RAIMONDINI, Vincenzo
RAIMONDINI, Vincenzo. – Nacque a Messina il 10 ottobre del 1758, da Domenico, speziale di professione.
Dopo aver compiuto gli studi nella città natale si mosse verso Napoli nel 1780, per potere addottorarsi in medicina. All’Università seguì, fra i tanti, le lezioni di Antonio Sementini, Domenico Cotugno, Domenico Cirillo, Antonio Fasano e Vincenzo Petagna, scoprendo, grazie al magistero di Giuseppe Melchiorre Vairo, professore di chimica presso la facoltà medica e docente di fisica sperimentale all’Accademia militare, la propria passione per la chimica.
Raimondini si distinse subito a tal punto da ottenere dal governo l’incarico di visionare la nitriera naturale del Pulo di Molfetta; in quell’occasione raccolse molti oggetti naturali delle contrade circonvicine. Esito di questa perlustrazione fu Lettera al Signor Marchese N. N. relativa alla quistione insorta tra Angelo Fasano e l’Abate Alberto Fortis intorno il Nitro del Pulo di Molfetta (s.l. [ma Molfetta] 1787). Il trattatello, come indica il titolo, si inseriva in una più vasta polemica in cui erano coinvolti, oltre i citati Fortis e Fasano, Ludovico Uvolo e Melchiorre Vairo; Raimondini si schierò a favore della tesi di Fasano che tendeva a ridurre il nitro a una specie di sale.
Ritornato a Napoli, Raimondini fu scelto per far parte del gruppo di sei naturalisti che nelle intenzioni di Giuseppe Parisi, generale del corpo degli ingegneri militari, Domenico Caracciolo e John Actom, segretari di Stato di Casa reale e di Guerra e Marina, dovevano preparare maestranze per avviare una nuova politica di sfruttamento delle risorse minerarie del Regno.
Il gruppo, partito da Napoli il 15 maggio 1789 con prima meta Vienna, era composto, oltre che da Raimondini stesso, da Andrea Savaresi, Matteo Tondi, Giuseppe Melograni, Giovanni Faicchio e Carmine Antonio Lippi. Giunto a Vienna, coadiuvati dall’ambasciatore Marzio Mastrilli marchese di Gallo, il gruppo ebbe come meta l’Imperial e Regio Collegio di Schemnitz, in Ungheria, dove, dal 1° settembre 1789, si teneva un corso biennale di mineralogia teorico-pratico.
Il corso si snodò fra alterne fortune: difficoltosi furono i rapporti con la commissione incaricata di giudicare le relazioni tecniche, e altrettanto difficile la collaborazione fra i sei mineralisti. Si optò infine per una soluzione drastica, suddividendo il gruppo in tre coppie; a Raimondini toccò la compagnia di Melograni con il compito di rimanere a Schemnitz e di curare la sezione dei ‘lavori generali’. Nell’aprile del 1792 la medesima coppia, così come quella costituita da Lippi e Savarese, lasciò Schemnitz per una lunga missione che portò Raimondini per l’Alta e Bassa Ungheria, la Transilvania, la Polonia, la Galizia, la Boemia, l’Austria e il Tirolo, a Freyberg, in Sassonia, al fine di seguire le lezioni di Abraham Gottlieb Werner, proseguendo parallelamente nella visita delle miniere in Sassonia. Nel 1794 la coppia fece rotta verso l’Inghilterra, visitando le miniere di stagno della Cornovaglia, di manganese nel Devonshire, di piombo nel Derbyshire, di grafite nel Cumberland. Il 3 giugno 1796, assieme a Melograni, Tondi e Lippi, Raimondini partiva da Londra alla volta di Napoli.
Appena rientrato, fu con i colleghi inviato a verificare la bontà della segnalazione che aveva fatto Cosimo Di Giovanni circa il ritrovamento di carbon fossile delle montagne di Giffoni. La relazione espresse parere negativo, da cui una disputa con Di Giovanni. Le autorità diedero però ragione ai sei mineralisti e il cavaliere Nicola Codronchi, consigliere supremo delle Finanze, a sottolineare l’acquisita credibilità, propose che essi formassero un Collegio mineralogico, a cui si diede subito compito di verificare l’efficienza della fonderia di Mongiana, in Calabria.
Raimondini partì dunque, come membro del Collegio, nel 1797; concluse la missione nel 1799, quando le proposte che il Collegio avanzò si scontrarono rovinosamente con gli «interessi privati dei vari proprietari terrieri» (Ghiara, in Circolazione dei saperi scientifici..., 2013, p. 17). Grazie però all’esperienza acquisita e consapevole del ruolo che era chiamato a ricoprire, Raimondini fu nuovamente inviato nella regione, rimanendovi dal 1801 fino al 1804 in qualità di soprintendente delle Regie Ferriere di Calabria Ultra. Nel corso di questo soggiorno ebbe modo di verificare la tecnica con cui nei dintorni di Reggio si produceva una tela con una canapa di pessima qualità. Ne trattò anni dopo in una nota, intitolata Sopra la preparazione del canape prima di essere pettinato, e sopra la maniera di filarlo e pubblicata nel 1807 negli Atti del Real Istituto d’Incoraggiamento di Napoli (I, pp. 19-29), in cui illustrò gli esperimenti di macerazione della canapa in acqua, dando al contempo prova di interessarsi degli aspetti tecnici della procedura relativamente alla tipologia dei pettini e delle ruote in uso.
Richiamato a Napoli nel 1804, gli fu conferito il ruolo di custode del Real Museo mineralogico, istituito nel 1801, con il compito di affiancare il direttore Giuseppe Saverio Poli. Nel 1806, con l’arrivo dei francesi a Napoli, Poli per ragioni politiche si rifugiava in Sicilia, e il posto di direttore, restato vacante, fu affidato a Raimondini, che si era fin da subito messo a disposizione del re Giuseppe Napoleone. All’insediamento corrispose la scrittura di un’interessante memoria inviata al ministro dell’Interno André-Francois Miot (si tratta della Memoria sul sistema da tenersi per lo stabilimento mineralogico e della monetazione diretta a S. E. il Ministro dell’interno da V. R. e presentata al medesimo il mese di giugno 1806, ora conservata presso l’Archivio di Stato di Napoli, Segreteria di Stato e Casa Reale, fs. 1272, incartamento 2, edita in Ghiara, in Circolazione dei saperi scientifici..., 2013, pp. 24-44).
Nell’opera di riordino dell’Università, si istituì con decreto del 31 ottobre 1806 la cattedra di mineralogia. Nel progetto originario si era pensato di affidarla a Matteo Tondi, allora a Parigi. Appurata la non disponibilità di Tondi, Raimondini ottenne la cattedra nel gennaio dell’anno successivo. Come direttore del Real Museo mineralogico, Raimondini, che pure fu di orientamento ‘nettunista’ avendo frequentato la scuola di Werner, non lesinò energie per accrescere e completare le collezioni con i prodotti dell’attività vulcanica, prestando comunque attenzione a favorire acquisti idonei alle esigenze didattiche. Nel 1810 Raimondini scoprì un minerale fra quelli eruttati dal Vesuvio nominandolo zurlite in onore del conte Giuseppe Zurlo. Ne diede notizia in un Rapporto di un minerale del Vesuvio non ancora descritto, che fu letto nel corso della seduta del 13 gennaio 1810 all’Accademia di scienze di Napoli. Il testo fu però pubblicato soltanto nel 1825 da Teodoro Monticelli, allievo di Raimondini e da Nicola Covelli nel Prodromo della mineralogia vesuviana, edito a Napoli (pp. 396-404). Nel pubblicare il Rapporto, Monticelli e Covelli rivendicarono a Raimondini la legittimità della scoperta che era stata messa in dubbio da Carmine Antonio Lippi, ma già difesa in una brevissima annotazione da Tondi nel secondo dei tre volumi degli Elementi di orittognosia, edito a Napoli nel 1817 (pp. 356 s.).
Nel 1811 Raimondini fu membro anche della commissione istituita dal ministero degli Interni per introdurre il ‘metro legale’ come unità di misura, secondo il modello adottato in Francia dal dicembre del 1799. Sulla scorta delle misurazioni e degli esperimenti condotti, la commissione stilò al sovrano un rapporto che costituì la base della nuova legge sui pesi e sulle misure del Regno di Napoli.
Morì a Napoli il 15 settembre 1811.
Alla produzione scientifica pubblicata in vita, si sarebbe aggiunto, stando a quanto attesta il discepolo Stefano Delle Chiaje, un Trattato elementare di mineralogia; l’opera, rimasta manoscritta, era peraltro incompleta, essendo state ultimate solo le prime due parti previste, mentre risultava mancante la terza che doveva trattare la geologia (Delle Chiaje, 1821, p. 22).
Fonti e Bibl.: Documenti relativi alla missione in Germania si trovano presso l’Archivio di Stato di Napoli, Segreteria e Ministro degli affari esteri, 4821-2; quelli relativi al suo operato come direttore del Real Museo mineralogico ibid., Segreteria di Stato e Casa Reale, 1272.
S. Delle Chiaje, Necrologia di F. Cavolini, V. R., F. Daniele, A. Sementini, G. M.a Gagliardi, M. Ferrara, F. Zuccari, e B. Amantea, Napoli 1821, pp. 17-22; D. Vaccolini, R., V., in E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo XVIII, e de’ contemporanei, I, Venezia 1834, pp. 395 s.; V. Flauti, Anecdota ad publicam eruditionem spectantia post auctoris fata inter amicos evulganda, Napoli 1837, pp. 88 s.; A. Scherillo, La storia del Real Museo mineralogico di Napoli nella storia napoletana, in Atti dell’Accademia pontaniana, n.s., 1966, n. 15, pp. 7, 16-18, 48; R. De Sanctis, La nuova scienza a Napoli tra ’700 e ’800, Roma-Bari 1986, pp. 64, 71 s.; A.M. Rao, Esercito e società a Napoli nelle riforme del secondo Settecento, in Studi storici, 1987, n. 28, p. 658; M.R. Ghiara - I. Menditti, Il Real Museo Mineralogico, in I musei scientifici dell’Università di Napoli Federico II, a cura di A. Fratta, Napoli 1999, pp. 99, 114; A.M. Rao, Politica e scienza tra Sette e Ottocento, in Atti del Bicentenario del Real Museo Mineralogico 1801-2001, a cura di M.R. Ghiara - C. Petti, Napoli 2001, pp. 16-35; R. Spadaccini, Dalle miniere agli archivi: viaggio mineralogico in Europa di sei napoletani, in Napoli nobilissima, s. 5, 2002, n. 3, pp. 179-206; M. Toscano, Alberto Fortis nel Regno di Napoli: naturalismo e antiquaria 1783-1791, Bari 2004, pp. 61, 98, 105 s., 117, 144; Circolazione dei saperi scientifici tra Napoli e l’Europa nel XVIII secolo, a cura di R. Mazzola, Pomigliano d’Arco 2013 (in partic. M.R. Ghiara, Dalle miniere al Real museo: il viaggio mineralogico del 1789 all’origine dello sviluppo della mineralogia a Napoli, pp. 7-44; C. Petti, «Uno stabilimento singolare in Europa». L’origine del museo di Mineralogia da documenti d’archivio (1777-1806), pp. 47, 55 s.).