Valori costitutivi e maggioranze parlamentari
Dall’esame della prassi successiva alle elezioni del 4 marzo 2018 emergono dubbi e contraddizioni sui contenuti d’insieme del rinnovamento politico e costituzionale che potrebbe seguire al mutamento di governo. Le ostilità espresse da esponenti dell’apparato governativo nei confronti delle istituzioni rappresentative e giudiziarie, oltre che nei confronti dell’Unione europea, suscitano delle perplessità, perché sembrano mettere sotto accusa i valori della democrazia, della separazione dei poteri e lo stesso processo di integrazione europea. Le critiche ai valori della convivenza, della solidarietà sociale, della tutela del lavoro e della democrazia possono disorientare l’opinione pubblica accrescendo la sfiducia nelle istituzioni e facendo pensare a rischi di tipo autoritario.
I valori costitutivi dell’ordine giuridico e sociale si fondano su profonde convinzioni delle collettività, più che su raffinate elaborazioni concettuali o su contingenti maggioranze parlamentari. Per giungere alla conclusione che i valori della convivenza sono mutati e che i percorsi del diritto costituzionale si avviano verso nuove mete storiche, politiche e etiche, non basta la formazione di una nuova coalizione governativa, anche se i membri di essa siano tutt’altro che alieni da affermazioni di principio e facciano intravedere persino la possibilità di “riforme istituzionali”. Se tali elementi fossero sufficienti per l’affermarsi di un nuovo diritto costituzionale, basterebbe il reclutamento di nuovi specialisti e l’uso di nuovi concetti, più sensibili ai mutamenti del potere politico, economico e finanziario e persino più attenti alla prassi quotidiana. Il diritto costituzionale deve, per vocazione, guardare in alto, ai valori costitutivi della convivenza e rifuggire dall’improvvisazione, oltre che dal tecnicismo giuridico, senza fermarsi agli elementi di dettaglio o di rilievo puramente formale. Esso rappresenta una disciplina che ha riguardo in primis a elementi valutativi, che attengono al mutare delle istituzioni, della storia e dell’economia: deve perciò mantenere le necessarie distanze dalle polemiche quotidiane che attirano di più i riflettori e le macchine da ripresa. L’impegno di studio del diritto costituzionale investe un livello della vita sociale e della prassi istituzionale che rispecchia infatti valutazioni giuridiche, la dialettica politica, la storia e l’intera cultura di un’epoca e non riguarda solo le prossime competizioni elettorali, né controversie legate alle estemporanee dichiarazioni dei protagonisti di uno spettacolo che interessa prevalentemente i mezzi di comunicazione. Il mutamento è un tratto essenziale del diritto costituzionale, come d’altra parte di quello internazionale e di gran parte dei fenomeni giuridici che non possono essere intesi adeguatamente se non, risalendo alla consistenza delle diverse matrici dei comportamenti umani, alle diverse forme di aggregazione collettiva presenti nelle collettività contemporanee. Per parlare di valori costitutivi del diritto costituzionale occorre guardare ai fenomeni che investono l’intera convivenza sociale e che riguardano più contesti storici e politici: è necessario perciò un impegno interpretativo che non può essere determinato esclusivamente dall’attualità. Per quel che riguarda l’Italia e l’Europa, il diritto costituzionale merita di essere studiato dinamicamente, perché questa disciplina attinge in ogni Paese a varie matrici politiche e culturali, a diverse scuole e tradizioni sociali e persino dottrinali. Gli apporti degli scrittori italiani di politica e di diritto costituzionale alla cultura europea sono stati particolarmente apprezzati in altri Paesi, soprattutto in passato, per il loro elevato livello culturale, storico e teorico, fino a quando tale disciplina non ha finito per tecnicizzarsi a tal punto da intraprendere sentieri sempre più stretti, sempre più specialistici. Questo fenomeno ha determinato una profonda confusione tra il metodo di studio e l’oggetto di esso che è divenuto progressivamente sempre di più la prassi quotidiana, l’attenzione empirica alle dinamiche partitiche e ai dati forniti dalla prassi e persino dalla giurisprudenza, che per la sua natura concreta non può essere fonte di nuove teorie generali e neppure di rigorose dottrine specialistiche. Questo orientamento non si è limitato a ridurre il diritto costituzionale a una disciplina con ambizioni conoscitive sempre più ridotte, ma ha finito nel migliore dei casi per trasformarsi in una tendenziale ricerca di elementi di attualità, mettendo del tutto fuori campo quella vocazione autenticamente comparativa che in passato aveva rappresentato l’orizzonte più alto nello studio del diritto costituzionale italiano. Il 2019 è un anno che sembra porre non pochi interrogativi con riferimento agli sviluppi delle istituzioni nazionali e europee e non è facile mettere insieme gli eterogenei elementi a disposizione successivi alle elezioni del 4 marzo del 2018 e alla formazione del nuovo Governo, finché la prassi non si sia sufficientemente consolidata. Sembra importante tuttavia non chiudere gli occhi sulle continue dichiarazioni di principio rese dai più importanti interlocutori del dibattito politico nazionale, perché esse rappresentano i soli elementi finora a disposizione per chi cerchi di interpretare le contraddittorie vicende dell’attuale prassi costituzionale. La vita di una democrazia parlamentare non può tuttavia dipendere solo dalle manovre delle correnti che si diversificano nel quadro dei partiti politici di vecchia o nuova istituzione, ma deve risentire prima di tutto degli spazi di comunicazione culturale, istituzionale e politica. Non è il caso di fermarsi a riflettere sul significato eversivo delle affermazioni mediatiche di alcuni esponenti della maggioranza governativa, che manifestano forse intenti polemici e elettoralistici più che rispondere a approfondite riflessioni sul mutare degli equilibri economici internazionali e interni all’apparato dei poteri pubblici. Uno degli insegnamenti più apprezzabili del diritto costituzionale di alcuni secoli fa era che le costituzioni presentavano elementi di continuità e mutamento, dipendenti dal fatto che esse si erano sviluppate tra il parziale persistere di valori costitutivi che assicuravano una continuità più o meno stabile con il passato e la garanzia della possibilità di innovazione dei principi e delle regole. Un altro insegnamento dei classici del diritto costituzionale liberale è che i valori costitutivi dell’ordine giuridico non si lasciano facilmente formalizzare e il loro contenuto essenziale risente di connessioni imprevedibili, ma non per questo poco rilevanti, tra i valori di fondo dei diversi ordini giuridici. L’attuale situazione sociale, caratterizzata da una crescente disoccupazione, oltre che da una crisi economica non facilmente dominabile, pone drammaticamente in primo piano il problema del lavoro, dei diritti sociali e della solidarietà sociale, in presenza di un quadro costituzionale tutt’altro che privo di asperità e di conflitti. Lo studio del diritto costituzionale, con tutti i suoi limiti, non può rinunciare in partenza alla possibilità di individuare prospettive di riflessione che abbiano riguardo a una pluralità di elementi reali, a fattori economici, storici, istituzionali e sociali. Si tratta di prospettive di riflessione che, come si è già osservato, non meritano di essere perdute di vista ai fini di una chiara considerazione di possibili equilibri e del loro impatto con l’opinione pubblica.
Uno dei punti, sul quale ritorneremo, è costituito dalla comunicazione sociale, le cui redini non possono restare esclusivamente nelle mani di chi detiene il potere economico, finanziario e politico, ma devono, per quanto possibile, lasciare spazio al dialogo e al confronto tra cittadini. Alla crescente inconsapevolezza dell’abuso dei meccanismi della comunicazione sociale e politica si accompagna spesso una campagna volta a far perdere fiducia nei confronti delle istituzioni rappresentative; si sente sempre più spesso dire, anche da parte di membri del Governo, che il Parlamento è solo un luogo di inconcludente perdita di tempo e che la rappresentanza politica è un istituto poco adeguato alle esigenze dei tempi e persino alla complessità delle società contemporanee; con l’aggiunta che le istituzioni parlamentari per di più eleverebbero i costi del bilancio dello Stato più di quelli delle altre strutture pubbliche. Molti sarebbero i temi sui quali aprire un dibattito, non solo accademico e dottrinale, rivolto alla generalità dei cittadini per consentire una rapida e utile valutazione dello stato delle cose, a cominciare dal valore della separazione dei poteri, tema che è tornato di attualità nel dibattito quotidiano. Il primo corollario di essa è rappresentato dall’indipendenza della Magistratura, che non può essere oggetto di attacchi da parte del potere governativo, senza che ciò comporti conseguenze devastanti per l’intero sistema istituzionale; un altro corollario di tale esigenza è rappresentato dal divieto per i giudici di farsi legislatori, opponendo al diritto quale risulta dalla valutazione dei diversi elementi dell’ordine esistente, un diritto di contenuto essenzialmente giurisprudenziale.
Quando si parla di diritto costituzionale, Costituzione, giurisdizione, separazione dei poteri, forma di governo e aspettative delle minoranze si dovrebbe rendere possibile un dibattito pubblico su fenomeni articolati e complessi che dovrebbero trovare soluzioni condivisibili dalla collettività. Non è inutile ricordare che anche nel momento in cui il popolo italiano giunse alla convinzione che occorreva lasciarsi alle spalle le esperienze costituzionali della monarchia e del fascismo, per assumere nuovi punti di riferimento valutativi, questi furono individuati anzitutto nell’assetto repubblicano e nel ritorno alle istituzioni parlamentari. Tali istituzioni, che avevano delle radici nel vecchio regime monarchico, sia pure nel quadro di un diverso contesto politico e sociale, hanno poi messo radici nella nostra storia giuridica e hanno caratterizzato gli sviluppi del diritto costituzionale quali valori fondamentali della nostra storia istituzionale, legislativa e giurisprudenziale. In questa sede, si può solo accennare all’importanza delle istituzioni parlamentari, al significato storico e giuridico del principio dello Stato di diritto e della separazione dei poteri, così come al valore della solidarietà sociale; ma è importante che il discorso sui valori della convivenza non proceda alla cieca, senza perdere di vista alcune essenziali coordinate storiche, etiche e istituzionali.
Ritengo opportuno muovere dalla sottolineatura del valore della rappresentanza politica, tema che da secoli è oggetto di studio da parte della filosofia politica, oltre che del diritto costituzionale e di quello parlamentare; da tale studio nasce l’importanza di una riflessione sugli sviluppi della “logica parlamentare”, sulla pubblicità dei dibattiti e sulla garanzia del pieno svolgimento di essi. Espressioni di ostilità nei confronti delle istituzioni parlamentari, riportate dalla stampa quotidiana e diffuse da altre forme di comunicazione, finiscono per presentare il Parlamento come la causa o l’origine della corruzione sociale, dello spreco del denaro pubblico e della lentezza degli interventi dei pubblici poteri nell’esercizio delle proprie competenze. Sembra che non ci si renda conto, quando si fanno affermazioni di questo tipo, che la presenza e il ruolo assunto da un Parlamento, principale strumento di garanzia del mantenimento delle condizioni per una vita democratica – nonostante tutto il male che si possa pensare della inadeguatezza culturale e persino morale di alcuni parlamentari – costituisce la condizione irrinunciabile per assicurare, secondo regole prestabilite, un pubblico confronto tra eletti dal corpo elettorale. Occorre non rinunciare ad approfondire il significato delle procedure e delle garanzie connesse al mantenimento di strutture parlamentari, in modo da non perdere di vista la ratio della predeterminazione di regole procedurali e organizzative, senza dimenticare che il corretto funzionamento delle camere rappresenta una delle condizioni irrinunciabili per il mantenimento di corretti rapporti politici; occorre inoltre ricordare che tra i compiti delle istituzioni parlamentari dovrebbero collocarsi anche alcune funzioni di controllo sull’apparato statale e sulle nomine dei titolari di cariche pubbliche elettive. Un altro punto fondamentale è rappresentato dalla libertà di coscienza del singolo parlamentare, che nella nostra Costituzione è espressa attraverso la clausola della esclusione di ogni vincolo di mandato (art. 67 Cost.). Spesso si parla di Costituzione, diritto costituzionale, forma di governo e soprattutto di riforme della Costituzione, quasi che le condizioni per il corretto funzionamento delle istituzioni parlamentari siano oggetto solo di una specializzazione tecnica che rifugge da ogni più approfondita riflessione sulla tradizione del diritto costituzionale italiano ed europeo e sui reciproci equilibri tra le competenze rispettive dei poteri dello Stato. Tale discorso non ha raggiunto livelli di approfondimento adeguati neppure in seguito all’affermarsi delle istituzioni europee, mentre nel diritto interno di molti Paesi europei sembra aver guadagnato terreno l’antico progetto di mettere nelle mani dei governi e persino delle amministrazioni (si pensi all’esempio tedesco) le redini della politica parlamentare e della direzione dei lavori delle camere elettive. L’orientamento antiparlamentare non è infatti una scoperta della nuova coalizione governativa, ma ha una lunga tradizione nella nostra storia parlamentare, come in quella di altri Paesi, nei quali è accaduto spesso di realizzare innovazioni istituzionali che perseguivano un progressivo rafforzamento del ruolo dell’esecutivo e una diminuzione delle garanzie delle minoranze. Si deve in proposito insistere sull’importanza del mantenimento di strutture rappresentative in grado di esercitare effettivamente poteri di decisione politica e di controllo sull’amministrazione pubblica, sottolineando le profonde connessioni tra libertà, democrazia e rispetto delle minoranze; le procedure parlamentari non hanno soltanto il vantaggio di garantire le minoranze, ma anche quelli già ricordati della pubblicità dei dibattiti e del rispetto delle rigorose e dettagliate regole di una procedura che si contrappone nettamente al carattere tendenzialmente riservato e informale di quelle amministrative e governative. Vorrei infine accennare ai vantaggi del bicameralismo italiano, che risale ad un’antica tradizione degli anni della monarchia e rappresenta tutt’altro che un congegno farraginoso e di puro rallentamento delle procedure di deliberazione parlamentare, essendo utilizzabile soprattutto per il miglioramento della qualità dei testi deliberati dalle assemblee e per assicurare dei correttivi contro eventuali “colpi di mano”. La crisi delle istituzioni rappresentative, avvertibile nei commenti della stampa quotidiana e nei discorsi di alcuni politici, non si esprime solo attraverso valutazioni di sfiducia nei confronti del Parlamento da parte dei membri dell’apparato governativo; essa si manifesta anche in richiami poco meditati e persino sfuggenti all’uso di ipotetici strumenti di democrazia diretta che rimetterebbero in carreggiata il corso della politica e le stesse istituzioni nazionali. Si può osservare in proposito che il ricorso a tali strumenti, oltre a non trovare rispondenza nel diritto positivo italiano, si rivelerebbe particolarmente rischioso per le istituzioni e per la prassi politica.
Pensare di rendere più frequente l’utilizzazione di referendum o plebisciti (come sembra sia allo studio in vista della elaborazione di progetti di legge di revisione costituzionale) costituirebbe una ingenuità, perché la scelta popolare conduce a radicalizzare i confini e a rendere difficile il raggiungimento di soluzioni ragionevoli e meditate. La soluzione dei problemi della convivenza richiede tempi adeguati di riflessione e ponderazione delle decisioni attraverso procedure complesse che consentano una relativa attenuazione dei conflitti e una partecipazione di punti di vista e valutazioni diverse alle necessarie decisioni.
Va considerato che tra i valori della convivenza vi sono quello del lavoro (il “principio lavorista”, come si esprime Costantino Mortati), il riconoscimento dei diritti sociali e quello della solidarietà sociale, che si collocano in una posizione fondamentale nel quadro dell’impegno dei poteri pubblici. Tali valori non meritano di essere intesi come espressioni formali di una cultura giuridica che non riesce a superare i limiti dell’esegesi letterale di singole enunciazioni testuali, ma vanno considerati in tutta la loro portata valutativa, storica e sostanziale. Un valore che va tenuto costantemente presente è quello della solidarietà, perché nelle società contemporanee sono presenti forze, cui è molto difficile resistere, che premono, attraverso svariati canali e prima di tutto attraverso la rete della comunicazione sociale, per una visione opposta, fondata sul profitto, sulla privatizzazione e sul ricorso ad azioni sempre più dure nei confronti dei soggetti più deboli, fino ad attenuare ogni forma di tutela e di solidarietà verso di loro da parte dei poteri pubblici.
I valori della solidarietà sociale, della dignità dell’uomo e di un’almeno tendenziale eguaglianza dei cittadini non possono ridursi solo a delle enunciazioni imperative, dal momento che essi nel loro insieme presuppongono, al pari dei diritti sociali, il mantenimento di istituzioni rappresentative nazionali e territoriali, che rispecchino la pluralità e complessità della società nazionale.
Le esperienze costituzionali europee e nazionali del passato sono tutt’altro che rassicuranti, compresa quella degli ultimi decenni del Novecento, e dimostrano che le garanzie della democrazia e della dignità umana esigono un impegno ben distinto dall’ampliamento del profitto economico e delle istituzioni del capitalismo finanziario. Per una visione degli sviluppi del diritto costituzionale europeo, occorre guardare più in alto delle leggi elettorali e dei mutamenti delle maggioranze parlamentari, considerando anche fattori che possono influenzare significativamente gli sviluppi del diritto costituzionale nazionale e europeo.
Una prima difficoltà al funzionamento della democrazia può venire anzitutto da un uso scorretto dei mezzi di informazione e da una comunicazione che cerchi di contrapporre gli schieramenti in modo frontale polarizzando la lotta politica e rendendo praticamente impossibile una reciproca comprensione. Una seconda difficoltà può nascere dalla diffusione di una cultura sempre più semplicistica e radicale, orientata da messaggi diretti al popolo che tendono a ridurre gli spazi di un libero dibattito aperto alla partecipazione di minoranze politiche o sociali. La terza difficoltà al funzionamento della democrazia può individuarsi nella intolleranza tra le diverse parti politiche e nella diffusione di pratiche autoritarie e demagogiche. Il problema della comunicazione sociale e politica può raggiungere livelli di alterazione del dialogo politico e economico non solo quando la comunicazione sia riservata ai poteri pubblici e alle sedi ufficiali, ma anche quando essa sia monopolizzata da iniziative di gruppi di interesse privato che tendono a alterare i termini del confronto politico e economico e rifiutano di assicurare tempi e spazi adeguati all’importanza dei temi trattati e al confronto delle opinioni dei cittadini.
Occorre garantire il livello dell’educazione civile lasciando aperti i ponti per scambi culturali e di opinioni sociali e politiche; alla disinvoltura con la quale si mettono in pratica tecniche di comunicazione autoritarie e non disponibili al confronto delle opinioni si deve contrapporre ogni sforzo per sorreggere procedure di libero dibattito e di rispetto per le opinioni altrui. Il miglioramento dello stato delle cose può avvenire solo attraverso il rispetto della dignità umana, la cui negazione è stata alla base delle peggiori esperienze dalla cultura europea.
Il più evidente segno di mutamento nei valori costitutivi dell’ordine giuridico è rappresentato dallo spostamento dell’attenzione dalla definizione di principi normativi, dettati dal testo costituzionale, alla ricerca dei valori sociali e umani della convivenza; tale fenomeno sembra mettere in discussione il modo in cui tendono a definirsi i rapporti tra la politica, le esperienze sociali e il dritto costituzionale positivo.
L’esigenza di un rinnovamento del diritto costituzionale, al fine di superare gli irrigidimenti tecnici e l’esasperata dogmatizzazione dei contenuti valutativi attraverso l’opera della dottrina e della giurisprudenza, potrebbe condurre verso una più diretta riflessione sulle aspettative delle collettività e sul mutamento dei contenuti valutativi del diritto costituzionale.
Emergono con riferimento ai fenomeni giuridici e sociali del nostro tempo criteri interpretativi legati ai problemi sociali e ambientali, meno formali, più critici nei confronti dei percorsi dell’accademia, della giurisprudenza e della legislazione. La necessità di prendere decisioni sui temi dell’ambiente e delle risorse naturali, sui problemi del lavoro e della solidarietà sociale, si traduce in richieste di un miglioramento delle istanze fondamentali della vita collettiva.
Il diritto costituzionale muta in parte il proprio linguaggio e tende a estendere l’ambito delle proprie riflessioni critiche, anche in considerazione della presa di coscienza di nuove esigenze e del riproporsi, in termini più attuali, delle tradizionali richieste di tutela della dignità umana e dei diritti sociali. Occorre riconsiderare i criteri giuridici di determinazione del prevalere di alcune soluzioni rispetto alle altre, tenendo maggiormente presenti le circostanze e l’individuazione degli interessi in conflitto. Il diritto costituzionale perde quella compattezza che era propria di un sistema di rigide gerarchie interpretative legate al mantenimento di diritti formali, mentre cresce l’esigenza di non perdere di vista le valutazioni sociali, economiche e umane che ispirano i comportamenti dei poteri pubblici. Più che insistere sulle esigenze fatte valere da una scienza giuridica imperativa del diritto costituzionale, sostanzialmente descrittiva dell’esistente, emerge una considerazione più attenta alle aspettative delle collettività e agli sviluppi delle società contemporanee. I grandi temi della comparazione tra esperienze giuridiche e dell’individuazione di valori storici costitutivi delle diverse forme di convivenza collocano inevitabilmente in secondo piano l’attenzione alle sole dinamiche elettorali, alle vicende dei rapporti tra partiti politici e tra i raggruppamenti interni ad essi. Si fa anche valere da più parti l’esigenza di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla valutazione delle linee direttrici della politica internazionale e costituzionale, piuttosto che concentrarla sulle conseguenze di uno spettacolo quotidiano di fatti che, privi di adeguato approfondimento critico, restano lontani da ogni tipo di valutazione politica o costituzionale.
Occorrerebbe fare il massimo sforzo per ristabilire una cultura costituzionale, non solo specialistica o celebrativa delle ricorrenze formali, ma realmente consapevole dei valori storici della cultura europea, che hanno continuato a mantenere un’incisiva portata etica, giuridica e umana, andando persino oltre il significato letterale delle formulazioni delle carte costituzionali delle singole nazioni, che pure offrirebbero preziosi elementi di valutazione se si cercasse di leggerle non in modo solo formale o come pure enunciazioni di comandi. La considerazione in primo piano dei valori sostanziali, storici, etici, giuridici e politici, costitutivi delle diverse forme di convivenza, che hanno caratterizzato i momenti più significativi della storia europea, deve mantenere un posto centrale rispetto alle perduranti pretese del potere politico e economico, soprattutto al fine di mantenere aperto lo sviluppo degli ordini giuridici contemporanei.