viaggio
Ricorre due volte nelle Rime e sette volte nella Commedia. In Rime LX 5 Certo il vïaggio ne parrà minore / prendendo un così dolze tranquillare, e CVI 36 [Vertute] lieta va e soggiorna, / lietamente ovra suo gran vassallaggio; / per lo corto vïaggio / conserva, adorna, accresce ciò che trova, troviamo rispettivamente presenti il significato proprio di " via ", " cammino " e quello figurato di " rapido corso di questa vita ". Nell'opera maggiore, in If XXI 12 chi fa suo legno novo e chi ristoppa / le coste a quel che più vïaggi fece, nel passo che descrive l'attività febbrile dell'arzanà dei Veneziani, il termine allude alle navigazioni e ai v. marittimi delle galee o comunque dei legni di quei celebri marinai. ‛ Viaggio ' assai particolare, uno spostamento dinamico di parte del fisico, è in If XVI 27 così rotando, ciascuno il visaggio / drizzava a me, sì che 'n contraro il collo / faceva ai piè continüo vïaggio: " supponiamo che i tre sodomiti ruotino nel senso delle lancette dell'orologio: se vogliono tenere gli occhi fissi a D., la loro testa deve, finché può, ruotare, rispetto al loro corpo, in senso inverso, cioè da destra a sinistra " (Porena). La coincidenza tra v. e " via " compare in If XXVII 16 Ma poscia ch'ebber colto lor vïaggio / su per la punta, dandole quel guizzo / che dato avea la lingua in lor passaggio, se, ancora con il Porena, svolgiamo quel colto lor vïaggio in " imbroccata la loro via ".
Per designare il cammino di D. nei tre regni è usato due volte, in If I 91 " A te convien tener altro vïaggio ", / rispuose, poi che lagrimar mi vide, / " se vuo' campar d'esto loco selvaggio... ", e Pg II 92 Casella mio, per tornar altra volta / là dov'io son, fo io questo vïaggio. Con significato simbolico (che riprende l'immagine dei versi iniziali della Commedia) ricompare in If X 132 quando sarai dinanzi al dolce raggio / di quella il cui bell'occhio tutto vede, / da lei saprai di tua vita il vïaggio, e diventa la parola-chiave della Commedia. Infatti la struttura stessa di quest'opera sentita e concepita come ‛ visione ' (per il problema della Commedia come fictio poetica o vera visio mystica, vedi per l'appunto la voce visione mistica) si presenta come ‛ viaggio ' di un personaggio storicamente determinato, D. Alighieri, dalla selva del peccato alla vista di Dio attraverso i regni dell'oltretomba (Inferno, Purgatorio e Paradiso). ‛ Viaggio ' in cui la figura dantesca è correlata all'immagine cristiana del peregrinus in itinere che dalla Gerusalemme terrena ritorna (si sottolinei la sintomatica chiarificazione di Pg II 92) alla Gerusalemme celeste attuando nella poesia l'immagine archetipo di un inquieto cuore che ripete in sé la ‛ divina commedia ' dell'esodo e del ritorno, la peregrinatio dall'homo viator all'homo comprehensor (v. anche COMMEDIA: Allegoria).
Il campo semantico della parola è quindi polisemo, contiene in quest'accezione tutta dantesca la categoria dell'iter escatologico, del cammino morale che può conoscere un iter rectum e un iter devium e il cui ultimo obiettivo resta la visione del divino, il ritorno dalla catabasi esistenziale alle mani del creatore. D. pare conscio di queste categorie se esaminiamo come parla del ‛ cammino ' in una grande metafora del Convivio (IV XII 14-20): ne la vita umana sono diversi cammini, de li quali uno è veracissimo e un altro è fallacissimo, e certi meno fallaci e certi meno veraci. E sì come vedemo che quello che dirittissimo vae a la cittade, e compie lo desiderio e dà posa dopo la fatica, e quello che va in contrario mai nol compie e mai posa dare non può, così ne la nostra vita avviene: lo buono camminatore giugne a termine e a posa; lo erroneo mai non l'aggiugne, ma con molta fatica del suo animo sempre con li occhi gulosi si mira innanzi. A questa ‛ moralità ' aggiunge una dimensione metafisica la dialettica esodo-ritorno che compare nel Convivio (II I 2-3), a proposito della lettura allegorica del salmo 113 (In exitu Israël de Aegypto), e ricorre ancora, ormai applicata alla Commedia, nell'epistola a Cangrande (Ep XIII 21 ss.) e nella citazione speculare di Pg II 46, che chiariscono allegoricamente quale sia la cittade che attende l'uomo dantesco. Nel v. di D. vive dunque una dimensione simbolica che affonda le sue radici nella filosofia medievale e nel concetto di itinerarium qual era maturato nel pensiero dei mistici: e come referenti testuali andranno ricordati in primo luogo la Bibbia (Is. 38, 10 [che traduce il verso iniziale della Commedia: ma cfr. s. Girolamo, Patrol. Lat. XXIV 407 B]; Sap. 5, 6; Prov. 2, 11-13 e 4, 19 [tradotto da D. in Cv IV VII 9]; Ierem. Proph. 6, 16; II Petr. Epist. 2, 15; ecc.) e i grandi testi tomistici (Sum. theol. III 15 10c e Contr. Geni. III 148). Ma il tema dell'iter ha fonti classiche e patristiche note a D. e tipiche della cultura medievale: ci si sposta dal VI libro dell'Eneide nel commento di Bernardo Silvestre a Cicerone (Fin. I XVIII 57), da Alano (Anticlaudianus I 342) a s. Bernardo (De dil. deo VII 20, Patrol. Lat. CLXXXII 986), da Ugo da San Vittore (Miscell. I tit. LVI, ibid. CLXXVII 502; In Ecclesiasten Homil. VIII- IX, ibid. CLXXV 165 ss.) a Lattanzio (Div. instit. VI 3) e Remigio d'Auxerre (Comment. in Martianum Capellam, ediz. C.E. Lutz, Leida 1962-1965, I 147), autori questi su cui hanno richiamato l'attenzione F. Mazzoni e uno studioso del ‛ tòpos ', W. Harms.
Passando dalle indicazioni di fonti di un archetipo narrativo all'analisi delle modalità del v. dantesco, s'incontrano una serie di problemi: gli uni riguardanti gli spostamenti del poeta nello spazio, gli altri concernenti le determinazioni cronologiche dell'itinerarium. Riguardo ai primi bisogna subito notare che le indicazioni del poeta diminuiscono in ragione direttamente proporzionale alla trascendenza del v.: numerosissime nell'Inferno e nel Purgatorio, vengono via via scomparendo nel Paradiso terrestre e nell'ultima ascesa, quando la determinazione spaziale è affidata agli occhi e all'immaginazione.
La discesa infernale ha tre caratteristiche spaziali: a) non avviene in linea retta dalla porta a Lucifero; b) avviene con spostamenti a sinistra (la ragione in Prov. 4, 27: ma cfr. s. Agostino Opera omnia, Venezia 1572, III 33 v: " dextra nominatur in omnibus bonis, sinistra in malis: sive foelicitas et infoelicitas, sive iustitia et iniustitia: et aliquando dextera in aeternis, sinistra in temporalibus " [Locut. De Genesi l]; e cfr. If XXXI 82); C) percorre tutto il giro dell'Inferno (cfr. If XIV 124 ss.) con linee di percorrenza talora a spirale, più spesso a disegno spezzato. Seguendo D. (e poi D. e Virgilio) dalla selva, alla porta, al Limbo fino al III cerchio si procede per una linea di v. che D. non specifica - ma probabilmente tortuosa - per poi iniziare una serie continua di svolte a sinistra. Così viene percorso " parte dell'arco interno del terzo cerchio (VI 112-114); porzione di quello esterno dello Stige (VII 127-128) e dell'interno dello stesso fiume, tra le fosse di Dite (VIII 79); parte dell'arco interno del sesto cerchio (XI 115) e dell'arco esterno del settimo (XII 100-101); porzione dell'arco interno della selva dei suicidi (XIV 73-76) e dell'arco esterno dell'ottavo cerchio (XVIII 20-21); parte dell'argine quinto (XXI 136) e della sesta bolgia (XXIII 68); parte dell'arco interno della decima bolgia (XXIX 52-53) e dell'orlo del pozzo (XXXI 82-83). Senza contare la breve voltata a destra del sesto cerchio, la quale verrebbe in seguito ricompensata con più lungo spazio percorso sull'arco interno del sesto cerchio, i Poeti girarono dunque dieci volte, sempre acquistando dal lato mancino, in modo da percorrere su vari archi tutta la circonferenza della caverna infernale; essendo divisa la circonferenza in 36 gradi, possiamo quindi asserire, senza tema di errare, che ad ogni voltata a sinistra i Poeti percorsero 36 gradi sopra ciascun arco " (G. Agnelli, Topo-Cronografia del viaggio dantesco, Milano 1891, 70).
Non specificata, ma indubbiamente tortuosissima la linea seguita da D. e Virgilio lungo il corpo di Lucifero fino alla natural burella (XXXIV 98) e al ruscelletto (v. 130) che li porta a riveder le stelle: e questo forse anche per ricordo virgiliano: " facilis descensus Averno / ... sed revocare gradum superasque evadere ad auras, / hoc opus, hic labor est " (Aen. VI 126 ss.). Estranee a questo quadro assai razionale alcune lacune narrative, che incidono sull'idea di movimento spaziale, ma sono volute probabilmente da D. per sottolineare maggiormente il carattere eccezionale del suo v.: così il silenzio sui modi con cui è passato Acheronte (III 133 ss. - IV 1 ss.) o si giunge al III cerchio (VI 1 ss.). In altri casi i poeti non esitano a utilizzare i mostri mitologici e demoniaci come traghettatori singolari: e nascono gli episodi di Flegiàs (VIII 19 ss.) e della sua barca; della groppa di Nesso (XII 98) e Gerione (XVII 97) e l'aiuto del gigante Anteo (XXXI 100 ss.). Non privo di significato, in quanto complica il v., l'ostacolo rappresentato dai ponti crollati sulla sesta bolgia (XXI 106 ss.) che crea l'inganno di Malacoda, e un'ulteriore peripezia (XXIII 43 ss.).
Tre rigidi parametri individuano anche l'ascesa di D. e Virgilio nel Purgatorio: a) l'ascesa non avviene in linea retta dalla porta al Paradiso terrestre; b) avviene con spostamenti a destra (la ragione in Prov. 4, 27: ma cfr. s. Agostino Opera omnia, Venezia 1572, VIII 47 v: " sinistra nostra dicitur quicquid temporaliter habemus. Dextra nostra dicitur quicquid nobis aeternum et incommutabile nobis pollicetur " [Enarr. in Psal. CXX]); c) percorre tutto il giro della montagna del Purgatorio (i giron del sacro monte, Pg XIX 38, ma cfr. XXIII 125) con linea spiraliforme. Solo nell'Antipurgatorio le oscillazioni direzionali (destra/sinistra) sono numerose e potrebbero indicare l'esitazione del pellegrino in attesa comunque fiduciosa: D. però specifica ricorrendo anche, come criterio orientativo, all'ombra formata dalla sua persona (III 16-18) oltre che a indicazioni più usuali (III 67-69; IV 8 ss., 52-53, 101-102, ecc.). Quindi, a partire dal I girone, i poeti salgono " in modo da percorrere completamente la parte settentrionale della montagna, la sola che, in quei tempi dell'equinozio, ricevesse luce direttamente dal sole. Stando così le cose, avviene di necessità che la prima scala, la quale è volta verso oriente e sale verso ponente, è situata nella posizione diametralmente opposta all'ultima, la quale, ricevendo la luce nel momento del tramonto, sale l'ultimo tratto nella direzione di levante, in modo che i Poeti, arrivando, al levar del sole, all'estremità superiore dell'ultima scala, si vedono il sole di fronte, contrariamente al principio della cantica, dove, al levar del sole, si vedeva l'ombra di D. proiettata sul davanti " (G. Agnelli, op. cit., pp. 85-86).
Situazione diversa nel Paradiso terrestre ove, a proposito del rio, / che 'nver' sinistra con sue picciole onde / piegava l'erba (XXVIII 25-27), si deduce che " se il poeta camminava verso levante, e il fiumicello piegava le erbe verso sinistra, è segno che il poeta si trovava sulla sinistra del rio, il quale a quel punto aveva la direzione da mezzodì a settentrione. Poco dopo, risalendo la corrente per circa cinquanta passi, e perciò volgendo a mezzodì, arriva al punto ove il fiumicello dà volta, e il poeta si rende ancora a levante in compagnia di Matelda, che cammina sulla destra del rio ". In seguito, seguendo la processione allegorica verso levante, D. " guadagna i cinquanta passi spesi verso mezzogiorno " (G. Agnelli, op. cit., pp. 86 ss.): in tal modo il pellegrino anche rispetto a personaggi simbolici del suo destino individuale non smarrisce mai il senso di una direzione altamente simbolica, in quanto, come spiega s. Ambrogio nel De Mysteriis, " ad orientem converti " significa " renuntiare diabolo " per rivolgersi " ad Christum ", o secondo Sicardo, " tum quia in eo Sol iustitiae colitur, et ille cui nomen est Oriens adoratur... tum quia in orientalibus partibus est paradisus deliciarum quem Ecclesia recolit multiplicitate significationum " (Patrol. Lat. CCXIII 17, ma cfr. E. Raimondi, Metafora e storia. Studi su Dante e Petrarca, Torino 1970, 72 n. 2). Come nell'Inferno, anche nel Purgatorio D. incontra assieme a Virgilio ostacoli che vanno ricondotti a una liturgia della purificazione: basti il ricordo dei tre gradini (Pg IX 96 ss.) che guidano all'angelo portiere; la via tortuosa (per una pietra fessa, X 7 ss.) che conduce ai gironi; il fumo degli iracondi (XVI 1 ss.); la sosta forzata al IV girone (XVII 72 ss.), la sonnolenza di D. (XVIII 87), i frequenti riferimenti a una stanchezza fisica e metafisica del pellegrino (XX 16 ss.); il fuoco dei lussuriosi (che non tanto arresta quanto purifica il poeta: cfr. XXV 121 ss.).
Benché sia stato rilevato varie volte come il v. nel Paradiso non conosca determinazioni spaziali che non coincidano con la rapidità di un'ascesa pari a quella stessa del movimento del cielo Stellato (Pd II 19 ss.: 84.000 miglia al secondo secondo gli antichi astronomici tolemaici) e più rapida della folgore (I 90 ss.), tuttavia il senso del moto è reso talora indirettamente da D. con paragoni assai suggestivi. Così D. e Beatrice sono raggio di luce (Il 36) che passa senza disunirla la sostanza incorruttibile dei cieli, e spesso questi certificano nel loro maggior splendore il transito di creature assetate di divino (cfr. ad es. V 97, XVI 86 e XVIII 69). Quello che domina è comunque il senso di un tragitto metafisico di cui non ci si accorge (cfr. ad es. VIII 13 e X 35-36) e che dislaga nell'uniformità assoluta (XXVII 100 ss.). Esiste ancora un punto di riferimento, la terra, ricordata solo con dolore o superiorità (XXII 127 e XXVII 79 ss., dove non pare causale il riferimento al v. folle di Ulisse contrapposto a quello di D.). Questa serve nondimeno astronomicamente per certificare (col riferimento ai ‛ climi ' tolemaici, XXVII 81) il rapimento di D. all'interno del moto delle sfere, che sembra avvenire distaccando il poeta per archi successivi (in XXVII 87 di 90°, ma cfr. M. Porena, Commento grafico alla D.C., Palermo 1902, 50 ss.) verso ponente dal meridiano di Gerusalemme fino all'Empireo, immoto e misuratore del tempo (cfr. Cv IV II 8 ss.). In questo fiume di luce (Pd XXX 39) ogni orientamento dopo un ultimo preludio astronomico (XXX 1 ss.) scompare, e la visione intende solo a Dio.
Mentre simili problemi di spostamento geografico e di v. cosmologico sono privi di cruces drammatiche, coincidendo con le più agili linee portanti della Commedia, molto spinose appaiono invece le determinazioni cronologiche, tuttora in parte sub iudice e che pure costituiscono una coordinata ineliminabile del pellegrinaggio dantesco. Le questioni si possono raggruppare in tre grandi categorie: a) l'anno d'inizio del v.; b) i giorni di decorrenza; C) la sistemazione oraria dei singoli momenti del v. con possibilità di correlazioni allegoriche o rituali. Solo la prima, dopo lunghe discussioni, pare ora senza dubbi: l'anno del v. è il 1300, per allusione di D. stesso (If XXI 113), e la convergenza di motivi in parte personali (il poeta toccava in quell'anno il sommo dell'arco della sua vita, e, con l'elezione al priorato, il culmine di una contrastata attività politica) in parte universali (l'indizione del Giubileo da parte di Bonifacio VIII e la convinzione che nel 1300, l'annus magnus, fosse trascorso un semiciclo di 6.500 anni, metà della durata della vita sulla terra misurata dalla tradizione vulgata medievale in 13.000 anni [cfr. Cv II XIV 12-13 e Pd XXVI 118-123]).
A dimostrare il fluire dei giorni restano ancora validissimi i pazienti, encomiabili studi di E. Moore sul calendario dantesco e conseguente orologio, correlati ai movimenti di D. nell'Inferno e nel Purgatorio, dato che nel Paradiso il concetto di tempo non esiste (cfr. Pd XXXI 38 a l'etterno dal tempo era venuto). Posto che il periodo coincida con un tempo assai prossimo all'equinozio di primavera e considerando tutte le allusioni cronologiche della Commedia (specie ne Gli accenni al tempo nella D.C..., Firenze 1900), il Moore giunge a prospettare un arco temporale compreso tra la notte del giovedì santo 7 aprile (D. si smarrisce nella selva) e mercoledì 13 aprile, comprendendo quindi il venerdì santo, il sabato santo e il giorno di Pasqua (con riferimento: al mito archetipo della primavera rigenerante; alla liturgia cristiana; al grande evento della resurrezione di Cristo). È ancora la tesi più persuasiva, e rapportata al sistema Inferno/Purgatorio offre lo schema riportato a pag. seg. (tavv. V-VI dell'op. cit. unite con modifiche grafiche).
Precisando che la notte nella dimensione liturgica medievale (canonizzata dai ‛ libri d'ore ') inizia alle ore 18 e il dì alle ore 06, e anche prendendo atto del moto tolemaico del sole (Pd X 30), derivano da questa struttura cronologica alcune considerazioni. Nel v. dantesco l'entrata nei regni coincide con momenti precisi: la notte (= desperatio) per l'Inferno; l'aurora (= spes) per il Purgatorio; il mezzogiorno (= sol salutis) per il Paradiso (cfr.
If I 21; Pg I 115-116; Pd I 43). Come per l'opposizione sinistra/ destra spaziale e binaria, quella luce/tenebra/crepuscolo cronologica e ternaria sembra anch'essa godere di sovrasensi mistici: e il richiamo a testi medievali è d'obbligo (s. Bernardo Sermones in Cantica, Patrol. Lat. CLXXXIII 711 ss.; Onorio di Autun Gemma animae, ibid. CLXXII 617 ss.; Sicardo Mitrale, ibid. CCXIII 155 ss., e anche Guglielmo di Durand, in Rationale divinorum officiorum, Lione 1568, e Nicola da Lira, in Postillae maiores seu enarrationes in Epistulas et Evangelia totius anni, Venezia 1572). Quanto D. ne fosse cosciente è dimostrato dall'incipit di Ep V (§§ 2-3): Nam dies nova splendescit ab ortu auroram demonstrans, quae iam tenebras diuturnae calamitatis attenuat; iamque aurae orientales crebescunt; rutilat coelum in labiis suis, et auspitia gentium blanda serenitate confortat.
Questa tabella del Moore, generalmente accettata dai dantisti (con qualche ritocco ‛ spicciolo ' di ore: e puntuali paiono certe recenti proposte di O. Baldacci), trova taluni ostacoli nelle vecchie analisi erudite dei positivisti cultori di astronomia dantesca che sempre hanno sostenuta l'ipotesi (dal resto molto probabile) che D. attribuisca ai tempi del suo v. osservazioni dedotte da anni successivi, il 1301 in particolare, secondo Angelitti e Cantelli. Per sanare una questione che rischia di cadere in tematiche extratestuali assai oziose, A. Camilli, in un acuto saggio (in " Studi d. " XXIX [1950]), ha ripercorso tutte le tappe di una vexata quaestio che pareva archiviata. Il suo intervento, a nostro parere, non è sufficiente a smuovere il consistente materiale accumulato dal Moore (tra l'altro neppure preso in considerazione), ma ha tesi di tutto rispetto. La fondamentale sarebbe una data di partenza fissata il venerdì 25 marzo (" secondo la tradizione che faceva coincidere in quel giorno la creazione di Adamo, la concezione e la morte di Cristo " e coinciderebbe " con il giorno iniziale dell'anno in Firenze, dove era d'uso il computo degli anni ab incarnatione, anziché a nativitate " [così il Sapegno, che pare accoglierla nel suo commento]), pur rimanendo fermo l'anno 1300. In tal modo D. (cfr. lo schema a pag. seg.) " avrebbe impiegato per il suo viaggio una settimana (h. 168)... (si tenga conto che h. 19 del meridiano selva corrispondono a h. 22 del meridiano di Gerusalemme e h. 19 di questo a h. 7 al meridiano del Purgatorio) ".
Lo schema del Camilli non altera (e questo è importante) i significati liturgici del v., recuperando anzi l'" anniversario della discesa di Gesù all'Inferno (venerdì 25 marzo 1300) ", ma perdendo certi significati pasquali altamente simbolici. In ogni caso poi, se D. è stato capace di una costruzione talmente precisa - un caso unico nella letteratura di tutti i tempi - e queste corrispondenze non sono il frutto dedotto a posteriori da una vitalità insiemistica dell'opera che genera sottoinsiemi comunque razionali, può anche aver riflettuto sulla numerologia iniziale e finale del suo viaggio. E ricordando le pagine famose di E.R. Curtius (in Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, Berna 1948), fra la coppia 7:13 e 25:31 la mentalità e l'imagery di uno scrittore medievale non potevano che andare alla prima, di evidente orfismo pitagorico.
Bibl. - Sul significato filosofico e sull'idea di struttura narrativa implicita nella voce v., con particolare riferimento alla cultura della tarda classicità e del Medioevo: E. Rohde, Psyche. Seelencult und Unsterblichkeitsglaube der Griechen, Friburgo i.B. 1890-1894 (traduz. ital. Bari 1914-1916); L. Ganschinietz, Katabasis, in A.F. Pauly-G. Wissowa, Realencyclopddie der klassichen Altertumwissenschaft, X, Stoccarda 1893-1937, 2359-2449; J. Kroll, Gott und Hölle, Lipsia 1922; F.J. Dölger, Sol Salutis. Gebet und Gesang im christlichen Altertum, Münster 1925; E. Panofsky, Hercules am Scheidewege, und andere antike Bildstoffe in der neuren
Kunst, Lipsia 1930; G. Bachelard, L'air et les songes. Essai sur l'imagination du mouvement, Parigi 1943; H. Rahner, Griechische Mythen in christlicher Deutung, Zurigo 1957 (partic. cap. VIII; ma cfr. la traduz. ital. Miti greci nell'interpretazione cristiana, Bologna 1971); M. Eliade, Mythes, rêves et mystères, Parigi 1957 (ma cfr. Le mythe de l'éternel retour, ibid. 1969); S. Chew, The Pilgrimage of Life, New Haven - Londra 1962; H. Galinsky, Naturae cursus. Der Weg einer antiken kosmologischen Metapher von der alten in die neue Welt. Ein Beitrag zu einer historische Metaphorik der Weltliteratur, Heidelberg 1968; W. Harms, Homo viator in bivio, Monaco 1970. Sul tema del viaggio nella tradizione intellettuale in cui D. operava (Bibbia ed escatologismo biblico; Descensus ad inferos virgiliana, tradizione del récit visionnaire mistico): M. Asín Palacíos, La escatologia musulmana en la D.C., Madrid 1919; K. Vossler, La D.C. studiata nella sua genesi e interpretata, traduz. ital. Bari 1927; E. Norden, P. V. Maro. Aeneis Buch VI, Darmstadt 19574 (ma cfr. W.B. Stanford, Ulysses Theme, Londra 1963³; M.R. Scherer, The Legend of Troy in Art and Literature, New York 1964; P. Courcelle, Les Pères de l'Eglise devant les enfers virgiliens, in " Archives d'Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen Age " XXX [1955] 5-74; H. Corbin, Avicenne et le récit visionnaire, Teheran-Parigi 1954); A. Cros, Le thème de la route dans la Bible, Bruxelles-Parigi 1957. Sulla Commedia come opera strutturata secondo le leggi di un viaggio: C.S. Singleton, D. Studies, I, Commedia, Elements of Structure, Cambridge, Mass., 1954 (traduz. ital. Napoli 1961); ID., fourney to Beatrice, ibid. 1958 (traduz. ital. Bologna 1968); R. Dragonetti, D. pélérin de la Sainte Face, Gand 1968 (recens. di B. Basile, in " Convivium " 5-6, 1969); E. Raimondi, Metafora e Storia. Studi su D. e Petrarca, Torino 1970 (part. capp. IV e V). Ancora utili T. Spoerri, Introduzione alla D.C., traduz. ital. Milano 1966 (Zurigo 1946) 36 ss., e R. Guardini, Studi su D., Brescia 1967. Sull'homo viator dantesco e la dialettica di esodo e ritorno, cfr. D.J. Tucker, " In exitu Israel de Aegypto ". The Divine Comedy in the Light of Eastern Liturgy, in " American Benedectine Review " XI (1960) 43-61 (da rapportare a C.S. Singleton, " In exitu Israel de Ageypto ", in " Annual Report of the Dante Society " LXXVIII [1960]); G. Sarolli, Dantes' Katabasis and Mission, in The Word of D., Toronto 1966; A.C. Charity, Events and their Afterlife. The Dialectics of Christian Typology in the Bible and D., Cambridge 1966; F. Mazzoni, Saggio di un nuovo commento alla D.C. - Inferno. Canti I-III, Firenze 1967 (ma vedi anche G.B. Ladner, Homo viator. Medieval Ideas on Alienation and Order, in " Speculum " XLII [1967]; B. Basile, Il " Comentum " di F. Villani al canto I della Commedia, in " Lettere Italiane " II [1971]). Sul viaggio escatologico dantesco nelle sue componenti spazio-temporali, oltre alle note dei commenti antichi (particolarmente precisi in proposito quello del Landino e le postille del Buonanni e del Giambullari), si segnalano: F. Angelitti, Sulla data del viaggio dantesco, in " Atti Accad. Pontaniana " XXVII (1897); XXVIII (1898); F. Cantelli, La conoscenza dei tempi del viaggio dantesco, ibid. XXIX (1899); A. Solerti, Per la data della visione dantesca, in " Giornale dantesco " VI (1898) 289-309; L. Agnelli, Topo-Cronografia del viaggio dantesco, Milano 1891 (ancora fondamentale); M. Porena, Commento grafico alla D.C., Palermo 1902. Le sottili ricerche di E. Moore sono in Studies in D., III, Oxford 1903 (The Date Assumed by D. for the Vision of the Commedia, 144 ss.; The Astronomy of D., sezione The Measurement of Time, 91 ss.); Gli accenni al tempo nella D.C. e loro relazione con la presunta data e durata della visione, traduz. ital. di C. Chiarini, Firenze 1900 (ma cfr. Time References in the D.C., Londra 1887). Altri interventi: A. Camilli, La cronologia del viaggio dantesco, in " Studi d. " XXIX (1950) 61-84; W. e T. Parri, Anno del viaggio e giorno iniziale della Commedia, Firenze 1956; G. Buti-R. Bertagni, Commento astronomico alla D.C., ibid. 1966; O. Baldacci, " Da sera a mane " nel XXXIV dell'Inferno, in Annuario 1969-1970 del Magistero Maria Ss. Assunta, Roma 1971.