PORTLAND, Vaso di
Anfora di vetro azzurro cupo con fregio figurato in bianco opaco, nel British Museum, un tempo proprietà dei Duchi di Portland, alta cm 24,7; il più bell'esemplare dei così detti cammei vitrei (v. oltre).
1. - Storia. - Dapprima il vaso di P. stava nel Palazzo Barberini, in Roma, dove nel 1642 è menzionato per la prima volta da G. Terzi (Aedes Barberinae, 26). Non si riesce a trovare traccia in epoca precedente (v. sotto). La dichiarazione di P. S. Bartoli (Gli Sepolcri Antichi, 1697, xii), secondo la quale l'anfora sarebbe stata ritrovata nel così detto sarcofago di Alessandro Severo, è evidentemente arguita dal significato delle scene riprodotte nel fregio così come interpretate in quell'epoca. Nel processo verbale della scoperta di detto sarcofago, nulla è detto del vaso. Verso la fine del XVIII sec. esso venne in possesso della famiglia Portland. La comparsa di quest'anfora in Inghilterra diede origine alla produzione di un particolare tipo di vasi, i "prodotti di diaspro azzurro" della fabbrica di Wedgewood che, naturalmente, non mancò di copiare anche il vaso Portland (Mankowitz, passim). Ma si tratta di copie non di vetro, bensì di terracotta, che non presentano la squisita finezza dell'originale. Nel 1810 la famiglia Portland diede quest'anfora in custodia al British Museum, dove nel 1845 fu mandata in frantumi da un pazzo; nel 1945 questi frammenti furono acquistati dal British Museum, e si procedette alla ricostruzione.
Anche se si ignora il luogo ove il vaso di P. è stato veramente ritrovato, non è lecito dichiararlo opera veneziana del XVI sec., con figure copiate dal disegno del Parnaso di Raffaello, come è stato di nuovo affermato verbalmente. La nota incisione di Marcantonio Raimondi secondo Raffaello, contiene figure sedute e coricate simili a quelle raffigurate sul fregio del vaso di P., nonché putti alati. Ma l'Erote del vaso di P. si distingue da essi per i suoi attributi antichi. Putti del tutto simili si trovano anche sulle lastre recentemente scoperte a Pompei (Maiuri, fig. 1; 2). Il fregio del vaso di P. non rivela neppure in un singolo tratto una mano del XVI secolo. Durante il Rinascimento ed il periodo barocco, la produzione del vetro-cammeo non risulta esistita a Venezia né in altro luogo. Essa ha inizio soltanto nel tardo XVIII secolo. Infine, la stessa analisi chimica parla in favore dell'antica origine del vaso di Portland.
2. - Tecnica. - Sino alla metà del XVIII sec. la materia prima dell'anfora fu ritenuta onice o agata, finché P. J. Manette dimostrò trattarsi di vetro. Dalle ultime analisi tecniche di W. E. S. Turner ed H. P. Rooksby risultò che per il fondo azzurro ed il rivestimento bianco era stata adoperata una stessa massa di vetro. Nell'un caso era stata colorata con cobalto e azzurro di rame, nell'altro con bianco opaco di antimonio. Poiché dalla fine dell'evo antico l'antimonio non ha più servito alla produzione del vetro opaco, l'origine antica del vaso di P. risulta attestata anche dal punto di vista chimico. L'anfora azzurra fu intinta sino al collo nella liquida massa vitrea bianca. Su questo strato, che raggiunge lo spessore sino di 5 mm, fu inciso, a raffreddamento avvenuto, il fregio, esattamente nel modo in cui un incisore di cammei opera sugli strati di una pietra-onice. L'involucro bianco è stato asportato ora più, ora meno profondamente, onde ottenere effetti di opacità e di trasparenza. Ciò dà origine a buon numero di squisite sfumature, per cui il vaso non è più esclusivamente azzurro e bianco, bensì presenta un'intera gamma di mezzi toni.
Vasi di vetro-cammeo sono stati ritrovati in diverse località del mondo antico; a Pompei, nei pressi di Firenze e di Besançon, sul Limes in Germania, persino in Norvegia, in un tumulo sepolcrale dell'epoca della migrazione dei popoli. I più antichi esemplari di figure bianche su fondo di vetro azzurro sono due frammenti egiziani che risalgono intorno al 300 a. C. In essi, però, le figure non sono incise, bensì applicate sul fondo. Non si può dire con certezza dove sia stata inventata la vera e propria tecnica del vetrocammeo, ma si può presumere che sia stato ad Alessandria. Forse deriva da lì uno dei più squisiti frammenti in questa tecnica: il Perseo della Bibliothèque Nationale di Parigi. Fabbriche di vetro-cammeo dovevano esistere anche in Italia già nella prima epoca imperiale come infatti parrebbero attestare gli oggetti ritrovati a Pompei (v. Maiuri, Boll. d'Arte, 1961, pp. 18-23). Secondo la testimonianza di Strabone, già nel periodo di Augusto la stessa città di Roma era un centro di produzione del vetro-cammeo. Per ragioni logiche è stata proposta Roma come luogo di origine del vaso di Portland.
3. - Altri vasi di vetro-cammeo. - La maggior parte degli oggetti in vetrocammeo ci sono giunti soltanto in frammenti. Oltre agli esemplari pompeiani intatti, esistono solo pochi vasi interi. In sostanza, si tratta di tre vasi, i cui temi appartengono alla sfera dei misteri dionisiaci: una brocca a Besançon, un balsamarium da Torrita, al Museo Archeologico di Firenze, ed una coppa senza manico, rimasta per lungo tempo ignorata. Quest'ultima fu messa all'asta a Parigi, Hotel Drouot, nel 1912 e di poi ricomparve nella Pierpont Morgan Library, a New York. Questo "cammeo Morgan", alto 6,2 cm, è ora custodito nel Corning Museum of Glass, Corning, N. Y. (Inv. 52.1.93): le scene principali sono due, una matrona in preghiera davanti ad un'erma, e lo scoprimento della cista mistica, sotto un velum tenuto steso da un satiro. Nella scena secondaria si vede un asino, legato ad un pino ed evidentemente in attesa, che deve aver portato la matrona al sacrario. Questa coppa risale alla prima epoca imperiale ed è certamente originaria da una qualche provincia dell'Asia Minore. Pure dall'Asia Minore proviene presumibilmente un vasetto da balsamo in vetro-cammeo, anche esso riemerso recentemente ed ora di proprietà privata in Svizzera, sul quale sono raffigurati putti in ambiente di tipo egiziano.
4. - Datazione. - Per la fissazione della data dell'anfora di P., i vasi e le lastre di Pompei sono importanti poiché certamente anteriori al 79 d. C. Lo stile di questi vasi rivela il periodo dell'imperatore Claudio; allo scopo, si confrontino i pampini tracciati sull'anfora conica (v. alessandrina, arte, vol. 1, fig. 343) con quelli che figurano sul cammeo del Corno dell'Abbondanza, a Vienna (Simon, p. 47 ss.). In considerazione del suo stile, il vaso di P. va ritenuto anteriore. L'eleganza ed il compassato classicismo delle sue figure rivelano il gusto del periodo augusteo. Un tratto ricercato e caratteristico dell'epoca consiste nel modo in cui i personaggi reggono in mano determinati oggetti, ossia tra l'indice ed il medio. Sul vaso di P., la donna coricata regge la fiaccola proprio in questo modo, e con lo stesso gesto il giovane che le sta accanto tiene la veste. A sua volta, il principe raffigurato sulla Gemma Augustea (v.) che sta di fronte alla Roma assisa in trono, stringe l'elsa della sua spada appunto tra il dito indice ed il medio. Di fronte ai vasi di Pompei, sovraccarichi di minuti ornamenti, il fregio del vaso di P. appare nobile e proporzionato. Pur rimanendo nell'ambito del periodo augusteo, si preferirebbe pensare agli anni correnti dal 30 al 20 a. C., poiché nell'eccessiva lunghezza della donna seduta e del giovane avanzante si rivela ancora l'influsso delle proporzioni ellenistiche. Per quanto riguarda il disegno dei capelli e degli occhi, si possono effettuare ulteriori confronti di stile ricorrendo alle monete coniate dopo la battaglia di Azio.
In analogia con l'anfora conica di Pompei, si può presupporre anche per il vaso di P. l'esistenza, in origine, di una punta come chiusura inferiore, per quanto certamente priva di un secondo fregio. Il disco con rilievo, che dal XVII sec. costituiva il fondo del vaso, fu dichiarato estraneo ad esso già dallo stesso Wedgewood. Questo disco non costituisce per se stesso una composizione circolare chiusa, bensì appare ricavato da una lastra piatta e più larga. Frammenti di simili lastre erano noti da un pezzo; come recentemente si è scoperto in seguito agli ultimi scavi a Pompei, queste lastre di vetro-cammeo potevano essere incastrate nelle pareti (o nei mobili?) a scopo ornamentale (cfr. Maiuri, Boll. d'Arte, 1961, pp. 18-23). Il disco di fondo del vaso di P., che ora giustamente non è più applicato ad esso, mostra la figura di un giovane, in abito di foggia frigia, seduto sotto alcuni rami e con la mano sollevata al mento, quasi in atto di meditazione. Comunque, la presenza di un vaso di vetro-cammeo scoperto entro una tomba risalente all'epoca della migrazione dei popoli (v. sopra), sta a dimostrare che questi oggetti erano altamente pregiati e custoditi attraverso generazioni e secoli. Dal punto di vista dello stile, i frammenti di Oslo somigliano talmente al vaso di P. da attribuirli a loro volta al periodo augusteo. È lecito presumere che l'anfora di P. non sia mai stata sotto terra, e così i vasi di pietra dura ad essa strettamente affini (v. sotto), nonché i grandi cammei di gaia della prima epoca imperiale.
5. - Interpretazione. - Sino dal XVII sec., studiosi e dilettanti hanno cercato di interpretare le scene raffigurate sul vaso di Portland. Un fico sull'una parte del vaso, un alloro sull'altra stendono i loro rami su una figura di donna, coricata o seduta. Da un lato essa tiene un drago di natura divina, dall'altro una fiaccola che pare sul punto di sfuggirle di mano. Sulla parte con l'albero del fico, la donna è affiancata da due figure assise su rupi, un giovane ed una dea armata di scettro. Sulla parte che reca l'alloro il giovane, emerso da una porta, pare avvicinarsi alla donna, alla quale è già avvinto dallo sguardo e dall'unione delle braccia. A destra sta un uomo barbato che ha il capo appoggiato. Il maggior numero delle tentate interpretazioni presero spunto proprio da questa parte. Deve trattarsi di un incontro amoroso, poiché sopra la coppia vola Amore, armato di fiaccola ed arco. Nel XVII sec. si riteneva che la scena rappresentasse il sogno di Mamaea, madre di Alessandro Severo. Secondo la Historia Augusta (14, 1), essa avrebbe sognato di dare alla luce un piccolo drago. Secondo un'altra interpretazione, pure del periodo barocco, la presenza di Amore parrebbe maggiormente giustificata: nella donna va riconosciuta Olimpia, madre di Alessandro Magno, prossima all'unione con Giove Ammone. In effetti, in un'intera serie di contorniati, già noti agli umanisti, è raffigurata la regina Olimpia, il cui nome compare sull'iscrizione, con il serpe divino (A. Alföldi, Die Kontorniaten, Tav. 3, 1 e passim). L'interpretazione, molto considerata, di J. J. Winckelmann che voleva vedervi Peleo e Teti, è un passo indietro rispetto alla precedente. Effettivamente, la somiglianza formale della donna con il serpe è assai maggiore con Olimpia che con qualsiasi raffigurazione di Teti. Il giovane comparso sulla porta avanza sulla punta dei piedi, come usano camminare gli dei quando si approssimano ad una creatura terrena (il "passo dell'epifania"). Si tratta quindi di una divinità maschile, per cui la donna raffigurata non può essere Teti. La leggenda dell'origine divina di Alessandro fu successivamente adattata ad altri sovrani, greci e romani. Durante il periodo augusteo, al quale sicuramente risale il vaso di P., in taluni ambienti si sosteneva che Augusto fosse figlio di Apollo. In Svetonio (Aug., 94, 4) ed in Cassio Dione (xlv, 1, 2) è detto che Attia, madre di Augusto, si fosse recata a mezzanotte al tempio di Apollo per una sacra visita. Colà giunta, vi si sarebbe addormentata, mentre un serpe ne approfittava per strisciarle vicino. Dieci mesi dopo nasceva Augusto, che appunto per questo fu ritenuto figlio di Apollo. Nella donna sotto l'alloro apollineo ci è quindi lecito riconoscere Attia con il serpe divino. Contemporaneamente lo stesso Apollo è presente, mentre esce dal suo tempio. L'uomo barbuto sulla destra è senz'altro una figura destinata a rappresentare l'elemento romano, forse Romolo-Quirino presso il fico ruminale. Sull'altra parte si può riconoscere una scena introduttiva a questo sacro connubio. Analogamente a quanto è detto di Rhea Silvia nella letteratura augustea, anche Attia si è rilassata, stanca, ed il dio la contempla per la prima volta. Qui Apollo sta sotto l'influsso di Venere, progenitrice della gente Giulia, che ora siede a destra su una roccia, volgendo su di lui uno sguardo imperioso. Nella poesia greco-romana la prima visione della donna amata viene spesso esaltata e, quindi, anche qui è contrapposta, con altrettanta importanza, alla scena dell'unione. Le maschere di Pan sulle anse ornate con motivo di foglie finemente incise, dovrebbero a loro volta avere significato adeguato alla circostanza. Ed infatti possono stare ad indicare, in modo ornamentale, il Capricorno, ossia la costellazione della concezione di Augusto.
Le due scene sul vaso di P. non sono tratteggiate secondo il metodo ufficiale dei rilievi storico-romani, bensì hanno carattere idilliaco. Ciò corrisponde alla natura privata del vaso, che certamente era un oggetto di lusso, forse appartenuto ad un membro femminile della famiglia imperiale. Volendo trovare qualcosa di simile nella letteratura poetica augustea, possiamo soffermarci sulla iv egloga di Virgilio. Ma se cerchiamo un qualche parallelo tra i vasi, non lo troviamo tra le summenzionate anfore di vetro-cammeo, le quali tutte hanno qualcosa di "provinciale" rispetto al vaso di Portland. I tipi ad esso più strettamente vicini per stile e materiale sono i vasi in pietra pregiata, i quali tutti sembrano riferirsi ad avvenimenti proprî alla famiglia Giulio-Claudia. La brocca d'onice di Saint Maurice (Simon, tav. 32-35), che nello stile maggiormente si approssima al vaso di P., va ricollegata senza dubbio alla morte di Marcello, ed il vaso di onice alabastrina di Berlino alla nascita di un figlio nella casa imperiale. Il vasetto d'onice da unguento, a Brunswick, rappresenta Nerone in veste di nuovo Trittolemo.
Bibl.: Walters Cat. Brit. Mus... of Gems, 376 ss., n. 4036; ivi l'elenco della letteratura sino al 1926. Copie Wedgowood: W. Mankowitz, The Portland Vase and Wedgewood Copies, Londa 1952. Tecnica: P. J. Mariette, Traité des Pierres Gravées, II, Parigi 1750, p. 282 ss.; W. E. S. Turner, Composition of the Portland Vase, in Journal of the Society of Glass Technology, XLIII, 1959, p. 262-285; W. E. S. Turner-H. P. Rooksby, Glastechnische Berichte, Sonderband des V. Internat. Glaskongresses, 1959, Heft VIII, n. 17-28; W. E. S. Turner-H. P. Rooksby, Jahrb. des Röm. Germ. Zentralmus., VIII, 1961, p. i ss.; H. P. Rooksby, Opacifiers in Opac Glasses, in General Electric Company Journal, XXIX, n. i, 1962, pp. 20-26. (Devo queste indicazioni tecniche alla cortesia del sig. B. Brill, Corning, N. Y.). Altri vasi di vetro-cammeo: E. Simon, in Journal of Glass. Studies, VI, 1964. Lastre piane dalle pareti pompeiane: A. Maiuri, in Boll. d'Arte, 1961, pp. 18-23, fogli 1-3. Interpretazione del vaso di P. e dei vasi-cammeo ad esso affini: E. Simon, Die Portland Vase, Magonza 1957, con riferimento a tutti i monumenti qui considerati. Recensioni: H. Moebius, in Gnomon, XXX, 1958, p. 133 ss.; G. M. A. Richter, in Am. Journ. Arch., LXII, 1958, p. 451. Brocca di Besançon: Revue Arch. de l'Est., II, 1951, p. 40 ss., tav. 4. Balsamario da Torrita: F. Cumont, Recherches sur le symbolisme funéraire des Romains, Parigi 1942, p. 136, fig. 18; A. Maiuri, in Boll. d'Arte, 1961, p. 21, fig. 4. Cammeo Morgan: S. R., in Rev. Arch., 1912, II, p. 172; Art Quarterly, XVIII, 1955, p. 421 ss.