PASINI, Valentino
PASINI, Valentino. – Nacque a Schio (Vicenza) il 23 settembre 1806 da Eleonoro e Luigia Berti.
Fra il 1817 e il 1819, il padre, artigiano tintore, rilevò in società con Francesco Rossi un lanificio, di cui modernizzò gli impianti e ristrutturò la produzione, avviando un processo che nella seconda metà dell’Ottocento, dopo il suo ritiro e l’avvicendamento di Francesco con il figlio Alessandro, avrebbe portato all’impresa tessile Lanerossi di Schio.
Durante la restaurazione austriaca, Pasini e il fratello maggiore Lodovico (1804-1870) si allontanarono dall’impresa di famiglia per proseguire gli studi liceali presso la scuola del Seminario di Vicenza, istituto di cultura cui l’aristocrazia e l’alta borghesia locale affidavano tradizionalmente i loro figli. Pasini fu segnato, in particolare, dall’indirizzo classicistico promosso da don Carlo Bologna, che contribuì a sviluppare in lui il mito italico e gli ideali democratici, mentre grazie al professore e amico Giuseppe Todeschini, giureconsulto formatosi alla scuola bolognese di Pellegrino Rossi, fu introdotto allo studio delle discipline giuridiche, attingendone un interesse preminente per gli studi di legislazione comparata, di statistica, di diritto civile e penale.
A Vicenza i due fratelli Pasini entrarono in contatto con un gruppo di giovani intellettuali riuniti attorno all’Accademia dei Filologi, fondata dal conte Venceslao Loschi nel 1815 e soppressa dalle autorità austriche nel 1821 perché i suoi aderenti ispiravano i loro versi ai nascenti ideali nazional-patriottici di indipendenza e libertà.
Iscrittosi all’Università di Padova, Pasini seguì il corso di studi in giurisprudenza, completandolo nel febbaio 1828. Apprezzò, in particolare, le lezioni di procedura penale di Alessandro Racchetti, che si era formato all’Università di Pavia con Elia Giardini e Tommaso Nanni, divenendo poi discepolo di Gian Domenico Romagnosi all’Istituto d’istruzione legale superiore di Milano.
Questa direttrice di studi permise a Pasini non solo un confronto diretto con Romagnosi, ma gli consentì di uscire dall’ambito ristretto del tecnicismo specialistico del sapere giurisprudenziale austriaco. Iniziò così a pubblicare e a partecipare a convegni e dibattiti su varie materie già durante gli studi accademici. Espresse i suoi primi orientamenti liberali in un estratto dell’opera dell’economista inglese William Jacob, Report on the trade in foreign corn, and on the agriculture of the North of Europe (London 1826), intitolato Riflessioni 1° Su lo stato dell’agricoltura nel settentrione dell’Europa. 2° Sul commercio delle biade in generale e inserito sotto pseudonimo fra le righe degli Annali universali di tecnologia, di agricoltura, di economia rurale e domestica, di arti e di mestieri (V, 1827, pp. 217-231). Nella lettura inedita Riflessioni sulla misura generale delle pene, tenuta all’Accademia di Padova quello stesso anno, si pose in linea con Romagnosi sul fondamento sociale del diritto di punire. Nominato nell’aprile 1828 socio corrispondente dell’Accademia, il 29 maggio seguente vi lesse una memoria intitolata Intorno all’uso delle prove legali nelle procedure criminali anche pubbliche. Attirò invece l’intervento della censura austriaca con lo scritto scomparso Sulla mancanza della pubblicità dei giudizi nelle procedure penali, dove aveva sottoscritto le opinioni critiche di Carl Joseph Pratobevera sul processo penale austriaco.
Nel 1830 Pasini intraprese con il fratello un viaggio nelle maggiori città dell’Italia centro-settentrionale. A Milano, prima tappa del tour, poté incontrare di persona Romagnosi, al quale presentò i suoi scritti di diritto penale. Quello stesso anno concorse alla cattedra di diritto naturale, pubblico e criminale dell’Università di Padova ma fu respinto, come in seguito nel 1842. Durante gli anni Trenta, abbandonò, dunque, le riflessioni dottrinali per dedicarsi a incarichi più remunerativi: la professione forense, l’insegnamento privato e i compiti di funzionario. Nel 1831, superati gli esami di pratica legale presso il Tribunale di appello di Venezia, fu abilitato alla professione di avvocato. Nel 1833 ottenne, invece, la patente d’insegnamento, grazie alla quale aprì una scuola privata a Vicenza. Morto nel 1836 Bartolomeo Munari, presso il quale aveva esercitato la pratica forense, s’iscrisse all’albo degli avvocati di Vicenza. A seguito di un’abile difesa in una questione amministrativa, che vedeva contrapposti uno speculatore veneziano alla Provincia di Vicenza, ottenne dal magistrato camerale l’incarico di difensore delle finanze in tutti i contenziosi discussi presso il Tribunale di Vicenza.
Nel 1835 sposò Caterina Vandinelli, dalla quale ebbe Eleonoro (1836-1918), che, seguendo la tradizione familiare, sedette alla Camera in rappresentanza del collegio di Schio dal 1870 al 1876.
Rivelatosi ostico l’accesso all’ambiente universitario, durante gli anni Quaranta Pasini riprese l’attività di erudito extra cattedra con una serie di letture pubbliche – come la Quistione della riforma penitenziaria del 1842, che gli permise d’inserirsi nel dibattito sulla scelta tra sistema ‘auburniano’ o ‘filadelfiano’ – tenute presso l’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti di Venezia, di cui il fratello Lodovico, geologo e mineralista, era membro e segretario dal 1839.
In quello stesso decennio, i precedenti legami con gli ambienti culturali ed economici lombardi furono consolidati nella lunga, e nel periodo iniziale vittoriosa, battaglia che Pasini ingaggiò al fianco di Daniele Manin per la costruzione della strada ferrata Ferdinandea Milano-Venezia e per l’autonomia della società che doveva realizzarla.
Nel 1846 divenne presidente dell’Accademia olimpica, rivolgendo la sua attività al rinnovamento letterario vicentino. Permise inoltre al Teatro olimpico di riprendere le sue attività con lo spettacolo che nel Cinquecento lo aveva inaugurato, l’Edipo re di Sofocle riportato in scena il 15 settembre 1847. Nel giugno del medesimo anno, Pasini aveva promosso insieme a Manin il banchetto veneziano in onore di Richard Cobden, leader dell’Anti-corn- law league e campione europeo del libero scambio, che stava svolgendo un tour trionfale nella penisola. Nel settembre fu altresì fra i protagonisti del IX Congresso degli scienziati italiani svoltosi a Venezia, in occasione del quale l’Istituto veneto deliberò di erigere busti in marmo in onore dei ‘grandi italiani’.
Durante il biennio 1848-49, Pasini si avvalse ampiamente della dimestichezza acquisita negli affari pubblici, prima come leader della rivoluzione a Vicenza, poi come incaricato di missioni diplomatiche per conto della democratizzata Repubblica di S. Marco. Il 29 marzo 1848, dalla loggia della Basilica palladiana arringò con successo i cittadini riuniti in assemblea per deliberare l’adesione di Vicenza alla Repubblica proclamata pochi giorni prima da Manin, al quale egli riuscì abilmente a garantire la lealtà della Consulta delle province venete nelle prime settimane postrivoluzionarie. Di seguito si batté contro l’adozione del sistema delle sottoscrizioni popolari su pubblici registri per sancire l’adesione delle province di terraferma al Regno di Sardegna, dichiarandosi a favore di un’assemblea elettiva (Sulla questione politica lombardo-veneta. Lettera al marchese Lorenzo N. Pareto, ministro degli affari esteri di S. M. il re di Sardegna, Venezia 1848). All’inizio dell’autunno del 1848, dopo il ritorno al potere di Manin, fu inviato a Parigi per affiancare Niccolò Tommaseo, con il quale ebbe numerosi contrasti e che giudicò inadatto al ruolo di diplomatico, nel tentativo – fallito – di fare ammettere i rappresentanti del governo dello Stato di Venezia alla conferenza delle grandi potenze chiamata a discutere la situazione dell’Alta Italia dopo l’armistizio dell’estate, ma che, convocata a Bruxelles nel febbraio 1849, fallì per la netta opposizione austriaca. All’inizio di luglio, dopo l’ennesimo rifiuto opposto dall’Assemblea veneziana a una proposta di capitolazione asburgica, grazie all’intercessione di Francia e Gran Bretagna Pasini si recò a Vienna con l’incarico ufficiale di riprendere le trattative, ma in realtà con l’intento di mostrare all’Europa che l’unica volontà del governo austriaco era quella di umiliare i patrioti veneziani. Indicato dal maresciallo Josef Radetzky nella lista dei proscritti dopo la resa di fine agosto 1849, rifiutò la proposta di esservi cancellato e da Vienna si recò con la moglie in esilio prima a Lugano, dove fu raggiunto dal figlio che durante l’assedio era rimasto a Venezia presso lo zio, e poi nel 1851 a Torino.
In Piemonte riprese gli studi giovanili sugli effetti del governo austriaco. Nella memoria Sull’amministrazione specialmente finanziaria dell’Austria nel Regno lombardo-veneto avanti la rivoluzione del 1848, pubblicata per la prima volta a Losanna dal periodico mazziniano L’Italia del popolo (I, 1849, pp. 785-825; II, 1850, pp. 455-483), sostenne che il sovrappiù delle imposte, sofferto dal Regno lombardo-veneto sotto l’occupazione austriaca, aveva danneggiato maggiormente l’economia dell’area italiana rispetto a quella delle altre province dell’impero. Sviluppò poi l’idea di un’indipendenza dell’economia italiana nel lungo saggio Finanze italiane, pubblicato sull’Annuario economico-politico (I, 1852, pp. 212-294) allo scopo di evidenziare quanto fosse costata la mancata unità politica.
Ottenuto il dissequestro dei beni, confiscatigli dopo i moti milanesi del 6 febbraio 1853, in cambio del rientro in patria, nell’aprile 1854 lasciò Torino e fece ritorno a Vicenza, nella sua villa d’Arcugnano. Nel 1856 lesse all’Istituto veneto la dissertazione Esame di alcune recenti opere di diritto penale, in cui giudicava molto severamente il percorso giusfilosofico di Pellegrino Rossi, dopo che negli anni dell’esilio si era avvicinato alla corrente spiritualistica di Victor Cousin e allontanato dalle dottrine di Romagnosi.
Sul piano politico, superata qualche iniziale titubanza, seguì la parabola dell’amico Manin verso il fronte monarchico-unitario. Nell’ottobre del 1858, si trasferì a Firenze, da dove rispose all’asserzione pronunciata nel febbraio del 1859 dal primo ministro conservatore britannico Lord Derby circa la mitezza del governo austriaco in Italia, sostenendo in una serie di lettere di grande risonanza mediatica nell’opinione pubblica europea che l’amministrazione asburgica aveva in realtà danneggiato il Lombardo-veneto sia sul piano economico sia su quello legislativo, riportandolo addirittura a una situazione anteriore a quella del 1848 (L’Autriche dans le Royaume Lombardo-Vénitien, ses finances, son administration. Lettres à lord Derby, Paris 1859).
Nel marzo 1859 ottenne, infine, l’atteso riconoscimento accademico: fu chiamato alla cattedra di diritto costituzionale e amministrativo presso l’Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento di Firenze. Eletto nell’ultimo parlamento del Regno di Sardegna nel 1860 per il collegio di Bozzolo, fu poi confermato nella prima legislatura del Regno d’Italia, durante la quale ricoprì dal 1862 al 1864 la carica di vicepresidente della commissione generale del Bilancio, partecipando criticamente ai dibattiti sulla perequazione finanziaria e sulla codificazione unitaria.
Morì a Torino il 4 aprile 1864.
Opere. Oltre a quelle citate, si rimanda alla bibliografia esaustiva contenuta in G.L. Fontana, Liberalismo e rinascita nazionale nell’esperienza di V. P., tesi di laurea, Università degli studi di Padova, facoltà di lettere e filosofia, a.a. 1974-75.
Fonti e Bibl.: Venezia, Civico Museo Correr, Documenti Manin; Padova, Accademia patavina, Archivio antico, b. 17, f. 2240; Processi verbali delle sedute ordinarie, regg. 1 (1821-1826), 50 (1826-1831); Vicenza, Biblioteca Bertoliana, Mss., 3387-3404: G. Da Schio, Persone memorabili in Vicenza, pp. 1186 s.; Schio, Biblioteca civica, Fondo Pasini-Salasco.
F. Lampertico, Commemorazione funebre di V. P. letta nel Teatro Olimpico il 15 maggio 1864, Vicenza 1864; R. Bonghi, La vita e i tempi di V. P., Firenze 1867; S. Rumor, Gli scrittori vicentini dei secoli decimottavo e decimonono, II, Venezia 1907, pp. 503-508; G. Solitro, V. P. e l’emigrazione veneta, in Miscellanea di studi storici in onore di Carlo Manfroni, Padova 1925, pp. 149-166; G.L. Fontana, Perequazione tributaria e lotta politica negli scritti di V. P., in Il Lombardo-Veneto dal 1849 al 1866, Padova 1978, p. 77-89; Id., Tra politica e storiografia: Ruggero Bonghi biografo di V. P., in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, XII (1978), pp. 305-680; E. Franzina, Vicenza. Storia di una città, Vicenza 1980, ad ind.; G.L. Fontana, Alle origini del movimento liberale nel Veneto: la formazione intellettuale e politica di V. P., in I ceti dirigenti in Italia in età moderna e contemporanea, a cura di A. Tagliaferri, Udine 1984, pp. 433-455; Id., L’industria laniera scledense da Niccolò Tron ad Alessandro Rossi. Imprenditorialità, politica, cultura e paesaggi sociali del secondo Ottocento, I, Roma 1985, pp. 71-256; Id., Congressi scientifici e opinione nazionale: una polemica fra V. P. e Carlo Cattaneo, in Pagine di cultura vicentina, Schio 1987, pp. 227-244; G.L. Fruci, Il «suffragio nazionale». Discorsi e rappresentazioni del voto universale nel 1848 italiano, in Contemporanea, VIII (2005), 4, pp. 608 s.; P. Ginsborg, Daniele Manin e la rivoluzioe veneziana del 1848-49, Torino 2007, ad. ind.; G.L. Fontana, Economia agricola, politica tributaria e lotta politica negli scritti e nell’opera di V. P. (1806/1864), in La Vigna News, IV (2011), 13, pp. 6-27; S.C. Soper, Building a civil society. Associations, public life, and the origins of modern Italy, Toronto 2013, pp. 58, 220 s.; Camera dei deputati, Portale storico, s.v. (http://storia.camera.it/ deputato/valentino-pasini-18060923#nav).