VASSILACCHI, Antonio detto Aliense
– Nacque a Venezia da Stefano nel 1556 o 1557, in corte del Prete Zotto nel sestiere di Castello; l’incertezza sulla data di nascita è dovuta a un’affermazione del pittore stesso, che nel marzo del 1618 dichiarava di non sapere se avesse 61 o 62 anni. Nella stessa dichiarazione, resa agli Avogadori (Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, b. 371, sub 28 marzo 1618, cc. n.n.), i riferimenti alla nascita e giovinezza, indicati dal pittore, sono tali da indurre a una rilettura della biografia scritta dopo la sua morte da Carlo Ridolfi, che pure lo conobbe e fu suo amico. È possibile, infatti, che Ridolfi (1648, p. 209) abbia confuso la città d’origine di Vassilacchi indicando Milo, dominio turco, anziché la regione cretese di Milopotamo, dov’era situata la capitale dell’isola, Candia. Pertanto il padre Stefano, mercante di origine cretese, potrebbe aver compiuto un viaggio con la famiglia, quando il figlio era piccolo, nella terra ov’era nato; da questa permanenza in Levante Vassilacchi junior sarebbe ritornato con il soprannome di Aliense o Aliensis, straniero, come latinamente volle firmarsi e fu da allora chiamato, pur essendo Creta da quasi quattrocento anni dominio della Repubblica. Aliense, forestiero, benché i documenti testimonino un artista che a Venezia non si sentì estraneo al tessuto sociale, ma, al contrario, vi fu profondamente inserito.
Parte dell’infanzia Vassilacchi la trascorse nella parrocchia ove nacque, a San Giuseppe di Castello. Qui strinse amicizia con il coetaneo Giovanbattista Corte, scultore dilettante di ritratti in cera, il cui padre, il mercante veneziano Francesco, era amico di famiglia in quanto ‘compare’ di Stefano Vassilacchi; donde l’appellativo di ‘signora santola’ (madrina) con cui il pittore si riferiva alla madre dell’amico. Carlo Ridolfi (1648, p. 209) riferisce che alla morte del padre Antonio fu messo a bottega dai fratelli , dapprima presso Paolo Veronese, con cui avrebbe collaborato alla decorazione dell’arco di trionfo eretto da Andrea Palladio per la visita a Venezia di Enrico III re di Francia nel 1574 e, in seguito, con suo fratello Benedetto Caliari, con cui operò nel vescovado di Treviso. Vassilacchi sarebbe poi passato alla bottega di Dario Varotari, lavorando a Padova e agli affreschi di villa Emo (ora Emo Capodilista) a Montecchio – la cui decorazione viene datata attorno al 1579 – e dipingendo parti minori, quali i fregi con le storie. Questo segnò anche il suo primo incontro con lo scultore Girolamo Campagna, che stava realizzando le decorazioni scultoree. Nel periodo iniziale della sua attività Vassilacchi si rivolse ai modelli veronesiani, cui seguirono un avvicinamento alla bottega di Jacopo Tintoretto e lo studio di statue e calchi antichi.
Tra le opere della fase iniziale vanno poste Il martirio di s. Sebastiano della chiesa di S. Giovanni Evangelista a Venezia, dove l’organizzazione compositiva e il colore chiaro cercano effetti veronesiani, e il perduto gonfalone per la Confraternita dei Ss. Giorgio e Trifone degli Schiavoni. Dopo l’incendio del 1577 Vassilacchi collaborò alla decorazione delle sale del Maggior Consiglio e dello Scrutinio in palazzo ducale, presumibilmente a partire dal 1579, assieme a Veronese, a Tintoretto, a Jacopo Bassano, ad Andrea Vicentino, a Jacopo Palma il Giovane e alle loro botteghe. Dipinse alcuni comparti minori nei soffitti e due teleri dei cicli principali. Per il soffitto dello Scrutinio realizzò le Virtù, che mostrano il suo allontanamento dagli schemi veronesiani a favore di quelli tintorettiani: caratteristica ancor più evidente nei monocromi, dove il disegno dei corpi si fa più sicuro e si accendono effetti luministici. Per le pareti realizzò L’assedio di Tiro da parte dei crociati e veneziani, guidati dal doge Domenico Michiel nel 1124 e Baldovino I che vien incoronato imperatore di Costantinopoli, il quale sarebbe stato dipinto in una fase successiva e con l’aiuto del figlio Stefano (Ridolfi, 1648, p. 218). Il governo marciano affidò i lavori ai singoli pittori e Vassilacchi operava probabilmente nell’ambito della bottega di Tintoretto. Il 13 dicembre 1583 egli firmò due accordi per altrettanti modelli per una non specificata confraternita veneziana, forse per uno stendardo, con la Vergine con il Bambino e santi. Gli importi del contratto, 50 e 80 ducati, rappresentano il costo medio di un quadro inclusi colori e tela. Si tratta di due opere grafiche ben delineate, dove è lasciato molto spazio alle architetture classiche. L’anno dopo s’iscrisse all’arte dei pittori, dove figura fino al 1606.
Gli anni Ottanta e Novanta del Cinquecento furono caratterizzati da un’intensa attività: spirito curioso e attento, Vasillacchi conobbe altre culture, tra cui quella emiliana, come è evidente dall’allungamento di alcune figure alla ricerca di un’eleganza formale riconducibile al Parmigianino, e collezionò disegni, rilievi e copie da Michelangelo e Raffaello. Appartengono a questo momento le opere per le chiese veneziane di S. Marziale e dell’Angelo Raffaele: La Resurrezione e Il castigo dei serpenti, eseguite tra il 1586 e il 1588. Le due pale, nel concitato affollamento di personaggi, cercano effetti scenografici e risentono dei modi di Tintoretto con movimenti serpentinati e aperture al paesaggio.
Il 19 dicembre 1591 i confratelli della Scuola dei mercanti della Madonna dell’Orto, a Venezia, sottoscrissero un accordo con Vassilacchi e Domenico Tintoretto per la continuazione della decorazione dell’edificio con nove quadri, per l’importo di 30 ducati l’uno. Un ulteriore accordo fu sottoscritto l’anno dopo con Jacopo Tintoretto, e Vassilacchi ottenne la commissione per La caduta della manna. I confratelli, visto anche l’apprezzamento suscitato in città, manifestarono gradimento per le opere già realizzate dai pittori, parte di un’impresa che includeva anche Paolo e Benedetto Veronese. Negli anni Novanta Vassilacchi lavorò per la Compagnia della Croce di Belluno assieme a Domenico Tintoretto, Jacopo Palma, Andrea Vicentino e Paolo Fiammingo. Nell’ambito di questo ciclo, la diversità tra il dinamismo luminoso della Flagellazione, ora nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo a Venezia, e la ridotta vitalità luministica dell’Ultima cena nel Municipio di Chioggia, fa pensare a tempi differiti per l’esecuzione di queste opere. Ridolfi (1648) afferma che l’artista usò per la Cena un modelletto di cera (p. 217).
Il 20 gennaio 1592 Vassilacchi testimoniò al contratto tra gli scultori Giuseppe e Girolamo Campagna, il fonditore Giuseppe Mazzoleni e l’abate del monastero benedettino di S. Giorgio Maggiore per la realizzazione del nuovo altare maggiore: il disegno del complesso con I quattro Evangelisti che reggono il globo con il Padreterno è attribuito al pittore, che ottenne, dopo averne fatto generoso dono, un’importante commissione per lo stesso Ordine benedettino a Perugia. Il contratto fu siglato a Venezia da Vassilacchi, e sottoscritto da suo fratello Jacopo, il 5 maggio 1592, con l’abate del monastero di S. Pietro per la realizzazione di un grande telero con L’ordine benedettino, su disegno del monaco Arnold Wion. Seguì un’ulteriore commissione per altri dieci quadri rappresentanti La vita di Cristo, il cui contratto fu steso il 7 giugno del 1593. Quando le tele giunsero a Perugia nell’aprile del 1594, le prime cinque erano già terminate e furono subito poste in opera al loro arrivo, mentre le altre, solo abbozzate, furono terminate dal maestro e un assistente. L’impresa rappresenta un momento di felicità espressiva per Vassilacchi, segnando il punto di sintesi delle precedenti esperienze pittoriche.
Nella Cacciata dei mercanti dal tempio egli imprime un forte moto alla scena; i protagonisti si muovono creando un effetto teatrale, con luminose pennellate che delineano, quasi in maniera esasperata, le pieghe dei vestiti. Le aperture paesaggistiche mostrano la conoscenza di Paolo Fiammingo, con rimandi a Tintoretto, e si avverte l’uso di guizzi luminosi e di repertori che risentono della bottega dei Bassano.
Jacopo Vassilacchi era il fratello più giovane di Antonio, con cui presumibilmente collaborò pur essendo registrato anche come mercante di lana; infatti nel 1599 ricevette un pagamento per due cartoni su tela per un S. Giovanni e una Madonna, oggi perduti, per la chiesa di S. Giorgio dei Greci; l’anno dopo Antonio risulta iscritto alla Confraternita greca di Venezia (Makrykostas, 1998, p. 53), indice che entrambi i fratelli intrattenevano rapporti con la comunità greca veneziana. I due mosaici presenti in chiesa sono, però, opere lontane dai modi della bottega dell’Aliense.
Attorno al 1600, essendo mancato Francesco Montemezzano, Vassilacchi ottenne l’incarico per L’adorazione dei pastori nella sala del Consiglio dei dieci (Ridolfi, 1648, p. 216), la quale presenta ancora elementi luministici e colori brillanti che tendenzialmente si sarebbero spenti con il passare degli anni, e per una S. Giustina per il palazzo ducale.
Il 30 marzo 1600 Giulia, figlia di Jacopo Palma, sposò Jacopo Vassilacchi; il matrimonio fu celebrato nella chiesa di S. Cristoforo a Murano e registrato il 5 giugno. Lo sposalizio sembrava prospettare l’unione tra due delle principali botteghe pittoriche attive a Venezia nei primi anni del Seicento; il 25 gennaio 1602, infatti, venne firmato un contratto che vedeva la collaborazione dei due pittori. Vassilacchi si recò a Salò per proporre un progetto per la decorazione del duomo di S. Maria Annunciata ai deputati alla pittura del Comune, poi ratificato a Venezia, a casa di Alessandro Vittoria, lo scultore amico di Palma, che si fece garante dell’esecuzione.
Il rappresentante di Salò, visitando i pittori che abitavano vicini, fu colpito dagli agi con cui vivevano, Vassilacchi risiedeva infatti negli edifici di Cà Bruolo a S. Margherita, dove fu registrato nel maggio del 1601 come padrino di un battesimo, mentre Palma abitava nel vicino sestiere di S. Croce.
L’accordo riguardava due tele con la Vita della Vergine, due Storie bibliche per l’organo e un affresco rappresentante l’Assunzione con i Quattro Evangelisti. Nel maggio del 1603 i pittori si recarono a Salò per metterle in opera; Vassilacchi realizzò la Natività della Vergine e il controsportello dell’organo, che reca la sua firma, con due Storie dell’Antico Testamento; nello stesso duomo i due, assieme a un lavorante, dipinsero a fresco la cupola sopra l’altare maggiore. In queste opere Vassilacchi sembra avvicinarsi a Palma, probabilmente per rendere il lavoro più uniforme. Tuttavia il progetto di un’unica grande bottega pittorica – se mai si fosse profilato – venne a infrangersi nelle diversità caratteriali dei due artisti; il contratto stipulato da Aliense fu giudicato poco vantaggioso da Palma, che avrebbe voluto chiedere almeno 700 scudi in più.
Vassilacchi dipinse in seguito per la chiesa veneziana di S. Zaccaria Lo sposalizio della Vergine e La presentazione al Tempio, due grandi teleri che cercano effetti scenografici presentando vaste architetture e colori schiariti; probabilmente nella realizzazione intervenne la bottega o il figlio. Per la chiesa veneziana delle Zitelle dipinse poi La Vergine e il procuratore Federico Contarini, più vicina ai modi semplificati e realistici di Domenico Tintoretto. Anche la Resurrezione della Confraternita veneziana di S. Giorgio degli Schiavoni presenta questi nuovi tratti naturalistici. Per il senatore Giovanni Barbarigo affrescò la villa di Noventa Vicentina con i Fasti della famiglia Barbarigo assieme ad Antonio Foler e ad altri lavoranti. All’interno delle strutture architettoniche dispose scene di battaglia affollate e movimentate, con un chiaro rimando agli schemi decorativi di Giambattista Zelotti nel castello del Catajo.
In quegli anni nacquero le figlie Laura e Chiara, che diverranno monache. Nel 1606 fu eletto gastaldo della Scuola dei pittori e nello stesso anno nacque anche il nipotino Giovanni, figlio del fratello, che il nonno Jacopo Palma ricordò amorevolmente in un disegno e che ebbe per padrino di battesimo il ricco mercante fiorentino Roberto Strozzi. L’8 novembre 1609 morì la moglie Giacomina, nominandolo esecutore testamentario assieme al figliastro Stefano, indicato come «figlio di messier Antonio mio consorte» (Archivio di Stato di Venezia, Notarile Testamenti, b. 222/960, c. n.n., sub 2 novembre 1609). Nel testamento autografo Giacomina non riserva alcuna parola d’affetto per il marito, pur lasciandogli i beni mobili e gli stabili; ricorda invece la sorella monaca a S. Zaccaria (dove si trovava la sua tomba di famiglia), la cognata Caterina, sorella di Antonio, e le due figlie. Il 3 gennaio 1610 il fratello Jacopo fu assassinato all’età di quarantun anni, e nel dicembre dello stesso anno scomparve anche il nipote Giovanni; s’interruppe così il legame parentale con Jacopo Palma e si acuirono i contrasti tra i due pittori, che a detta di Ridolfi (1648, p. 221) sfociarono addirittura nell’ostilità.
Nel 1611 Vassilacchi realizzò il cartone per La comunione degli Apostoli nella basilica di S. Marco, introducendo l’uso del cartone su tela. L’opera, ora perduta, fu eseguita dal mosaicista Lorenzo Ceccato, e Vassilacchi si attenne al ricordo del mosaico preesistente senza alterarne le architetture, lo spazio e i rapporti di figura su figura, riproponendo al centro dell’opera un baldacchino, che evidentemente già esisteva, per scandire i due momenti dell’azione. Malgrado la critica veda nelle opere di questo periodo un’involuzione dell’artista, la Resurrezione per la chiesa veneziana di S. Vidal mostra ancora piena capacità espressiva e un felice dinamismo.
Il 1° febbraio 1621 il pittore fu chiamato, assieme a Giacomo Rizzardini e a Gerolamo Pillotti, dal proto Bartolomeo Manopola per eseguire la stima degli affreschi realizzati da Filippo Peranda, Giuseppe di Schioppi, Matteo Ingoli e Domenico Bruni nella nuova sala dei banchetti di palazzo ducale. Nel 1623 firmò La natività della Vergine per la chiesa padovana di S. Maria in Vanzo e il S. Sebastiano e altri santi, dove le forme plastiche dei santi sono immerse in un’atmosfera vibrante e cupa. Nel 1624 risulta abitare nella parrocchia di S. Angelo con la terza moglie, un suo zio prete, una balia e un figliastro.
Morì il 14 aprile 1629 di febbre e catarro nella parrocchia di S. Vidal a Venezia, dopo dodici giorni di malattia (Archivio di Stato di Venezia, Provveditori e Sopraprovveditori alla Sanità, b. 855, c. n.n., sub 14 aprile 1629). Avendo dilapidato le sue fortune, fu sepolto a cura di Ridolfi.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, b. 371, sub 28 marzo 1618, cc. n.n.; Scuole piccole e suffragi, b. 231, sub 19 dicembre 1591, cc. n.n.; Arti, b. 107, Libro di locazion e receveri, 1606, cc. 4rv, 6r, 7v; Provveditori al Sal, b. 413, sub 1° febbraio 1621, cc. n.n.; Provveditori e Sopraprovveditori alla Sanità, b. 855, sub 14 aprile 1629; Venezia, Archivio Patriarcale, S. Margherita, Battesimi, n. 2, sub 26 maggio 1601, cc. n.n.; Venezia, Biblioteca del civico Museo Correr, Codice Donà delle Rose, b. 352, Sestiere di San Marco, sub 1624, cc. n.n.
C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte, ovvero Le vite degli illustri pittori veneti..., Venetia 1648, pp. 209-225 e passim; P. Molmenti, Un contratto fra il Comune di Salò e i pittori Palma il Giovane e A. V. detto l’Aliense, in Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, LXVI (1906-1907), pp. 395 s., 399-405; G. Boccassini, Le tele dell’Aliense a Perugia, in Arte veneta, XI (1957), pp. 186-190; Ead., Profilo dell’Aliense, ibid., XII (1958), pp. 111-125; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Seicento, Venezia 1961, pp. 23, 30 s., 36, 44-46, 53, 56, 73, 75, 79, 83; H.L. Makrykostas, A. V. Aliense, 1556-1629, a Greek painter in Italy, Atene 1998; A.E. Rossi, Disegni di A. V. detto l’Aliense, in Arte veneta, LIII (1998), pp. 35-49; H.D. Huber, Paolo Veronese, Kunst als soziales System, München 2005, pp. 104-109, V. Mancini, La Flagellazione di Cristo, in La basilica dei Santi Giovanni e Paolo, a cura di G. Pavanello, Venezia 2013, pp. 330 s.