DANDOLO, Vincenzo
Nato a Venezia, il 26 ottobre 1758, da famiglia non patrizia, seguì, a Padova, studî di chimica. Tornato a Venezia istituì una fortunata officina farmaceutica. Alle doti di abile preparatore il D. accoppiò la passione per la scienza, facendosi convinto assertore della chimica pneumatica del Barbieri, e propagatore delle dottrine del Lavoisier, del Morreau, del Fourcroi e del Van Mons, che egli tradusse e illustrò in un libro che ebbe sei edizioni, in meno di dieci anni: Fondamenti della fisica chimica applicata alla formazione dei corpi e dei fenomeni della natura. Novatore nella scienza, tale fu anche nella politica. Alla vigilia del rivolgimento veneziano del maggio 1797, il suo fondaco era il convegno dei fautori di novità. A rivoluzione compiuta fu caldissimo assertore di idee democratiche e una delle menti più forti della Municipalità provvisoria, ai cui lavori, da maggio a ottobre 1797, partecipò con impetuosa attività. Sognò la formazione di una repubblica italiana, o almeno veneta, di tinta democratica, secondo gl'insegnamenti d'oltralpe; e furono per lui, come per tanti patrioti, grave disillusione i patti di Campoformio, che lo costrinsero all'esilio, presso la Cisalpina e poi, nel 1799, in Francia. Ma anche di qui si allontanò disgustato di quella politica, per rinchiudersi nella solitudine del suo podere di Varese, recentemente acquistato, e dedicarsi agli studî agricoli. Il suo disgusto lo aveva manifestato nel libro Uomini nuovi di quegli anni; il frutto delle sue esperienze agricole apparve nello scritto sul Governo delle pecore spagnole e italiane. Ritornò alla politica attiva nel 1805, come provveditore generale in Dalmazia, con idee fattesi ormai più temperate. Dedicatosi al governo della provincia sentì rinascere in sé i vecchi sentimenti di veneziano e d'italiano, sì da resistere al Marmont nella difesa degl'interessi e dell'italianità della Dalmazia. Il suo governo fu memorabile, se non fruttifero: ma, riunita la Dalmazia alle provincie illiriche, il 1809, egli fu richiamato e relegato nelle inutili cure del senato consulente del regno italico, fatto conte, insignito della legion d'onore, ma reso inattivo fino al 1813, quando il governo napoleonico, ormai agli estremi, lo inviò nelle Marche per sedare le commozioni popolari colà scoppiate. La catastrofe napoleonica lo ricondusse a Varese, agli studî prediletti, volti, fra l'altro, alla coltura del baco da seta (a lui si devono le cosiddette dandoliere per l'allevamento del baco). Morì il 12 dicembre 1819.
Bibl.: G. Compagnoni, Memorie storiche, Milano 1820; id., Memorie, Milano 1927; S. Romanin, Storia della Rep. di Venezia, Venezia 1858, X, pp. 209, 213, 236-37; P. Pisani, La Dalmatie de 1797 à 1815, Parigi 1893; Verbali della Municipalità, Provv. di Venezia, 1897, Bologna 1927-28; A. Tamaro, La Vénétie Julienne et la Dalmatie, Parigi 1919, III, pp. 368, 373.