VESTALE
. Col nome di virgines Vestales si designavano, in Roma antica, le sacerdotesse addette al culto di Vesta. L'origine di questo sacerdozio risale indubbiamente a tempi remotissimi, come è dimostrato dall'arcaicità di certe costumanze rituali delle vestali; ed è quasi certo che il servizio delle sacerdotesse al focolare sacro della città sia stato stabilito in periodo anteriore all'introduzione della dea Vesta nella religione ufficiale e alla consacrazione ad essa del focolare pubblico. In tal caso, si dovrà pensare che le vergini sacerdotesse siano state addette, nel primo periodo della loro esistenza, al focolare pubblico del Palatino, dedicato alla dea Caca, e siano passate poi al servizio di Vesta, nella nuova aedes rotonda del Foro. L'esistenza delle vestali nell'età regia è in ogni modo documentata anche dai loro rapporti rituali col rex sacrorum, ancora noti, anche se ormai inesplicabili, in età storica (Virgines Vestae certa die ibant ad regem sacrorum et dicebant: Vigilasne rex? Vigila. - Servio, ad Aen., X, 228).
Nella religione ufficiale del periodo repubblicano, le vestali fanno parte, insieme coi flamini e col re dei sacrifici, del collegio dei pontefici. La condizione giuridica in cui vengono a trovarsi le vestali di fronte al pontefice massimo, e certi particolari del loro abito rituale indicano palesemente che esse erano considerate avere, a lato del sommo moderatore della religione pubblica, il posto medesimo che, nella religione domestica, ha la moglie allato del marito: esse adempiono insomma, presso il focolare dello stato, quella funzione che, presso il focolare domestico adempie la mater familias; e la mater familias che le vestali rappresentavano, non può essere che la moglie dell'antico rex, la quale un tempo dovette custodire, nella sua casa, il focolare domestico, che era, al tempo stesso, il focolare dello stato. Quando si credette opportuno separare il culto del focolare pubblico dal culto domestico del re, si creò, per curarne i riti prescritti, questo collegio di sacerdotesse, le quali dunque conservarono, di fronte al re, la stessa posizione di subordinazione della moglie di fronte al marito; più tardi ancora, quando le competenze e l'autorità religiosa del re furono trasferite nel pontefice massimo, le vestali rimasero nella stessa condizione di fronte al nuovo capo della religione romana.
E, fin qui, l'aspetto e la veste matronale delle vestali non ci appariscono per nulla singolari; perché matronali sono le altre - le sole altre - sacerdotesse della religione ufficiale di Roma: le flaminiche; anch'esse, indubbiamente, ripetizione e sdoppiamento di quella che dovette essere in origine l'unica sacerdotessa del culto pubblico romano, della regina. Singolare ci apparisce invece il fatto che le vestali, a differenza delle flaminiche, sono soltanto simbolicamente matrone: nel loro stato giuridico, cioè, e nella loro acconciatura; non lo sono invece nel loro stato fisico, in quanto che, assunte ancora impuberi al sacerdozio, dovevano mantenersi rigorosamente vergini e caste per tutto il tempo del loro servizio. Questa evidente anomalia diede luogo al sorgere, presso gli antichi, di leggende eziologiche: in generale, ci si contentava di mettere in qualche modo in relazione la verginità delle sacerdotesse con la purità della dea da cui prendevano il nome o con le qualità del fuoco affidato alla loro custodia. Le spiegazioni suggerite dai moderni per tale stato di fatto, sono molteplici, ma generalmente non sufficienti: perché se è facile ravvicinare la verginità imposta alle vestali con le varie e così comuni prescrizioni di castità fatte ai sacerdoti di molte religioni antiche e moderne, più difficile riesce indicare un motivo soddisfacente della condizione matronale fatta alle vergini vestali romane.
È incerto il numero originario delle vestali. Secondo una tradizione, Tarquinio Prisco ne avrebbe aumentato il collegio da quattro a sei membri: il numero di sei è in ogni modo quello che si trova in età storica e che rimase immutato fino ai tardi tempi dell'impero; di una settima vestale non c'è traccia fino alla metà del sec. IV. La scelta delle vestali veniva fatta dal pontefice massimo, secondo le norme contenute in una legge Papia d'incerta data, il cui contenuto è conservato in Gellio (Noct. att., I, 12, 10).
Quando si doveva scegliere una vestale, il pontefice proponeva, di sua scelta, venti fanciulle, fra le quali si doveva estrarre a sorte il nome di quella che sarebbe stata votata al servizio di Vesta. Le fanciulle proposte dovevano trovarsi in età fra i sei e i dieci anni, essere immuni da difetti fisici, avere ambedue i genitori viventi e, nei primi secoli della repubblica, appartenere a gente patrizia; dal sec. IV in poi, e forse anche prima, furono ammesse al sacerdozio anche fanciulle di condizione plebea. Il sorteggio della nuova vestale tra le fanciulle proposte si faceva probabilmente in senato; come in senato si faceva la docimasia di quelle vergini che fossero state spontaneamente offerte dai genitori a servire la divinità: il che avveniva assai di frequente.
La vergine designata dalla sorte o volontariamente offerta, era "presa" dal pontefice massimo con la formula rituale: Sacerdotem Vestalem, quae sacra faciat, quae ius siet sacerdotem Vestalem facere pro populo Romano Quiritibus, uti quae optima lege fuit, ita te, amata, capio (è incerto il significato dell'appellativo amata, che i più propongono di intendere come "cara, diletta"). Con questa formula restava sancita la captio della Vestale, la quale passava senz'altro dalla potestà del padre in quella del pontefice, così come la novella sposa, con il rito nuziale, passava in manu mariti. La vergine veniva quindi condotta nell'Atrium Vestae (edificio adibito a dimora delle sacerdotesse, presso l'aedes del Foro) e rivestita dell'abito e delle insegne della sua carica.
La carica delle vestali non era vitalizia: esse potevano, dopo trent'anni di servizio, lasciare il sacerdozio, rientrare nella vita privata e maritarsi: ciò che però avveniva assai di rado. Non esisteva una vera e propria gerarchia tra le vergini del collegio: sta di fatto però che la più anziana guidava e presiedeva maternamente le altre e portava ufficialmente il titolo di Virgo Vestalis Maxima. Questa rappresentava simbolicamente l'intero collegio e lo impersonava in sé, formando, col pontefice massimo, una coppia sacerdotale identica a quella dei flamini con le flaminiche e del rex sacrorum con la regina.
Come appunto si è detto, le vestali si trovavano, di fronte al pontefice massimo, nella stessa condizione giuridica in cui la matrona romana si trovava di fronte al marito; e la potestas che il pontefice esercitava sulle vestali, era di carattere pienamente domestico né vi intervenivano mai, di regola, il popolo e i magistrati.
Il servizio delle vestali consisteva essenzialmente nella cura del focolare pubblico e nella custodia dei sacri cimelî (pignora imperii) conservati nell'aedes Vestae. Di particolate importanza era la custodia del fuoco che ardeva perpetuo nel sacrario della dea. Una volta all'anno, il 1° marzo, esso si lasciava spegnere deliberatamente, per riaccenderlo poi coi tizzoni ardenti presi dal focolare dell'Atrio; ma guai se esso veniva a mancare da sé, in qualsiasi altro momento! Il fatto era riguardato come foriero di sventura per tutto lo stato e gravi pene erano comminate contro la vestale colpevole di tale negligenza. Il calendario religioso delle vestali contemplava poi la loro partecipazione a numerosi riti pubblici e prescriveva norme minuziose e severe così per il disbrigo delle loro mansioni nell'aedes Vestae come per il loro intervento alle altre cerimonie del culto ufficiale.
Ma il dovere massimo imposto a ogni vestale era quello di custodire la sua verginità per tutta la durata della carica sacerdotale: il venir meno ad essa costituiva "incesto". Né soltanto castità corporale si richiedeva alle vestali, ma anche purità spirituale: ogni atto di vanità era in esse gravemente riprovato ed era considerato colpevole il tenere in loro presenza discorsi licenziosi. La vestale colpevole di aver lasciato, per sua negligenza, estinguere il fuoco, era punita con la fustigazione, che veniva inflitta dal pontefice massimo in persona; la vestale convinta d'incesto veniva sepolta viva nel campus sceleratus, presso la Porta Collina: il seduttore era fustigato a morte nel Foro.
Ciò non deve per altro far pensare che le vestali fossero costrette a vivere separate dal mondo, in una specie di clausura; se anche venivano vigilate e sorvegliate, i loro contatti con l'esterno erano però frequenti e relativamente liberi. Potevano uscire per le vie della vittà, per recarsi a visitare i parenti; e, verso la fine della repubblica, si assegnò ad esse un littore, che le accompagnava nelle loro uscite dall'Atrio. Anche nella loro dimora, nell'Atrio, non risulta fosse proibito l'accesso di estranei - parenti o amici delle sacerdotesse - che potevano recarsi a salutarle, dopo averne ottenuto il permesso dal pontefice.
I gravosi doveri e sacrifici imposti alle vestali erano per altro compensati da notevoli privilegi. Ad esse era infatti riconosciuta la facoltà di testare ed era assicurata l'esenzione dalla tutela e dalla capitis deminutio che si applicava normalmente a chiunque cambiasse lo status familiae. Le vestali godevano inoltre dei diritti di testimoniare senza prestare il giuramento di rito, di venire sepolte nell'Urbe, all'interno del pomerio, di attraversare la città in cocchio per recarsi alle cerimonie sacre, di essere precedute da un littore, di avere un posto d'onore al teatro, di graziare i condannati a morte che, condotti al supplizio, s'imbattessero con loro lungo il cammino; alla vestale massima non si estendeva neppure l'autorità censoria.
Il collegio delle vestali rimase in vita fino agli estremi tempi del paganesimo; e sussisté con tutte le sue forme e con tutti i suoi ordinamenti, quasi immutato, finché i decreti imperiali (di Graziano, nel 382, di Valentiniano e Teodosio, nel 391 e nel 392) non lo soppressero, insieme con le ultime sopravvivenze del culto pagano.
Si conservano numerose statue di vestali massime, rinvenute fra le rovine dell'Atrium Vestae del Foro. Esse ci confermano le indicazioni dei testi, relative all'acconciatura matronale delle sacerdotesse. La vestale è rappresentata sempre col capo adorno delle vittae e dell'infula sacerdotali e coi capelli raccolti sotto i seni crines, una specie di parrucca di cerimonia, propria delle matrone e vietata alle fanciulle e alle meretrici; e la testa è spesso raccolta nel suffibulum, che non è probabilmente altro che il velo usato ordinariamente nei riti sacrificali, ma che, secondo alcuni, ricorderebbe il rosso flammeum di cui si velavano le fidanzate nel dì delle nozze. La tunica è stretta alla vita col cosiddetto "nodo d'Ercole", com'era d'uso nell'acconciatura delle spose novelle.
Bibl.: v. vesta: bibl., e inoltre: H. Auer, Der Tempel der Vesta und das Haus der Vestalinnen am Forum Romanum, in Denksch. d. Wien. Akad., 1888, II, p. 209 segg.; G. May, Le Flamen Dialis et la Virgo Vestalis, in Revue des étud. anc., VII (1905), p. 4 segg.; H. Dragendorff, Die Amtstracht der Vestalinnen, in Rheinisch. Museum, II (1896), p. 281 segg.; Wüscher-Becchi, Die Kopftracht der Vestal., in Röm. Quartalschrift, XVI (1902), p. 313 segg.; I. Santinelli, La condizione giuridica delle vestali, in Riv. di filologia, XXXII (1904), p. 63 segg.; E. B. van Deman, The Atrium Vestae, Washington 1909; id., Value of Vestal statues, in American Journal of Arch., XII (1908), 324 segg.; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., Monaco 1912, p. 504 segg.; G. Giannelli, La donna nel sacerdozio romano, in Atene e Roma, XIX (1916), p. 60 segg. Iscrizioni di vestali provenienti dall'Atrium V., in Corp. Inscr. Lat., VI, 2127, segg.; 3296 segg.