BORROMEO, Vitaliano
Nacque a Milano il 3 marzo 1720, in una delle più nobili famiglie milanesi, terzogenito del conte Giovanni Benedetto e di Clelia del Grillo. Dopo aver compiuto gli studi nella città natale e nell'università di Pavia, ove si laureò in utroque iure il 20 ott. 1745, si recò a Roma per seguire la carriera prelatizia. Creato referendario delle due Segnature, fu ordinato sacerdote nel 1747 e il 10 aprile fu nominato vicelegato a Bologna, ove si distinse anche nei salotti letterari per la sua tenue vena poetica e strinse una calda amicizia con F. M. Zanotti. Ritornato a Roma, divenne nel 1753 consultore dei Riti e del S. Offizio; quindi, consacrato dal card. Doria il 22 febbr. 1756 arcivescovo titolare di Tebe, gli fu affidato da Benedetto XIV l'incarico di reggere la nunziatura di Toscana, succedendo a mons. L. A. Biglia (16 marzo). Giunto a Firenze il 29 apr. 1756, fronteggiò con abilità la politica giurisdizionalista della reggenza granducale.
Nella delicata situazione venutasi a creare tra la S. Sede e Francesco di Lorena circa l'interpretazione delle norme che riformavano il tribunale dell'Inquisizione in Toscana, il B. cercò di evitare ogni superfluo motivo di attrito, invitando alla moderazione lo zelante vescovo di Pienza, Francesco Maria Piccolomini, che non esitava a fare abuso di censure canoniche contro i magistrati laici che ledevano l'immunità ecclesiastica. Al B., infatti, sebbene fosse personalmente un intransigente difensore dei privilegi del clero, non sfuggiva che un totale irrigidimento poteva soltanto nuocere alla Chiesa. Consigliò perciò alla Curia romana una cautela particolare anche nella decisione da prendere circa la richiesta fatta dal governo toscano (marzo 1759) di soppressione di numerose parrocchie fiorentine: egli, ricordando come tale provvedimento s'inquadrasse nel disegno più generale di una riduzione del numero degli ecclesiastici nel granducato, dopo aver notato che esso non era giustificato da un punto di vista canonistico, proponeva tuttavia di accogliere la proposta relativamente a quattro parrocchie che erano sottoposte al patronato laico. Durante la sua permanenza a Firenze il B. si distinse anche in campo culturale proteggendo con generoso mecenatismo vari studiosi: fra gli altri, nel 1758 conobbe J. J. Winckelmann.
Nel settembre 1759 gli fu comunicato il trasferimento alla nunziatura di Vienna, sanzionato ufficialmente il 10 dic. 1759.
La sua scelta per un incarico così importante era giustificata da vari fattori: anzitutto, nel clima più intransigente creato da Clemente XIII, era ben visto dal segretario di Stato Torregiani l'orientamento zelante del B., il quale aveva inoltre un'approfondita conoscenza dei problemi - che avevano Vienna come centro di discussione - riguardanti la Toscana, a causa della sua cessata missione, e della Lombardia austriaca, sua patria d'origine; costituivano tuttavia una remora alla buona riuscita dell'incarico affidatogli l'assoluta ignoranza della lingua tedesca - difetto comune, comunque, alla diplomazia pontificia -, che contribuiva a rendere inefficiente l'azione del nunzio in un periodo in cui molto valida era la propaganda anticuriale sul piano pubblicistico; e la diffidenza che nei confronti del B. vi era ancora in Maria Teresa per le iniziative filospagnole della madre di lui Clelia del Grillo alla fine della guerra di successione austriaca (1746).
Dopo una lunga permanenza a Milano, il B. giunse a Vienna il 24 ag. 1760, dove fu ricevuto la prima volta a corte il 2 ottobre. Il B. notò subito la pericolosa connessione che si stava creando fra politica giurisdizionalistica del governo e nuovi orientamenti dottrinali dell'episcopato: le difficoltà per concertare un'azione comune con i vescovi in difesa dei privilegi ecclesiastici derivavano spesso, infatti, dall'infiltrazione di principî canonistici anticuriali che venivano diffusi dalle facoltà teologiche della Germania. Perciò il B. tentò spesso vanamente di imbrigliare tale produzione pubblicistica: i suoi sforzi maggiori furono diretti ad ottenere la proibizione dei Principia iuris ecclesiastici catholicorum del La Paix, adottati all'università di Innsbruck nel 1761, e quindi, dopo il 1764, del De potestate ecclesiastica del Febronio. Nei primi anni della sua nunziatura, comunque, il B. si impegnò con una certa efficacia a difendere alcune azioni e atteggiamenti intransigenti, come l'imposizione da parte della S. Sede al vescovado di Mantova di mons. Della Puebla, canonico di Olmütz; l'atteggiamento "zelante" del vescovo di Pienza (che, comunque, fu espulso dalla sua diocesi dal governo toscano); l'interdetto lanciato dal vescovo di Trento contro la città di Rovereto, colpevole d'aver innalzato nella chiesa parrocchiale un monuzato a Girolamo Tartarotti, inviso alla Curia romana. Pure energici furono gli interventi del B. nel protestare contro l'immissione di elementi laici in alcuni uffici dell'Inquisizione toscana, con interpretazione palesemente forzata della riforma del 1755-56; e contro il rinnovo del trattato fra lo Stato di Milano e i Grigioni.
In una memoria presentata al cancelliere Kaunitz il 15 febbr. 1764 il nunzio lamentava che non si fosse consultata la S. Sede per un atto che coinvolgeva gli interessi religiosi e patrimoniali della diocesi di Como. Oltre a una disposizione che permetteva al governo delle Tre Leghe l'eventuale alienazione di alcuni beni ecclesiastici, era particolarmente ostico alla Curia romana un articolo segreto che consentiva la tolleranza delle famiglie protestanti già stabilite nei paesi grigioni cattolici: per il B. la pericolosità di tale clausola era dimostrata dal fatto che, appena venutine a conoscenza, i protestanti "si erano avanzati a domandare la facoltà di aprire una chiesa, di tenere un ministro, insomma di esercitare pubblicamente la loro falsa religione". Il tentativo del B. di ottenere la soppressione della clausola, prima che il trattato fosse ratificato, fu però vano.Nel 1766 l'azione del B. perdette maggiormente di efficacia di fronte a un sempre più diretto intervento del governo imperiale negli affari ecclesiastici: dell'11 genn. 1766 è una circolare del Kaunitz ai vescovi d'Austria e Boemia, in cui si chiedeva di aggiungere all'indulto già accordato, di lavorare in alcuni giorni festivi, la dispensa dal precetto di ascoltare la messa; il B. non riusciva neppure a conoscere le risposte date dai vescovi. Nel luglio, informato del progetto del conte di Firmian circa la riforma della censura dei libri nello Stato di Milano, il B. presentò a Maria Teresa un memoriale volto soprattutto a evitare che la revisione fosse divisa in due sezioni separate, "dandosi agli ecclesiastici ciò che riguarda la religione, e a revisori secolari le altre materie" (Arch. Segr. Vat., Nunz. Germania 381, f. 475); il B. non negava allo Stato il diritto di rivedere ogni libro, ma lo rivendicava anche alla Chiesa, essendo impossibile la divisione aprioristica tra materie religiose e politiche, poiché "se si vuole formare il giudizio de' libri da' loro titoli, si possono prendere abbagli gravissimi. Si potrebbono addurre moltissimi libri, li quali sotto titoli indifferenti, ed anche onestissimi contengono perniciose dottrine contro la Religione, i buoni costumi e la sana Politica" (ibid., f.476). La posizione intransigente del B. a questo riguardo, che non era condivisa dall'arcivescovo di Milano, card. Pozzobonelli - il quale sperava di ottenere nella prassi ampie concessioni - non ottenne che di aumentarne l'isolamento: "Dacché io ho apertamente dichiarata la mia contrarietà ad ogni proposizione che è stata fatta rispetto alla revisione de' libri di Milano, sono forse divenuto sospetto" (ibid. 383, f. 159, dispaccio del 7 febbr. 1767). Ciò apparve evidente anche nella scarsa confidenza che i vescovi tedeschi gli dimostrarono allorché fu loro distribuita una circolare governativa in cui si chiedeva di svelare "i gravami che soffrono e ricevono dalla S. Sede": secondo il B., i vescovi desideravano soprattutto ingraziarsi i ministri "la cui animosità contro la Chiesa non si può dire a qual segno sia giunta" (ibid., f. 170, 9 marzo 1767). Nel maggio il B. denunciava alla segreteria di Stato il tentativo di innalzare in Vienna "un contro altare" alle scuole dei gesuiti, ponendo sulla cattedra universitaria dell'istituita facoltà teologica Pietro M. Gazzaniga e Agostino Gervasio: particolarmente il primo, sebbene "buon religioso", era molto pericoloso per la sua faziosità antigesuitica e avrebbe potuto nuocere all'azione che il B. svolgeva da tempo presso Maria Teresa in favore della Compagnia: perciò il 24 agosto 1767 il B. consigliava il richiamo in Italia del teologo domenicano. Già elevato alla porpora il 26 sett. 1766, il B., sostituito da A. E. Visconti, lasciò Vienna nel settembre 1767.
Nella relazione che trasmetteva al suo successore (ibid. 761, ff. 187-190) il B. lamentava che soltanto nella bassa plebe era rimasta viva la devozione religiosa, mentre le classi colte erano state corrotte dalla lettura "di stranieri libri pieni di veleno pestilenziale alla Religione ed a' buoni costumi"; l'episcopato e il clero, sebbene il loro comportamento fosse ineccepibile da un punto di vista religioso, non volevano dipendere dalla nunziatura; i ministri erano, in generale, poco favorevoli alla Chiesa, specialmente il Kaunitz; lodata era, invece, la religiosità dell'imperatrice, sulla quale però esercitavano un'influenza negativa il medico olandese Van Swieten, il vescovo di Passavia e il prelato di S. Dorotea, confessore privato, accaniti antigesuiti; sostanzialmente positivo era il giudizio del B. sul futuro imperatore Giuseppe II.
Fermatosi a Milano per un periodo di riposo, il B. vi si trovò anche durante la crisi provocata dal monitorio papale al governo di Parma: ormai definitivamente schierato con gli "zelanti" giudicò troppo "umile e abietta" la condotta di Clemente XIII, che per placare le corti borboniche aveva sacrificato il segretario di Stato Torregiani (ibid. 388, ff. 216 s., lett. al Garampi 24 ag. 1768). Ritornato a Roma nell'autunno 1768, ottenuto il titolo cardinalizio di S. Maria in Aracoeli, fu eletto legato di Ravenna il 1º genn. 1769, ma, per la morte di Clemente XIII, prese possesso del governo affidatogli soltanto il 4 luglio. Nel conclave appoggiò la candidatura Ganganelli dopo che questi, come sembra, aveva assicurato che i gesuiti non sarebbero stati soppressi.
A Ravenna, costretto dopo il 1773 a eseguire le direttive papali per la soppressione della Compagnia in una zona ove operavano anche numerosi ex gesuiti spagnoli, il B. fu sospettato di complicità con alcuni di essi che avevano stampato, verso la fine del 1776, un opuscolo (Lettera del vescovo N. in Francia al cardinal N. in Roma, s.l. né d.) che attaccava violentemente la condotta antigesuitica del Papato. Certo è che il B. aveva letto la Lettera ancora manoscritta, ma - secondo le sue affermazioni, - aveva ricevuto promessa che non si sarebbe stampata; per l'energico intervento della segreteria di Stato fu costretto, comunque, a confiscare le cinquemila copie già in circolazione e ad arrestare i gesuiti Bruno Marti, che ne era l'autore, e Agostino Puchol, che aveva provveduto alla pubblicazione, e gli stampatori Achille e Vincenzo Marozzi di Forlì (aprile 1777).
Sostituito dal card. L. Valenti Gonzaga, il B. lasciò Ravenna il 5 luglio 1778. Dopo una breve permanenza a Milano, si trasferì definitivamente a Roma, ove ebbe da Pio VI cariche di rilievo, divenendo prefetto della Congregazione dell'Immunità ecclesiastica e membro delle congregazioni del S. Offizio, Concilio, Propaganda Fide, Indulgenze e sacre reliquie, Acque, e fu deputato alla correzione dei libri della Chiesa orientale; il 15 dic. 1783 optò per il titolo di S. Prassede. Nel clima di attiva reazione alle idee gianseniste e giurisdizionaliste che si andava creando a Roma dopo il 1782, il B. ebbe una parte di primo piano, proteggendo alcuni ex gesuiti, tra cui F. Antonio Zaccaria e Giuseppe Cernitori, e particolarmente Giovanni Marchetti, che dal 1785 fu uno degli uomini di punta della pubblicistica filocuriale. Scoppiata in Francia la Rivoluzione, il B. fu chiamato a far parte, insieme ai cardinali Albani, Antonelli, Campanella, Pallotta e Salviati, della Congregazione per gli affari di Francia, che doveva esaminare la situazione seguita alla promulgazione della costituzione civile del clero e che orientò in senso intransigente le decisioni del papa.
Il B. morì a Roma il 7 giugno 1793.
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