PARISI, Vincenzo
PARISI, Vincenzo. – Nacque a Matera il 30 ottobre 1930 da Amedeo, funzionario di banca, e da Lea Notari, casalinga. Fu il secondo di tre figli.
All’Università di Napoli conseguì la laurea in giurisprudenza e quella in scienze politiche. Il 19 agosto 1956 sposò Maria Mazzocco, dalla quale ebbe cinque figli (Gianfranco, Maria Rosaria, Paola, Marcello e Antonella).
Parisi entrò nell’amministrazione dello Stato nel 1951 come cancelliere volontario del ministero di Grazia e Giustizia, presso le sedi di Bergamo e Corteolona (in provincia di Pavia). Il 1° settembre 1955 fu ammesso, come volontario, al ministero dell’Interno con il grado di vicecommissario aggiunto di Pubblica Sicurezza (PS). Prestò servizio fino al dicembre del 1957 nell’ufficio politico della questura di Bologna e di lì fu destinato a Foggia. Trasferito nel marzo 1960 a Pisa, fu incaricato di dirigere il commissariato di Volterra. Nel febbraio successivo venne trasferito alla questura di Arezzo, presso la quale ricoprì per otto anni l’incarico di capo di gabinetto, conquistando consensi tali da farlo descrivere – su la Nazione del 9 marzo 1971 – come un funzionario capace di stabilire «rapporti più moderni fra autorità e cittadino», riuscendo ad «accreditare [… nuove] concezioni di polizia democratica».
Parisi fu apprezzato per la sua opera «intelligente ed efficace» anche in incarichi ricevuti al ministero. Nell’ambito di un comitato per il riordinamento dei sistemi di lavoro, Parisi formulò proposte, definite – in un appunto al capo della polizia – «originali» e «costruttive», in ragione delle quali venne incaricato di redigere per il ministero un «lavoro completo e organico» sull’organizzazione dei servizi delle questure.
Nel luglio del 1971 venne chiamato a far parte della segreteria del capo della polizia, Angelo Vicari. Alla Direzione generale della PS Parisi istituì l’ufficio Organizzazione e metodo, occupandosi inoltre di relazioni esterne e pubblicando una serie di articoli su riviste di settore (Polizia moderna, Rivista di polizia). Promosso vicequestore nel giugno del 1973, ebbe la direzione della divisione Armi ed esplosivi. Nell’ambito di tale incarico fu nominato, nel 1974, componente di un comitato per il controllo della vendita e detenzione delle armi da fuoco presso il Consiglio d’Europa. La qualità del suo apporto è testimoniata da una nota (del ministero di Grazia e Giustizia) nella quale si sottolineava come il fatto che i risultati raggiunti corrispondessero «pienamente agli interessi del nostro Paese» si doveva «esclusivamente all’opera del dott. Parisi».
In quegli anni Parisi ebbe ruolo primario nell’elaborazione di proposte di legge sull’uso delle armi e nella definizione di scelte (organizzazione degli uffici, criteri di comunicazione, relazioni pubbliche) sui quali sarebbe tornato negli anni del suo incarico di capo della polizia. Promosso questore nel 1977, Parisi fu inviato a Grosseto e continuò a collaborare attivamente con la Direzione generale di PS in un gruppo di lavoro per la semplificazione delle procedure e dei sistemi di comunicazione del quale fu «l’elemento propulsore, organizzatore e coordinatore». Significativo, al riguardo, un appunto inviato al capo della polizia, Giuseppe Parlato, il 23 gennaio 1978, che faceva seguito alla richiesta del direttore generale del personale del ministero, Aldo Buoncristiano, di permettere che Parisi – nonostante fosse questore di Grosseto – potesse continuare a svolgere l’incarico ricevuto, per la sua «specifica esperienza nei settori interessati».
Vicedirettore del servizio segreto civile, il SISDE (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza DEmocratica), dal 1980, Parisi ne divenne direttore quattro anni dopo, rafforzando l’azione di intelligence delle forze di polizia con sensibile miglioramento dei rapporti con i Paesi alleati in una fase di forte instabilità nell’area mediorientale e nel bacino del Mediterraneo. Parisi, nominato prefetto l’11 febbraio 1983 e promosso prefetto di 1a classe il 25 marzo 1985, fu nominato capo della polizia il 23 gennaio 1987, quando presidente del Consiglio era Bettino Craxi e ministro dell'Interno Oscar Luigi Scalfaro.
Nella scelta ebbe notevole peso la sua esperienza di direttore del SISDE, nella quale aveva dato notevole impulso a una più moderna azione di intelligence finalizzata alla prevenzione dei reati attraverso la conoscenza dei fenomeni e degli ambienti malavitosi. Oltre a ciò, la nomina fu dovuta alla sua riconosciuta capacità di organizzatore e di funzionario attento alle dinamiche interne: elementi che lo rendevano il più adatto a «dare il via» alla riforma della PS, approvata con la legge 121 del 1981 e rimasta «imbrigliata – secondo giudizi di stampa – in mille difficoltà burocratiche».
Parisi arrivò al vertice della polizia in un momento delicatissimo, nel quale – di fronte all’intensificarsi della strategia stragista – la lotta alla mafia «non [fu] più delegata ai magistrati siciliani», ma impegnò direttamente il governo e le istituzioni. Di tale scelta fu segno tangibile la «drammatica relazione» – presentata da Parisi alla Commissione antimafia – nella quale Cosa nostra «veniva definita per la prima volta un’organizzazione antistato». Per adeguare gli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo Parisi creò e rafforzò le strutture interforze: l'International criminal police organization (Interpol), il Servizio centrale antidroga, la Direzione investigativa antimafia (DIA). Istituì all’interno della polizia il nucleo anticrimine, poi denominato Servizio centrale operativo. Tali soluzioni organizzative condussero a significativi miglioramenti dell’azione di prevenzione dei reati e di controllo del territorio. Nell’ambito del vasto ridisegno dell’attività di pubblica sicurezza, Parisi – con felice intuizione – avviò un radicale processo di modernizzazione dell’immagine delle forze dell’ordine, delle quali si sottolineava la 'prossimità' ai cittadini e ai loro bisogni di sicurezza. In tal modo si crearono i presupposti di forme di partecipazione all’azione di prevenzione di contrasto dell’illegalità e dei reati.
Il tambureggiante assalto allo Stato – attuato dalla mafia con le stragi del 23 maggio e del 19 luglio 1992, a Capaci e a Palermo, che costarono la vita a Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e ai componenti delle loro scorte, nonché con gli attentati del 1993 a Firenze (strage di via dei Georgofili), Milano (strage di via Palestro) e Roma (le bombe a S. Giovanni in Laterano e a S. Giorgio al Velabro) – indussero Parisi a esprimere l’amarezza per non avere saputo evitare «il verificarsi di gravissimi episodi» e ad affermare che riteneva «irrinunciabili», per restare al suo posto, «il rispetto e la buona considerazione» dei vertici istituzionali. La fiducia gli fu confermata, ma un anno più tardi, di fronte alla proposta del ministro dell'Interno Roberto Maroni di affiancargli alcuni possibili successori, Parisi – poco incline alla «limitazione del suo ruolo» – decise, pur con comprensibile amarezza, di farsi da parte, preannunciando le sue dimissioni in una lettera al presidente della Repubblica, Scalfaro. Si dimise il 27 agosto 1994.
Delle vicende di quei mesi è toccante testimonianza una lettera di uno dei vicecapi della polizia, il prefetto Franco Lamberto Mosti, nella quale si ricordavano le «nobili parole» pronunciate da Parisi all’Istituto superiore di polizia il giorno del suo commiato.
Nominato consigliere di Stato, Parisi continuò a prestare la sua opera come ispettore generale di amministrazione. Lo spessore del suo ruolo nella storia della sicurezza pubblica può evincersi dalla circostanza che i successori di Parisi al vertice della polizia (Giovanni De Gennaro, Antonio Manganelli), fino ad Alessandro Pansa, erano stati da lui prescelti negli anni del suo mandato per dirigere i settori nodali della pubblica sicurezza.
Parisi morì in servizio, per un infarto, nella notte tra il 30 e il 31 dicembre 1994. Lo stesso giorno il presidente della Repubblica, Scalfaro, gli conferì la medaglia d’oro al merito civile, prendendo parte, il 2 gennaio successivo, alle esequie.
Fonti e Bibl.: Il Giornale del mattino, 27 luglio 1967; Archivio del ministero dell’Interno, Direzione generale di Pubblica Sicurezza, Comitato per il riordinamento dei sistemi di lavoro, 13 settembre 1968: Appunto per S.E. il capo della Polizia; ibid., 23 gennaio 1978: Appunto per il signor capo della polizia; Gabinetto del ministro, prot. n. 15240/113: Nota del 1° giugno 1977; Direzione generale degli Affari generali e del personale, prot. n. 2107, 10 gennaio 1978; Archivio del ministero di Grazia e Giustizia, Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena, Ufficio studi e ricerche, prot. n. 750249 - 6bis 215/4619, dicembre 1975; S. Mazzocchi, Col nuovo capo della polizia inizia la gestione riformista, in la Repubblica, 24 gennaio 1987; Il prefetto non si tocca, in Corriere della sera, 7 agosto 1993; M. Garbesi, L’amaro addio di Parisi, in la Repubblica, 26 agosto 1994.
R. Di Giovacchino, Il libro nero della prima Repubblica, Roma 2003, nuova ed. aggiornata 2005, p. 324; I capi della Polizia. La storia della sicurezza pubblica attraverso le strategie del Viminale, a cura di A. Paloscia - M. Salticchioli, Roma 2003, pp. 227-240.