SIGONIO, Vicenzo
SIGONIO, Vicenzo. – Così si firma («Vicenzo Sigonio da Ferrara») l’autore del trattato La difesa per le donne contra quelli scrittori ch’hanno detto mai [mali] di quelle nei scritti et libri loro, conservato in copia unica, evidentemente autografa, alla Biblioteca comunale di Mirandola (Raccolta Gavioliana E.5.C.28), dopo un lungo pellegrinaggio cominciato a Ferrara e continuato nella biblioteca del monastero camaldolese di S. Michele in Isola, presso Murano (Venezia), fino alla dispersione di essa nel 1810 e il transito del codice attraverso varie collezioni private. Attualmente però (2017), stante l’inagibilità della biblioteca mirandolese dopo il sisma del 2012, il manoscritto si trova nel deposito della regione Emilia-Romagna di San Giorgio di Piano (Bologna).
Non sono state rintracciate notizie biografiche sul Sigonio: il suo nome non figura nei registri battesimali dei due archivi ecclesiastici ferraresi (che però partono da una data, il 1524, forse troppo tarda stante la presumibile datazione dell’opera); né compare nel Registro dei morti, ora all’Archivio storico comunale di Ferrara, che inizia dal 1579. Non risulta tra gli uomini della corte ferrarese né tra i personaggi di qualunque condizione che possano aver avuto rapporti con gli Estensi durante tutto il secolo XVI (e col governo pontificio nei primi decenni del XVII); non è citato tra i laureati, i dottori, i lettori dell’ateneo dei Ferrara, i letterati ferraresi o i componenti delle accademie letterarie attive nel Cinquecento; né alcuna cronaca ferrarese relativa a quel secolo lo nomina. Inoltre, un Vi(n)cenzo Sigonio non è intestatario di documenti né della Biblioteca Ariostea di Ferrara né dell’Archivio segreto Estense inglobato nell’Archivio di Stato di Modena. Dove invece esistono varie testimonianze della vita e attività del più celebre Carlo Sigonio modenese (v. la voce in questo Dizionario): nessuna di queste però, o delle carte relative alla famiglia (il cui cognome originale era peraltro Sigon o Sigone, latinizzato da Carlo solo dopo il 1560) cita un Vicenzo comunque imparentato.
Gli unici appigli per ricostruire una biografia di Vicenzo Sigonio sono rintracciabili nella sua opera, che se non dà altri indizi per confermare la veridicità della firma, riporta indubbiamente a Ferrara per il tipo di carta impiegata: centoventisette carte marchiate con una filigrana (fiore a sette petali su stelo con due foglie) di cui Charles-Moïse Briquet (Les filigranes: dictionnaire historique des marques du papier, Liepzig 1923, n. 6574) conosce un solo esemplare, su fogli dalle medesime dimensioni (31×42), tra gli atti rogati dal notaio ferrarese Jacobus (Giacomo) Ferrarini nel 1556. Non ebbe esitazioni a includere Sigonio tra i compatrioti il bibliotecario Giuseppe Faustini, nel redigere a fine Settecento la Biblioteca degli scrittori ferraresi (manoscritta all’Ariostea di Ferrara), peraltro desunta in questa sezione dal censimento di Giovanni Benedetto Mittarelli 1778.
La presenza del codice nel monastero veneziano, anticipabile perlomeno al 1701-1777 (data presunta della legatura in cartone secondo Merolla 2010, I, pp. 89 s.), non implica affatto una stesura dell’opera nell’ambiente monastico, cui il Sigonio non risulta essere appartenuto e con il quale non emergono rapporti d’alcun genere. Più sostenibile, ma non provata da ulteriori documenti, l’ipotesi di contatti con la stamperia di Vincenzo Valgrisi, tipografo di origine francese attivo a Venezia dal 1539 al 1573 (gli eredi fino al 1591): l’asserzione di Bodon (1997, p. 136) circa un presunto legame, che avrebbe coinvolto anche l’incisore Enea Vico, attivo a Venezia tra il 1536 e il 1548, poi a Ferrara tra il 1563 e la morte nel 1567, autore di un trattato sulle «donne auguste» (cioè di età romana imperiale) stampato da Valgrisi nel 1557, si fonda sulla somiglianza tra una delle marche tipografiche di Valgrisi («serpente accollato a bastone», oppure attorcigliato a una croce a Tau: che però non appare nell’edizione di Vico) e l’emblema apposto nel frontespizio della Difesa, poco sotto la metà pagina: una sorta di triangolo isoscele dai lati obliqui segmentati a mo’ di scale, sormontato da una T maiuscola alla cui asta verticale si intreccia una S poco più piccola; all’interno del triangolo è il motto, in carattere stampatello, «in / hoc signo / - vinces - / Signum Thau» (dove vinces e Signum potrebbero rimandare al nome dell’autore, ma anche alla scritta VIN – CENT che in edizioni di Valgrisi dal 1553 in poi affianca ai due lati la Tau).
È però possibile che l’emblema sia più tardo del titolo, e semmai risalga alla mano di un successivo possessore, che poco sotto il titolo originale vergò «O libro mio che tenutto sei in fra gl’altri più elloquente e dotto / Quanti vorianno saper di chi son nominatto legga il verso» (ma sul verso della carta non appaiono altre scritte della stessa mano o epoca). Va pure aggiunto che un marchio simile (serpente avvolto a uno stelo fiorito che sorge su un’altura) si trova a principio e fine di un’opera avvicinabile alla nostra, le Difese delle donne di Domenico Bruni da Pistoia (Firenze, Giunti, 1552).
È tuttavia indubbio che Sigonio preparò questo esemplare per la tipografia proponendone un facsimile nel manoscritto: le cui tre carte non numerate, che precedono quelle numerate in originale a penna, presentano una «Tavola de li capi, che si contengono nell’opera», poi l’elenco degli «Autori citati nell’opera»; mentre nella carta che segue l’ultima numerata (123) è scritto «Gli errori de la stampa si rimettono à chi sa».
Una datazione dello scritto intorno al 1560 è confermata dalle citazioni ivi contenute, le più recenti delle quali sono Le imagini con la sposizione de i Dei degli antichi del suddito estense Vincenzo Cartari (stampata a Venezia da Marcolini nel 1556), le traduzioni da Virgilio curate da Ludovico Domenichi (Firenze, Giunti, 1556), e la traduzione di Ludovico Dolce da Pedro Mexia, Le vite di tutti gl’imperadori (una giolitina del 1558 ripresa da Valgrisi nel 1561). Degno di nota è che la fonte principale di Sigonio, il trattato De legibus connubialibus di André Tiraqueau (Tiraquellus), sia utilizzata dall’edizione parigina 1546 fino al terzultimo capitolo (XXV), dove invece compaiono due citazioni assenti da quella del 1546 e desunte dall’edizione lugdunese del 1560: ciò lascia supporre che Sigonio stesse completando la Difesa quando prese visione della nuova stampa. Per il terminus ad quem, sarà utile ricordare che un altro dei repertori più citati, il Catalogus gloriae mundi, è indicato sotto il nome d’autore di «Chasseneo» (Chasseneuz), che appare nelle edizioni lugdunesi del 1529 e 1546, e non Cassaneo, come dato dall’edizione Valgrisi 1569; da prendere in considerazione il fatto che, mentre la Difesa cita con onore Ludovico Ariosto, Domenichi e, di sfuggita, l’altro ferrarese Ercole Strozzi («Strozza il giovane», morto nel 1508), non si faccia menzione di Torquato Tasso o di altri scrittori estensi del secondo Cinquecento.
Le labili tracce di Sigonio si perdono dopo il 1560: la più tarda presenza del suo manoscritto a Venezia non implica che l’autore vi sia passato (perché potrebbe trattarsi di una acquisizione dalle biblioteche di illustri bibliofili come i camaldolesi Angelo Calogerà o Mittarelli; più ardua l’ipotesi che vi sia pervenuta dai magazzini dell’officina Valgrisi). D’altra parte, l’argomento trattato si inserisce bene nella tradizione di ‘difese’ delle donne inaugurata in Ferrara e Mantova (ad esempio da Bartolomeo Goggio, Vincenzo Maggi e Agostino Strozzi, per tacere di Baldassarre Castiglione) dai tempi di Eleonora d’Aragona, moglie di Alfonso I, e di sua figlia Isabella poi duchessa di Mantova.
Il Registro dei morti all’Archivio storico comunale di Ferrara, che parte dal 1579, almeno fino al 1605 non include, fra tanti defunti dal nome Vincentius, un cognome avvicinabile al nostro; che non compare nemmeno nel libro Defunctorum 1600-1716 dell’Archivio Capitolare. Resta l’ipotesi che il nostro autore, forse di origini umili se non ignobili (un «Vincentius Antonius spurius – nam parentes eius ignorantur» risulta battezzato il 25 gennaio 1525 a S. Maria in Vado, come fu poi di un «Vincentius Ventura natus ex scorto» il 21 maggio 1536; mentre il 5 agosto 1530 un «Vicencio fiolo di m. Batista Seganti» fu battezzato in Cattedrale a Ferrara) abbia voluto nobilitare la propria modesta attività letteraria assumendo un cognome umanistico prestigioso nel panorama culturale d’area padana.
Fonti e Bibl.: Ferrara, Archivio Capitolare, Libro dei battesimi (1530-1541); Defunctorum 1600- 1716; Ferrara, S. Maria in Vado, Battezzati dal 1° novembre 1524 al 1535 (ms. 1A); Ferrara, Archivio storico comunale, Registri dei morti (1579-1800); Archivio di Stato di Modena, Archivio segreto Estense, Letterati, b. 61; Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, Antonelli 362: G. Faustini, Biblioteca degli scrittori ferraresi, vol. III, c. 238v.
Edizione critica: V. Sigonio, La difesa per le donne, a cura di F. Marri, Bologna 1978.
G.B. Mittarelli - A. Costadoni, Annales Camaldulenses, VIII, Venezia 1764, pp. 69 s., 145-150; G.B. Mittarelli, Bibliotheca codicum manuscriptorum monasterii S. Michaelis Venetiarum prope Murianum, Venezia 1778, c. 1062; T. de’ Bianchi, Cronaca modenese, VIII, Parma 1870, p. 130, IX, 1873, pp. 47, 225, 462 s., X, 1878, pp. 377 s., XI, 1881, p. 312; G. Franciosi, Della vita e delle opere di Carlo Sigonio, Modena 1872, pp. 83-87, 96-98; L. Simeoni, Documenti sulla vita e la biblioteca di Carlo Sigonio, Imola 1933, pp. 6-8; V. Meneghin, S. Michele in Isola di Venezia, I, Venezia 1962, pp. 211-216, 263-293; F. Marri, Appunti lessicali su La difesa per le donne di V. S., in Lingua nostra, XXXV (1974), pp. 68-70; Id., Dalla lingua alla cultura di V. S., in Atti e memorie. Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 11, II (1980), pp. 41-53; F. Daenens, Superiore perché inferiore: il paradosso della superiorità della donna in alcuni trattati italiani del Cinquecento, in Trasgressione tragica e norma domestica, a cura di V. Gentili, Roma 1983, pp. 11-50; G. Zappella, Le marche dei tipografi e degli editori italiani del Cinquecento, Milano 1986, pp. 334-336; M.L. Doglio, Introduzione, in G.F. Capra, Della eccellenza e dignità delle donne, Roma 1988, pp. 5-53; G. Bodon, Enea Vico fra memoria e miraggio della classicità, Roma 1997, pp. 129-143 (in partic. p. 136); A. Nuovo, Il commercio librario nell’Italia del Rinascimento, Milano 1998, pp. 190 s.; G. Guerzoni, Le corti estensi e la devoluzione di Ferrara del 1598, Modena 2000, pp. 253-316; F. Sberlati, Castissima donzella. Figure di donna tra letteratura e norma sociale (secoli XV-XVII), Bern-Berlin-Bruxelles-New York 2007, pp. 158-161; L. Merolla, La biblioteca di S. Michele di Murano all’epoca dell’abate Giovanni Benedetto Mittarelli: i codici ritrovati, I, Manziana 2010, pp. 89 s.; M. Cavina, Nozze di sangue. Storia della violenza coniugale, Roma-Bari 2011, p. 21.