolava l'esposizione del C. atteneva, dunque, alla teoria dello Stato e alle critiche delle concezioni contrattuali stiche elaborate da Mohl, Ahrens, Gneist. Altro grande tema era, inoltre, costituito dalla definizione dell'"uomo reale" contrapposto all'astrazione logica dell'homo oeconomicus, e qui il C. prendeva in esame, soprattutto, le posizioni di Hermann, Schäffle, Wagner. Tra le conseguenze che la centralità dell'azione dello Stato poneva sul piano della politica economica, il C. si soffermava in particolar modo sui problemi dell'imposizione fiscale e sull'intervento statale in campo sociale. Respinta l'idea dell'origine contrattualistica dello Stato, veniva respinta anche quella del tributo fiscale come prezzo dei servizi offerti dallo Stato al cittadino alla quale si contrapponeva il principio del dovere dei cittadino di contribuire alle necessità collettive in ragione delle capacità di ciascuno. Per questa via le imposte divenivano, oltre che mezzo fiscale, un mezzo di politica sociale con il quale si poteva correggere anche la distribuzione delle ricchezze.
Per il C., infatti, la questione sociale era, soprattutto, un problema di redistribuzione del reddito più che di espansione della produzione, e a fini redistributivi doveva indirizzarsi l'azione dello Stato. L'interesse principale del C. non verteva sui grandi problemi di teoria e di metodo ed è, infatti, sull'aspetto etico-politico della polemica tra manchesteriani e socialisti della cattedra che tutt'al più, coerentemente, forse, con i suoi primi interessi, si appuntava la sua attenzione.
Al Wairas che, cosciente della banalizzazione della tradizione classica operata dagli epigoni manchesteriani e francesi, nell'enumerare i problemi lasciati aperti da quella tradizione, dalla teoria ricardiana della rendita a quella dei salari, avanzava dubbi sulle soluzioni teoriche offerte dalla nuova scuola e, rivolgendosi al C., esclamava: "A toutes ces questions, l'école allemande ne nous réponde que par son éternelle statistique et son éternelle histoire ... il serait temps de finir d'accorder le piano et de commencer à nous jouer un peu de musique" (Jaffé, 311: Walras al C., 20 ott. 1874), il C., sostanzialmente eludendo il problema teorico rispondeva: "noi vogliamo leggi sulle fabbriche ... noi vogliamo una buona legge forestale ..., una buona legge mineraria che distingua la proprietà dei soprassuolo da quella del sottosuolo ... leggi che tutelino il risparmio" (ibid., 323: il C. al Walras, 3 genn. 1875).
All'origine di questa impostazione vi era soprattutto una preoccupazione pratico-politica enunciata a chiare lettere: "Le nostre teorie ... vogliono salvare la società odierna da una rivoluzione sociale simile a quella del 1789, la quale può diventare inevitabile se non si occorre in tempo opportuno alle necessarie riforme economiche" (in Le scuole economiche ... 3 p. 366). Se questa professione di riformismo, che risentiva della diversa situazione politico-sociale della Germania, era forse prematura nell'Italia dei primi anni Settanta, i saggi apparsi sull'Archivio giuridico cadevano in un momento in cui i problemi posti dalla lunga depressione che iniziò sul finire del 1873 uniti alla crescente coscienza della necessità di sostenere la gracile struttura industriale del paese, spingevano verso un mutamento di rotta nella politica economica, mutamento che sfociò poi nella svolta protezionistica del 1877.
Gli accenti erano però molteplici, le posizioni espresse da un A. Rossi in tema di legislazione del lavoro non erano certo accostabili alla regolamentazione del lavoro minorile e femminile auspicata dal Cusumano. Contro queste prime enunciazioni teoriche dell'interventismo statale prese posizione F. Ferrara che, sulla Nuova Antologia cercò di minimizzare la coesione interna e, per i minori, tra i quali il C., la rilevanza scientifica degli esponenti della scuola tedesca in Italia (F. Ferrara, Il germanesimo economico in Italia, in La Nuova Antologia, agosto 1874, pp. 983-1018).
Tra coloro che variamente si rifacevano al riformismo tedesco, dai "lombardoveneti", secondo la sprezzante definizione del Ferrara, a Luzzatti, Minghetti, e ai più giovani Ricca-Salerno, Cognetti de Martiis, tutti, poi, riuniti intorno all'Associazione per il progresso degli studi economici, il C. era, però, un isolato. L'opinione corrente forse ben l'espresse A. Errera che, scrivendo di lui a Walras, ne dirà: "... è un giovane di molto ingegno, ma viene appena dalla Germania e si è tanto intedescato che non si può prendere sul serio tutto quello che scrive. Di veri Socialisti della Cattedra non c'è che lui in Italia" (Jaffé, 321: A. Errera a L. Walras, 4 dic. 1874).
Alla fine del 1871, il C. si stabilì a Roma dove accettò l'offerta di Bodio di entrare a far parte dell'Ufficio di statistica del ministero dell'Agricoltura. In quell'anno aveva inutilmente concorso, a Genova, Roma, Venezia, Pavia, Milano, Modena, ad un posto per una cattedra di economia politica. Tanto sfortunate vicende accademiche unite al progressivo isolamento dottrinario nel quale si era venuto a, trovare, lo spinsero verso posizioni meno rigide. Nei successivi scritti sull'argomento (Il Congresso degli economisti tedeschi a Grefeld, in L'Opinione, 29 sett. 1874; Lo Smithianismo, i riformisti e i socialisti cattedratici, in Economista d'Italia, VI [1874], 43, pp. 554 ss.), l'entusiastica adesione alle teorie economiche tedesche si stemperava in una più realistica comprensione della situazione italiana e a Roma, le sue posizioni si avvicineranno a quelle più moderate del Luzzatti e del Lampertico. Nell'ottobre del 1874, il C. si trasferì a Palermo ove gli era stato affidato l'incarico di economia politica presso il R. Istituto tecnico. Il reinserimento nella realtà palermitana fu particolarmente difficile; subito si delineò, asperrimo, il dissidio con G. Bruno e, durante il XII congresso degli scienziati italiani riunitosi in quella città dal 28 agosto al 7 settembre, il C. con S. Corleo fu il solo che, a proposito del lavoro minorile e femminile, pose il problema della questione sociale.
Nello stesso anno, con l'intenzione di offrire un quadro completo di quello che era stato elaborato dal pensiero economico tedesco in rapporto alla questione sociale, il C. ripubblicò, riuniti in volume, i suoi articoli Sulla condizione attuale... con l'aggiunta di un'ampia sezione in cui tratteggiò le correnti colle tt ivistiche, da Marx a Lassale, ai loro continuatori politici e sindacali (Le scuole economiche della Germania in rapporto alla quistione sociale, Napoli 1875). Se, per quanto riguarda Marx, le obiezioni mosse dal C. alla teoria del plusvalore e alla "legge generale dell'accumulazione capitalistica" erano formulate secondo quello schema esterno alle premesse marxiane, caratteristico di tutta l'economia politica, di particolare rilievo per la diffusione della conoscenza del Capitale in Italia, allora ancora letto in edizione tedesca, era il riassunto ampio e particolareggiato che dell'opera di Marx il C. faceva.
Negli anni successivi seguitò ad insegnare a Palermo. L'ostilità del Bruno gli precluse quasi tutti gli spazi accademici e solo nel 1893, alla morte di quest'ultimo, ottenne la cattedra di scienza delle finanze. La sua attività scientifica, dopo il fervore polemico degli anni 1874-76, si rivolse soprattutto a studi di carattere storico. Principale tra questi una storia dei banchi di Sicilia, indagine documentaria condotta su fonti archivistiche pressoché inesplorate, intesa a ricostruire la storia bancaria siciliana dal X al XIX secolo. Il primo volume, dedicato ai banchi privati, fu pubblicato nel 1877 (Storia dei Banchi di Sicilia, I, I Banchi privati, Roma 1877); nel 1892 seguì il secondo, relativo al banchi pubblici (I Banchi pubblici, Roma 1892). Il lavoro di preparazione di un terzo, destinato alla storia dei Banco di Sicilia, fu interrotto dalla morte del C. avvenuta a Palermo il 23 marzo del 1908.
Fonti e Bibl.: Le lettere del C. a F. Lampertico sono conservate presso la Bibl. Bertoliana di Vicenza. Per il carteggio con L. Walras cfr. W. Jaffé, Correspondence of Léon Walras and Related Papers, I, Amsterdam 1965, ad Indicem; per una indicazione completa delle opere del C.: R. Salvo, V. C. dal liberismo al socialismo della cattedra, Palermo 1979. Sul C., inoltre: G. Bosio, La diffus. degli scritti di Marx e di Engels in Italia dal 1871 al 1892, in Società, VII (1951), pp. 268-284; A. Salvestrini, I moderati toscani e la classe dirigente ital. (1859-1876), Firenze 1965, pp. 215-228; A. Macchioro, Studi di storia del pensiero economico e altri saggi, Milano 1970. pp. 493-497; G. C. Marino, Satana a Congresso, in Il Risorgimento in Sicilia, I-II (1970). pp. 63-119; R. Giuffrida, Il Banco di Sicilia, II, Palermo 1973, pp. 186 s.; G. Busino, Gli studi su V. Pareto oggi, Roma 1974, pp. 44-47; R. Giuffrida, Intr. a V. Cusumano, Storia dei Banchi della Sicilia, Palermo 1974, pp. IX-XIV; P. Grossi, Un altro modo di possedere. L'emersione di forme alternative di proprietà alla coscienza giuridica postunitaria, Milano 1977, pp. 203-205; S. Lanaro, Nazione e lavoro. Saggio sulla cultura borghese in Italia 1870-1925, Venezia 1979, pp. 142 s., 146.