MARCELLINO, Valerio
Nacque a Venezia, probabilmente nel 1536, da Giambattista.
Ebbe due fratelli, Giovanni Aurelio e Francesco; sposò Laura di Silvestro Memo, la quale dettò testamento l'11 ag. 1584 e morì il 9 apr. 1593, a 56 anni. Almeno dopo il matrimonio, il M. abitò nella parrocchia di S. Anzolo; nella decima del 1582 dichiarò di possedere una casa a S. Marcuola, una bottega di vetro a Murano, dieci campi a Portobuffolè e due livelli, per un reddito complessivo di 60 ducati, 10 lire e 4 soldi. La sua condizione economica è attestata anche dall'inventario "dei beni mobili ritrovati in casa del quondam eccel.mo signor Valerio Marcellini" fatto redigere dopo la morte dal fratello Francesco il 13 sett. 1602. Oltre a non molti oggetti di valore (poche suppellettili d'argento) e indumenti, risultano 250 libri "tra grandi e piccoli", nonché 412 ducati "che si dice esser in Puglia in mano de mercanti delli quali non habbiamo cautione alcuna" (Arch. di Stato di Venezia, Curie o Corti di palazzo, Giudici di petizion, Inventari, b. 342/7, n. 40).
È probabile che il M. abbia trascorso tutta la vita a Venezia. Della sua attività di avvocato non si conoscono testimonianze dirette; A. Citolini, nella dedicatoria del Diamerone del M. (Venezia, G. Giolito, 1565), ricorda però la precocità dell'avvio della carriera, tale che "per fino ne l'età di diciott'anni, contra uno de' maggiori causidici de la città, nel Consiglio dei quaranta, egli vincesse una quasi disperata causa". "Fra i giovani avocati di maggior credito" lo indica anche D. Atanagi nelle note didascaliche in calce alla raccolta da lui curata De le rime di diversi nobili poeti toscani… libro primo (Venezia, L. Avanzi, 1565), dove il M. è presente con tre sonetti e quattro madrigali (cc. 190v-191r).
Il Diamerone è un dovizioso trattato filosofico, "Ove - come dichiara il frontespizio - con vive ragioni si mostra, la morte non esser quel male, che 'l senso si persuade. Con una dotta, e giudiciosa lettera, over discorso intorno alla lingua volgare". Curatore dell'edizione fu Citolini, che nella dedica a Luigi Corner dichiara che il testo gli sarebbe giunto in mano dopo essere "stato già quattr'anni sepolto", il che collocherebbe la composizione intorno al 1560, quando il M. era poco più che ventenne, come poco più avanti lo stesso Citolini testimonia, scrivendo che quella che si appresta a stampare è opera "uscita da l'intelletto d'un giovinetto, tutto occupato per gli altrui intrighi ne i continui, e noiosi travagli del pallazzo".
Nel Diamerone il M. dichiara di riferire i discorsi tenutisi in due giornate consecutive a Venezia nella casa di Domenico Venier, costretto dalla malattia. Una terza giornata è annunciata nel finale della seconda, ma il M. dichiara di essere stato impedito a comporla dagli impegni professionali. Al dialogo partecipano un monsignor Giuliano, Girolamo Molino, Giorgio Gradenigo, Bernardo Tasso, Dionigi Atanagi, Sperone Speroni, oltre ai "gentilissimi giovani" Luigi Belegno, Sebastiano Magno, monsignor Girolamo Fenarolo, Antonio Diedo, Pietro Badoaro, Celio Magno e altri.
Precede il dialogo una Lettera, over Discorso intorno alla lingua volgare, datata "Di Pieve il di X d'aprile 1561" e diretta a Piero Zane, in cui il M. prende posizione sulla questione linguistica: "l'intention mia è stata solamente di dimostrarvi l'errore, che prende chiunque lascia la propria lingua volgare per attenersi alla latina" (c. C7v). Anche Citolini era stato autore di una Lettera in difesa del volgare (Venezia, F. Marcolini, 1540), il cui contenuto secondo Fessia sarebbe stato ripreso dal M. con un'operazione ai limiti del plagio. Al contrario Presa sostiene, con buoni argomenti, che tanto Citolini quanto il M. e Vincenzo Marostica, autore negli anni Settanta di un trattato rimasto manoscritto In lode della lingua volgare et in biasimo della latina, attingano a un "patrimonio polemico-linguistico comune" (p. 217), di cui si possono rinvenire le radici già in ben noti trattati quattrocenteschi.
Oltre al Diamerone, del M. si conosce una sola altra opera di grosso impianto: Il Paruta overo Dell'immortalità dell'anima (Copenaghen, Biblioteca reale, Mss. Thott, 174).
L'opera è un dialogo diviso in tre libri, per 657 pagine. Nel primo "si tratta la questione della scienza dell'anima", nel secondo "si mostra che l'anima intellettiva è specifica forma dell'huomo" e infine ancora nel secondo e nel terzo "si mostra in che modo la nostra anima intellettiva, individuata per materia quanta nel corpo, individua resti senz'esso". Anche questo dialogo ha come interlocutori intellettuali in vista nella Venezia di fine Cinquecento, alcuni dei quali già protagonisti del Diamerone: Celio Magno, Paolo Paruta, Francesco Molino, Girolamo Capello, Orsatto Giustinian, Paolo Loredan, Giacomo Barozzi. Siccome Paruta è indicato come procuratore di S. Marco, carica che assunse nel 1596, due anni prima della morte avvenuta nel 1598, la stesura dell'opera va ascritta ragionevolmente a questi anni.
Rapporti del M. con Orsatto Giustinian testimonia un sonetto pubblicato tra le Rime di Giustinian insieme con il responsivo; un commercio poetico intercorse con Celio Magno, come attesta Cicogna (V, pp. 250, 252), che segnala rime del M. dirette a Magno in un manoscritto di quest'ultimo di sua proprietà e in un manoscritto marciano (Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. it., cl. IX, 172 [=13]). Il M. diede un suo contributo alla stampa del Deus. Canzone spirituale di Celio Magno (Venetia, D. Farri, 1597), che è corredata da tre testi di commento: un Discorso di Ottavio Menini, due Lettioni di Teodoro Angelucci e, appunto, da un lungo Commento del M. (56 carte).
Il commento del M. (definito da Menini "soggetto di gran dottrina e virtù") si articola in due libri: il primo, distinto in diciannove capitoli, intende dimostrare "il giro che fa l'anima per ritornar finalmente a Dio"; il secondo, di sedici capitoli, costituisce il vero e proprio commento alla canzone, condotto con frequenti riferimenti alle Sacre Scritture e ai Padri della Chiesa, nonché, anche se meno frequentemente, ai filosofi antichi, che costituiscono invece il nerbo del primo libro.
Il M. morì a Venezia il 26 genn. 1602.
Nella scarsità di notizie biografiche allo stato delle ricerche, il fatto che, dopo esordi felicissimi, il M. non diede più nulla alle stampe e che la produzione sembra riprendere solo verso la fine della sua vita, legittima l'ipotesi che il suo silenzio sia da ricondurre alla vicenda dell'eresia di Citolini, che proprio nel 1565 abbandonò l'Italia per seguire il protestantesimo. In edizioni moderne d'occasione si leggono Una novella di Pierfrancesco Giambullari fiorentino e tre novelle di Valerio Marcellino viniziano, Venezia 1824; Discorso intorno alla lingua italiana di m. Valerio Marcellino, a cura di A. Salvioni, Bergamo 1831.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Dieci savi sopra le decime, b. 158/100; Notarile, Testamenti, b. 1192, 612 (testamento di Laura di Silvestro Memo, 11 ag. 1584); Venezia, Arch. stor. del Patriarcato, Parrocchia di S. Stefano, Parrocchia di S. Angelo, Morti, reg. 2, ad datam; O. Lombardelli, I fonti toscani, Firenze 1598, pp. 47, 51 s., 84; O. Giustinian, Rime, a cura di R. Mercatanti, Firenze 1998, pp. 199 s.; G. Fontanini, Biblioteca dell'eloquenza… con le annotazioni del signor Apostolo Zeno…, Venezia 1753, II, p. 338; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, V, Venezia 1842, pp. 225 s., 245 s., 250, 252, 278; B. Gamba, Delle novelle italiane in prosa, Firenze 1835, pp. 118, 133; Id., Serie dei testi di lingua…, Venezia 1839, nn. 1424, 1501, 1508; G. Papanti, Catalogo dei novellieri italiani, I, Livorno 1871, p. 211; S. Bongi, Annali di Gabriel Giolito de' Ferrari, II, Roma 1895, pp. 202 s.; L. Fessia, A. Citolini, esule italiano in Inghilterra, in Rendiconti del R. Ist. lombardo di scienze e lettere, s. 3, LXXIII (1939-40), pp. 213-243 passim; G. Presa, A. Citolini, V. M. e V. Marostica nella vicenda d'una lettera in difesa del volgare (sec. XVI), in Studi in onore di Alberto Chiari, II, Brescia 1973, pp. 1001-1024; E. Taddeo, Il manierismo letterario e i lirici veneziani del tardo Cinquecento, Roma 1974, pp. 74, 135, 158, 213; G. Auzzas, La narrativa nella prima metà del Cinquecento, in Storia della cultura veneta, a cura di G. Arnaldi - M. Pastore Stocchi, 2, III, Vicenza 1980, p. 133; M. Firpo, Citolini, Alessandro, in Diz. biogr. degli Italiani, XXVI, Roma 1982, p. 42; C. Dionisotti, Amadigi e Rinaldo a Venezia, in La ragione e l'arte (catal.), a cura di G. Da Pozzo, Venezia 1995, pp. 13-25; G. Zagonel, Alessandro Citolini, V. M. e le rispettive lettere in difesa della lingua volgare, in Il Flaminio, 1996, n. 9, pp. 37-52; L. Della Giustina, Erasmo e il Cinquecento: tracce erasmiane in Alessandro Citolini (1540-1561), in Studi storici Luigi Simeoni, XLVIII (1998), p. 70; A. Toffoli, Letteratura vittoriese. Autori e testi di Ceneda, Serravalle, Vittorio Veneto, I, Vittorio Veneto 2005, pp. 410-412; P. Kristeller, Iter Italicum, III, p. 186.