BORROMEO, Vitaliano
Terzo figlio, dopo Renato e Giberto, del conte Carlo e di Isabella, figlia del conte Ercole D'Adda, nacque a Milano il 5 apr. 1620. Insieme con il fratello Giberto, poi cardinale, fu inviato nel 1637 a Roma per compiervi gli studi. La sua educazione fu prevalentemente filosofica e letteraria, così da consentirgli nell'età avanzata il rifugio della meditazione e degli ozi poetici; ma la sua giovinezza, a studi compiuti, fu votata alle armi.
Quando il B. cominciò la sua milizia nell'esercito spagnolo dello Stato di Milano, la sconfitta degli Spagnoli a Rocroi, nel 1643, aveva finalmente risolto la secolare alternativa dei re cattolici tra lo scacchiere fiammingo e quello italiano, travolgendo, insieme con il governo del conte-duca d'Olivares, le ultime illusioni di egemonia europea della monarchia spagnola e restringendo questa alla disperata difesa dei domini periferici italiani. La pianura padana ridiventava quindi il teatro principale del conflitto franco-spagnolo, e tale sarebbe rimasta sino alla pace dei Pirenei. La carriera del B. coincise con questi tre lustri di intensa ripresa della guerra nell'Italia settentrionale: gli alti gradi che egli vi conseguì sembrano tuttavia, piuttosto che un tributo alle sue effettive qualità militari, un omaggio alla sua condizione di esponente della aristocrazia milanese, verso le cui pretese, prerogative ed esigenze Filippo IV era costretto ora, dal nuovo corso politico-militare, a riconoscimenti senza precedenti.
Dopo aver partecipato in posizione subalterna alle campagne degli anni 1643-1646, il B. ebbe un ruolo importante in quella del 1647-48, durante il nuovo, massiccio attacco portato alla stessa Milano dai Franco-modenesi del maresciallo Serion, di Tommaso di Carignano e di Francesco I d'Este. Agli ordini del marchese di Caracena il B. comandava, con il grado di maestro di campo, un contingente di duemila uomini, una metà dei quali assoldati a proprie spese. Dopo l'offensiva tentata senza successo dal Caracena sul Po contro le truppe del Serion, nell'autunno 1647, la resistenza degli Spagnoli alla controffensiva avversaria si attestò sull'Adda, imperniandosi appunto sulle fanterie comandate dal B., contro le quali si infransero i reiterati tentativi dei Franco-modenesi di passare il fiume e di dilagare sulla capitale. La resistenza del B. decise in pratica la campagna, poiché dapprima il sopraggiungere della stagione invernale frenò lo slancio aggressivo degli avversari e poi la guerra civile insorta in Francia costrinse il Mazzarino a rinunziare al tentativo contro lo Stato di Milano, che pure aveva giudicato risolutivo.
Nel 1651 il governo spagnolo decise di approfittare delle difficoltà interne della Francia per portare un colpo decisivo in Piemonte, che recuperasse tutti i territori ancora occupati dai Francesi. L'accordo realizzato con il duca di Modena permetteva ora al marchese di Caracena questa libertà di iniziativa. Il B. partecipò a questa campagna, diretta dallo stesso governatore di Milano, alla testa di duemilacinquecento fanti, tutti reclutati nei feudi della sua famiglia, e durante tutto quell'anno corse il territorio piemontese sino a Moncalieri. L'anno successivo, realizzata l'alleanza degli Spagnoli con il duca di Mantova Carlo II Gonzaga, il Caracena si pose l'obiettivo massimo che la politica spagnola prevedeva in Piemonte: la riconquista di Casale. Al B. toccò un compito di primo piano durante l'assedio di questa ultima roccaforte francese in Piemonte, poiché il marchese di Caracena gli affidò la difesa di Novara, Arona e Vercelli contro i tentativi di diversione operati dai Francesi per alleggerire la morsa spagnola che stringeva la capitale del Monferrato.
Nelle campagne degli anni successivi, quando i Francesi ripresero l'offensiva contro lo Stato di Milano, il B. ebbe responsabilità sempre crescenti. Si illustrò nel 1657 con una vigorosa difesa di Tradate, che gli valse gli elogi del nuovo governatore di Milano, conte di Fuensaldaña, e, nello stesso anno 1657, la carica di comandante in capo dell'armata del Ticino, non salvandosi tuttavia dal generale discredito in cui furono coinvolti i maggiori capi dell'esercito spagnolodi Lombardia, che non riuscirono a impedire ai Francesi d'impadronirsi nuovamente di tutta la regione al di là del Ticino, minacciando ancora una volta la stessa Milano. Fu probabilmente perché anche la condotta di guerra del B. non era stata indenne da critiche che durante la campagna dell'anno successivo lo si trova, ridotte di molto le sue responsabilità militari, nella carica di governatore dapprima di Tortona e poi di Pavia. Qui tuttavia sostenne valorosamente un assalto francese, sul quale praticamente si concludeva la campagna, mentre le opposte rappresentanze diplomatiche s'impegnavano nel tentativo di arrivare alla pace. Un ultimo incarico militare il B. ebbe nel marzo del 1659, allorché si portava da Pavia ad Arona per rafforzare le fortificazioni di quest'ultima piazzaforte e per reclutarvi nuove milizie, rese inutili però dalla stipulazione del trattato dei Pirenei, il 7 nov. del 1659, che avrebbe procurato a Milano un secolo e mezzo di pace.
Così si concludeva la carriera militare del B., anche se egli avrebbe ricoperto in futuro, a puro titolo onorifico, la carica di capitano generale dell'artiglieria dello Stato. Egli rimaneva tuttavia come uno dei principali esponenti dell'aristocrazia milanese sui quali il governo spagnolo poteva contare per le proprie occorrenze: fu impiegato infatti in diverse missioni diplomatiche, a partire forse dal 1665. Non si sa peraltro se il viaggio compiuto dal B. in quell'anno alla corte imperiale ad Innsbruck fosse per incarico del governatore di Milano, Luis Guzmán Ponce de León, oppure fosse in relazione con l'ufficio attribuito allo stesso B. di procuratore generale dell'imperatore in Italia, incarico che pare gli venisse revocato nel 1674 per incompatibilità tra le sue funzioni di rappresentante imperiale e di feudatario di Castiglione. Nel 1666 fu inviato dal governatore di Milano alle corti di Modena e di Mantova, per portare la parola moderatrice della Spagna nelle contese insorte tra quei due principi. Una analoga missione gli toccò, alle stesse corti, nel 1678, allorché con il marchese Galara fu incaricato dalla corte di Spagna di tentare una mediazione tra gli Estensi ed i Gonzaga sul contrasto per Guastalla.
Aveva ancora il titolo di commissario imperiale nel 1679; fece anche parte del Consiglio segreto dello Stato: in tale veste esprimeva nel 1682 il proprio parere, insieme al conte Ercole Visconti ed a vari dignitari spagnoli dello Stato di Milano, sulla "conveniencia de acrecentar las fuerzas del estado teniendo en cuenta que la medida sea tolerable para sus vasalos" (Magdaleno, p. 403).
Nel 1682 fu incaricato di incontrare il ministro modenese conte A. Foschieri, con l'incarico di appurare "la posición de Modena en las presentes emergencias" (ibid.), probabilmente, cioè, in relazione all'occupazione di Casale fatta dai Francesi l'anno precedente ed alla possibilità che essa preludesse a nuove intenzioni aggressive della Francia in Italia, preoccupazione che del resto si manifestò assai presto infondata.
Ancora il parere del B. fu richiesto nel 1683, in relazione al problema della "conveniencia de mantener en Milan un cuerpo de dragones" (ibid., p. 405). Nel 1687 il conte di Fuensalida, governatore di Milano, lo incaricò di una nuova missione a Parma e Modena: su di essa tuttavia non si hanno notizie precise. Ormai anziano, il B. continuava ad essere una figura di primo piano nel governo spagnolo di Milano e della sua opinione occorreva tenere conto, non soltanto in virtù della sua esperienza, ma anche perché attraverso di lui si esprimevano gli umori e i malumori dell'aristocrazia milanese, che gli Spagnoli non potevano ignorare: il Morandi ricorda come nel 1690 il B. non nascondesse la sua ostilità, che era poi largamente quella del suo ceto, alla alleanza con Vittorio Amedeo II di Savoia, dietro le cui profferte di amicizia e di buona volontà i nobili milanesi temevano, non a torto, progetti segreti che si sarebbero risolti in danno dello Stato di Miiano.
A questa attività politica e diplomatica il B. aveva cominciato ad accompagnare, sin dalla sua rinunzia alla milizia, dopo la pace dei Pirenei, oltre all'esercizio delle pubbliche cariche che gli toccavano come esponente della nobiltà milanese (fu, oltre che membro del Consiglio di Stato, componente di quello dei Sessanta decurioni), una attività letteraria cui fecero testimonianza numerosi letterati coevi, che tutti lo ebbero amico e protettore: da C. M. Maggi a T. Ceva, da G. B. Borella a G. G. Semenzi, il quale gli dedicò i sonetti della sua "sesta giornata" del Mondo Creato, dai prefetti della Biblioteca Ambrosiana G. A. Sassi e P. P. Bosca al Muratori, il quale ricorda come "egli a dismisura ottenne di farsi amare dalla Nobiltà e dal popolo minuto, che in lui scorgeva un'altissima idea della gentilezza e una generosa soavità di costumi" (Cipollini, p. 9).
Dell'estimazione di cui godeva il B. tra i letterati milanesi è prova, oltre alle numerose testimonianze di cui si è detto, la sua elezione nel 1660 a principe dell'Accademia milanese dei Faticosi, nella quale carica succedeva al congiunto Giovanni Borromeo. L'Accademia, la più illustre del tempo a Milano, aveva come fine principale l'illustrazione della dottrina aristotelica e il B. risulta in tali studi impegnatissimo: l'archivio della famiglia conserva numerosi manoscritti di opere sue rimaste inedite intorno a problemi di fisica e di morale: Discorso particolare del Lume; Del Lume e delle ombre; Del bene; Dell'arte di conoscere e giudicare il bene ed il male; Dell'arte di persuadere; Della perfezione; Dell'esame delle cose e loro appartenenti,circostanze,rispetti,effetti e conseguenze; Dell'uomo. È ricordata un'altra operetta del B... dal titolo L'arte di operare a fine, di cui si è perduta ogni traccia. A questi scritti vanno aggiunte, oltre a varie relazioni politiche e diplomatiche, lo scritto inedito del 1664 Sulle qualità personali dell'Imperatore Leopoldo I e dell'Imperatrice Eleonora vedova come 3a moglie; dell'Imperatore Ferdinando III,dei ministri e persone di Corte e un discorso Della guerra.
Del B. fu dato alle stampe un Epithalamium, pronunziato in occasione delle nozze di Ladislao di Polonia con una principessa austriaca, nel Collegio Braidense: In nuptiis faustissimis serenissorum Vladislai Poloniae ac Sveciae regis,et Ceciliae Austriacae Ferdinandi III imperatoris sororis, Mediolani s. d. A stampa è anche un sonetto del B., pubblicato dal Muratori nella Vita del Maggi e ristampato dal Cipollini. Di notevole importanza per la storia politica del tempo e per quella della cultura milanese è il ricco epistolario inedito del B., custodito nell'Archivio di Stato di Milano ed in quello della famiglia: prodigo di notizie sulla vita milanese, sulle guerre e sulle paci, sulle varie corti europee e sul Turco, nonché naturalmente sulla stessa famiglia Borromeo. Interessanti estratti ne dà il Cipollini per quanto riguarda la guerra del duca di Savoia contro i "Barbetti eretici", nel 1686.
Alla grandezza della sua famiglia il B. contribuì egregiamente soprattutto portando a compimento la splendida villa detta dell'Isola Bella, nell'isola di San Vittore, nel Lago Maggiore. L'opera era stata iniziata nel 1632, sotto gli auspici di Carlo, padre del B., ma ebbe un risolutivo impulso soltanto a partire dal 1665, quando il B. si assunse l'impegno di portarla a compimento affidandone la realizzazione ad alcuni tra i più valenti architetti che operavano in Lombardia, fra i quali F. M. Ricchino il Vecchio e, chiamato a Milano dal B. nel 1688, Carlo Fontana. "Ciclopica costruzione a terrazze, ascendenti dal lago al belvedere in sommità, con fantastica ricchezza di scale, gradinate, obelischi, statue a cui collaborarono scultori di grido, quali il Simonetta e il Rusnati: e un teatro all'aperto, ad emiciclo" (P. Mezzanotte, L'architettura da F. M. Ricchino al Ruggeri, in Storia di Milano, XI, Milano 1958, p. 460), l'Isola Bella suscitò le lodi più ammirate tra i contemporanei, sebbene non mancasse poi chi la giudicò, come il Brokeden (Cipollini, p. 24), degna "d'un uomo ricco, e del gusto d'un caffettiere". In ogni caso degna di un uomo di gusto fu la pinacoteca raccolta nella villa dal B., che contava tra l'altro opere del Luini, del Bordone, del Tiziano, del Tintoretto, di Daniele Crespi, di Leonardo. L'Isola Bella divenne il centro, ancora vivo il B., sebbene assai più con i suoi discendenti, della vita elegante della capitale lombarda: ed il B. stesso, a quanto pare, collaborò con il Maggi ad alcuni dei melodrammi che vi vennero rappresentati alla presenza della aristocrazia cittadina, nello sfarzoso teatro all'aperto.
Il B. morì a Milano l'8 ottobre 1690. Lasciò suo erede il nipote Carlo, poi viceré imperiale di Napoli nel 1710.
Bibl.: R. Magdaleno, Catalogo XXIII del Archivo de Simancas. Papeles de Estado. Milan y Saboya, Valladolid 1961, ad Indicem;G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, p. 1805; A. Cipollini, Il conte V. B. (1620-1690), Roma 1913; C. Morandi, Lo Stato di Milano e la politica di Vittorio Amedeo II (1690-1695), in Ann. del R. Ist. stor. ital. per l'età moderna e contemporanea, IV (1938), p. 19; F. Giannessi, La letteratura dialettale e la cultura, in Storia di Milano, XI, Milano 1958, p. 429.